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Doping: ora lo xenon nella lista Wada delle sostanze proibite

Lo xenon (o xeno) è un gas nobile presente a tracce nell’atmosfera terrestre. Tramite scarica xenonelettrica produce una luce azzurra e questa sua proprietà l’ha reso famoso per la fabbricazione di lampade, flash per la fotografia, luci stroboscopiche, laser ecc.
Lo xenon è dotato anche di proprietà biologiche grazie alle quali viene utilizzato come anestetico, ma non è tutto. Pare, infatti, che funzioni anche come attivatore di una proteina (HIF-1 alfa) che a sua volta attiva la produzione di altre proteine, fra cui l’epo. Un documento del 2010 redatto dal Research Institute del Ministero della Difesa russo definisce le linee guida per la gestione del gas negli atleti. Lo xenon deve essere utilizzato prima delle gare per migliorare le prestazioni e, successivamente, per accelerare il recupero fisico. La dose raccomandata è una miscela 50:50 di xeno e ossigeno, inalato per pochi minuti, preferibilmente prima di andare a dormire. L’azione del gas continua per 48-72 ore.
I benefici verificati sono: il miglioramento delle capacità cardiache e polmonari, la riduzione dell’affaticamento muscolare, l’aumento di testosterone e il miglioramento dell’umore.
Alle olimpiadi invernali di Sochi, l’emittente tedesca WDR accusò la Russia di utilizzare inalazioni di xenon per favorire la produzione di epo negli atleti. Vladimir Uiba, il capo dell’agenzia federale biomedica russa, si difese allora dichiarando che in realtà le inalazioni di xenon non erano vietate dalla Wada e che non c’era nessuna prova scientifica che attestasse la validità dello xenon rispetto alla produzione di epo negli esseri umani (gli studi sono stati effettuati solo sui topi). Inoltre, l’inalazione di xenon pare avere gli stessi effetti fisiologici che si possono ottenere tramite l’allenamento in quota, pratica legale e mai contestata.
Di fatto, dal momento che lo xenon viene inalato per potenziare artificialmente l’assorbimento, il trasporto e la consegna di ossigeno, è difficile pensare che non si tratti di una pratica di dubbia legalità. E infatti il presidente dell’agenzia mondiale anti-doping, Craig Reedie, al termine delle olimpiadi di Sochi aveva promesso di analizzare la situazione e prendere relativi provvedimenti. Così è stato fatto e il 17 maggio il Comitato Esecutivo Wada ha approvato la modifica della lista delle sostanze proibite introducendo lo xenon fra gli stabilizzanti e attivatori dell’eritropoiesi. Le modifiche entreranno in vigore fra tre mesi e tutti i risultati precedentemente ottenuti sono da considerarsi legali.

 

Allenamento: il lavoro aerobico può interferire con il potenziamento muscolare?

Lo sviluppo della resistenza cardiovascolare e quello della forza e tonificazione muscolare sonoks102156p entrambi importanti, ma come abbinarli nella pianificazione dell’allenamento?

L’esercizio aerobico è efficace per il mantenimento e il miglioramento delle capacità cardiovascolari, per aumentare il dispendio energetico e favorire l’utilizzo del tessuto adiposo. Il lavoro con il carico è fondamentale per lo sviluppo della massa muscolare, della forza e per migliorare la qualità del tessuto osseo.
L’allenamento, a qualsiasi livello, deve includere entrambe le tipologie di esercizio; eppure ancora non è chiaro quanto e in che modo lo sviluppo delle capacità aerobiche possa interferire negativamente sull’incremento della forza/massa muscolare.

Un allenamento combinato può essere strutturato di modo che le due differenti tipologie di esercizi:
1) si svolgano entrambe all’interno della stessa seduta di allenamento;
2) si svolgano nello stesso giorno, ma in sedute distanziate (mattino e tardo pomeriggio);
3) siano programmate in giorni diversi della settimana, in modo alterno;
4) siano suddivise con una periodizzazione dell’allenamento in cicli dedicati (mesi).
A meno che non si tratti di sportivi professionisti che necessitano di una preparazione specifica, l’allenamento simultaneo, all’interno della stessa seduta di allenamento, è quello tendenzialmente più diffuso, soprattutto dagli atleti che praticano sport che richiedono sia le capacità aerobiche che anaerobiche. Ma perché sia efficace, richiede una pianificazione attenta e l’analisi di eventuali obiettivi prioritari da perseguire.
Diversi studi confermano che l’allenamento aerobico può compromettere il massimo sviluppo di forza e potenza muscolare (1, 2), soprattutto se le sessioni di allenamento sono distribuite su 6 giorni la settimana, annullando praticamente la fase di riposo. Quando invece l’allenamento combinato è svolto nel medesimo giorno, aumentando i giorni dedicati al recupero il risultato sullo sviluppo di forza e potenza muscolare pare non essere compromesso (3, 4, 5, 6).
Nella popolazione anziana è invece sempre e comunque particolarmente raccomandato, perché produce miglioramenti sia nell’efficienza cardiovascolare che muscolare. Dal momento che l’obiettivo è quello di migliorare la forma e promuovere la salute, i protocolli proposti hanno in genere una frequenza di ≤ 3 volte alla settimana, con un volume di allenamento moderato e il rischio di sovrallenamento ridotto al minimo (7, 8, 9).

IN CHE ORDINE PROPORRE GLI ESERCIZI ALL’INTERNO DI UNA SESSIONE DI ALLENAMENTO? 
La maggior parte degli studi che hanno confrontato l’efficacia dell’allenamento dando la priorità all’allenamento aerobico piuttosto che a quello di muscolazione, generalmente suggeriscono che la sequenza con cui gli esercizi sono proposti non produce differenze significative, perché in entrambi i casi ci sono miglioramenti sia nell’efficienza cardiorespiratoria che in quella muscolare. Allo stato attuale della ricerca non esiste parere concorde riguardo questo aspetto: la sequenza dovrà soddisfare le priorità del programma di allenamento, tenendo presente che la capacità allenata prima, interferirà inevitabilmente sulla successiva.
Priorità all’allenamento cardiovascolare
Per chi punta al miglioramento della VO2max (massimo consumo di ossigeno) e EPOC (consumo di ossigeno post esercizio). L’influenza negativa sul successivo lavoro di potenziamento rilevata da alcuni studi può essere determinata dal fatto che per entrambi i lavori sono stati coinvolti i medesimi gruppi muscolari (che quindi sono risultati già “stanchi” all’inizio del lavoro in sovraccarico, 1, 2, 10). Negli studi in cui i muscoli sollecitati sono stati differenti (per esempio la fase di allenamento cardiovascolare al cicloergometro e gli esercizi di muscolazione per gli arti superiori), la riduzione di prestazione è stata praticamente nulla. Altri studi hanno evidenziato che un prolungato lavoro aerobico (circa 1 ora) attenua la risposta dell’ormone della crescita nel successivo lavoro in sovraccarico: questo suggerisce che, per produrre risposte ormonali più favorevoli, l’allenamento aerobico deve essere eseguito successivamente.
Priorità all’allenamento con sovraccarichi
Gravelle e Blessing (5) hanno svolto uno studio molto interessante su un gruppo di donne che hanno seguito un programma di allenamento combinato e progressivo per 3 giorni a settimana per 11 settimane. I carichi di lavoro iniziali dell’allenamento aerobico corrispondevano al 70% della VO2max per 25 minuti, mentre l’allenamento con sovraccarichi era strutturato in una sequenza di 2 set di 10 ripetizioni per 7 esercizi. Gli autori hanno evidenziato un miglioramento della VO2max solo nei soggetti che hanno effettuato un allenamento di muscolazione prima dell’allenamento aerobico: in questo caso, il lavoro di potenziamento muscolare sembra influenzare favorevolmente il metabolismo durante la successiva sessione di lavoro aerobico.
È stato inoltre rilevato un aumento dell’ossidazione dei grassi (lipolisi) e di dispendio energetico durante l’esercizio aerobico preceduto da un protocollo di esercizio di potenziamento muscolare.
Considerando attentamente tutte le variabili legate alla programmazione dell’allenamento, è possibile confermare che una sessione combinata di esercizi aerobici e di potenziamento muscolare porta una serie di adattamenti fisiologici positivi, indipendentemente dalla sequenza con cui vengono svolti. Per esempio, un efficace programma di allenamento combinato per individui sani potrebbe contemplare:
- lavoro aerobico al 60%-70% della VO2max per 25-30 minuti;
- lavoro di potenziamento al 60%-80% con 6-10 esercizi che coinvolgano tutti i gruppi muscolari, da svolgersi in 3-4 serie da 8-12 ripetizioni e 2 minuti di recupero fra una serie e l’altra.
L’intera sessione di allenamento si completa in 60-90 minuti (incluse le fasi di riscaldamento e defaticamento qui non trattate), da svolgersi 3, max 4 giorni alla settimana: in questo modo non ci dovrebbero essere interferenze proponendo prima l’uno o l’altro lavoro. La priorità dovrà essere scelta in base alle esigenze personali dell’individuo. Gli adattamenti dovrebbero cominciare a verificarsi dopo 11-12 settimane.

NOTE
1. Dudley GA, Djamil R. Incompatibility of endurance- and strength-training modes of exercise. J Appl Physiol. 1985;59(5):1446Y51
2. Kraemer WJ, Patton JF, Gordon SE, Harman EA, Deschenes MR, Reynolds K, Newton RU, Triplett NT, Dziados JE. Compatibility of high-intensity strength and endurance training on hormonal and skeletal muscle adaptations. J Appl Physiol. 1995;78(3):976Y89
3. Chtara M, Chamari K, Chaouachi M, Chaouachi A, Koubaa D, Feki Y, Millet GP, Amri M. Effects of intra-session concurrent endurance and strength training sequence on aerobic performance and capacity. Br J Sports Med. 2005;39(8):555Y60.
4. Glowacki SP, Martin SE, Maurer A, Baek W, Green JS, Crouse SF. Effects of resistance, endurance, and concurrent exercise on training outcomes in men. Med Sci Sports Exerc. 2004;36(12):2119Y27.
5. Gravelle BL, Blessing DL. Physiological adaptations in women concurrently training for strength and endurance. J Strength Cond Res. 2000;14(1):5Y13.
6. McCarthy JP, Agre JC, Graf BK, Pozniak MA, Vailas AC. Compatibility of adaptive responses with combining strength and endurance training. Med Sci Sports Exerc. 1995;27(3):429Y36.
7. Cadore EL, Izquierdo M, Alberton CL, Pinto RS, Conceicao M, Cunha G, Radaelli R, Bottaro M, Trindade GT, Kruel LF. Strength prior to endurance intra-session exercise sequence optimizes neuromuscular and cardiovascular gains in elderly men. Exp Gerontol. 2012;47(2):164Y9.
8. Izquierdo M, Iban˜ez J, Ha¨kkinen K, Kraemer WJ, Larrio´n JL, Gorostiaga EM. Once weekly combined resistance and cardiovascular training in healthy older men. Med Sci Sports Exerc. 2004;36(3):435Y43
9. Takeshima N, Rogers ME, Islam MM, Yamauchi T, Watanabe E, Okada A. Effect of concurrent aerobic and resistance circuit exercise training on fitness in older adults. Eur J Appl Physiol. 2004;93(1Y2):173Y82.
10. Leveritt M, Abernethy PJ. Acute effects of high intensity endurance exercise on subsequent resistance activity. J Strength Cond Res. 1999;13(1):47Y51.

La supplementazione di vitamina D è più utile alla salute del consumatore o a quella delle case farmaceutiche?

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Euromonitor International, società indipendente leader mondiale nella ricerca strategica per i mercati consumer, ha recentemente pubblicato uno studio interessante relativo al consumo di vitamina D e alle evidenze scientifiche a essa associate.
Il mercato delle vitamine e degli integratori alimentari è quello con il trend maggiormente positivo nel settore dei consumi legati alla salute. Analizzando i diversi prodotti, la vitamina D ha registrato il tasso di crescita più elevato dal 2007, pari a un CAGR (Compounded Annual Growth Rate) del 20%. Il forte aumento di fatturato (US $ 934 milioni/anno) ha permesso di tamponare la riduzione di vendite di supplementi più maturi come i minerali, la vitamina C, gli oli di pesce e acidi grassi omega.

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Consumo globale di vitamine e integratori alimentari al dettaglio: valore delle vendite e crescita , 2007-2012 (Euromonitor International)

L’origine del successo della vitamina D è una reputazione molto positiva, ben radicata negli anni e scaturita da numerosi studi che attribuiscono a questa vitamina (in realtà si tratta di un gruppo di pro-ormoni liposolubili costituito da 5 diverse vitamine), un ruolo fondamentale per il benessere delle ossa, in un delicato meccanismo di equilibrio con il calcio. La vitamina D favorisce il riassorbimento di calcio a livello renale, l’assorbimento intestinale di fosforo e calcio e i processi di mineralizzazione dell’osso. Si ottiene grazie all’esposizione solare e attraverso la dieta: olio di fegato di merluzzo, salmone, aringhe, il latte e i suoi derivati, uova, fegato e le verdure verdi.
La vitamina D è una sostanza nutriente importante per la salute delle ossa e fondamentale nella lotta contro l’osteoporosi, ma recenti ricerche ne indicano la validità anche per altre malattie come il cancro, la sclerosi multipla, il morbo di Parkinson, l’obesità.
Così tanti studi indicano l’importanza di mantenere adeguati livelli di vitamina D nella prevenzione primaria e secondaria, che questo micronutriente è diventato una celebrità: medici ed esperti lo elogiano come un elisir meraviglioso e ne propagandano l’assunzione, come essenziale per la nostra salute.

IL CONTRADDITORIO
Recentemente è stato pubblicato su The Lancet Diabetes & Endocrinology uno studio che mette in discussione le conclusioni suggerite dalle precedenti pubblicazioni sulla vitamina D. Nello studio “Vitamin D status and ill health: a systematic review”, i ricercatori hanno esaminato i dati di 462 studi condotti in precedenza sugli effetti della vitamina D rispetto ai diversi indicatori di salute (a esclusione del sistema scheletrico). Il 63% degli studi esaminati erano di osservazione, mentre gli altri erano d’intervento. I primi hanno evidenziato che esiste una forte associazione tra stato di salute e concentrazione di vitamina D nel sangue: meno vitamina corrisponde a meno salute. Tuttavia, l’altro 37% degli studi analizzati, che erano d’intervento e quindi più affidabili per stabilire una relazione causale, non ha provato nessuna connessione fra aumento di vitamina D e diminuzione della malattia. Il team di ricercatori concorda nell’affermare che la carenza di vitamina D è un indicatore di cattiva salute, conseguenza e non causa, di una vasta gamma di malattie.
Un altro studio pubblicato recentemente su Lancet, “Effects of vitamin D supplements on bone mineral density: a systematic review and meta-analysis”, ha messo in discussione anche la raccomandazione medica di lunga data che le popolazioni più anziane dovrebbero assumere vitamina D per mantenere l’osso e la salute dello scheletro. I ricercatori hanno analizzato 23 studi precedenti e hanno trovato pochissime evidenze sul beneficio complessivo della supplementazione di vitamina D sulla densità ossea. Pertanto la supplementazione di vitamina D non è necessaria in adulti anziani che non presentano rischi specifici correlati alle ossa, che si espongono normalmente alla luce solare e hanno una dieta equilibrata. Il costo associato all’assunzione di questo supplemento, concludono gli studiosi, non è giustificato.

IN ITALIA
L’Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco) tramite l’Osservatorio Nazionale sull’Impiego dei Medicinali (Osmed) presenta a cadenze semestrali i dati sull’utilizzo dei farmaci in Italia in termini di spesa, volumi e tipologia. I numeri sono anche analizzati e interpretati per correlare la prevalenza delle patologie nel territorio con la corrispondente prescrizione e valutare eventuali modifiche d’indirizzo, anche in un’ottica di spending review.
Presentando l’ultimo rapporto nazionale OsMed il direttore generale dell’Aifa Luca Pani, ha sottolineato la necessità di vigilare sul possibile utilizzo inappropriato della vitamina D, il cui mercato in Italia ammonta a 187 milioni di euro su base annua. «L’AIFA ha guardato con attenzione i dati e ciò che emerge è che ad essere in aumento è il consumo di vitamina D da sola (+17,6% rispetto al 2012), mentre è in riduzione il consumo di farmaci a base di calcio in combinazione con Vitamina D (-3,6% rispetto al 2012) e quello del calcio da solo è costante. In poche parole ci troviamo di fronte a prescrizioni di Vitamina D non appropriate, ad esempio per le diete dimagranti, non sostenuto dalle evidenze scientifiche».

IL FUTURO DELLA VITAMINA D
La spinta per la prevenzione sanitaria e l’attenzione alla salute sono dei volani importanti per il mercato dei supplementi e degli integratori alimentari. Tuttavia la popolarità di questo o di quel prodotto è assai labile e può cambiare in base a nuovi risultati della ricerca, spinta anche e soprattutto da logiche di mercato che nulla hanno a che fare con la salute dei consumatori. Attualmente sono in corso cinque studi clinici controllati randomizzati che stanno testando l’efficacia della vitamina D. I primi risultati non saranno disponibili fino al 2017: nel frattempo il consumo di supplementi di vitamina D crescerà ancora raggiungendo 1,3 miliardi di dollari di vendite globali al dettaglio dentro il 2017 (nel 2007 erano $ 315 milioni).

 

Supplementazione nutrizionale: necessità, illusione o danno?

24FY03BMNel 1999 il Ministero della Sanità ha emanato specifiche linee guida per disciplinare l’uso degli integratori alimentari, definiti “alimenti adattati a un intenso sforzo muscolare soprattutto per gli sportivi”, nel tentativo di proteggere il consumatore rispetto alle spinte promozionali di questi prodotti che, non essendo farmaci, non necessitano di prescrizione medica e sono spesso assunti senza un controllo adeguato. Mentre gli integratori energetici (a base di carboidrati, con l’aggiunta di qualche vitamina e a volte antiossidanti) e gli integratori idro-salinici (contenenti elettroliti eventualmente associati a zuccheri e vitamine) hanno un razionale d’uso, ovvero il loro utilizzo può essere giustificato in alcune situazioni, per le altre categorie di prodotti, salvo rare eccezioni, non è ancora stata scientificamente dimostrata una reale efficacia. Integratori che contengono proteine, aminoacidi, creatina e combinazioni variabili, sono acquistati da alte percentuali di sportivi, a tutti i livelli, non per sopperire a una mancanza nutrizionale, quanto piuttosto perché è diffusa l’opinione che questi integratori, assunti in dosi elevate, possano portare dei miglioramenti alle loro prestazioni. Si definiscono “ergogeni” e, in base ai poteri loro attribuiti dalla pubblicità sono:
- anabolizzanti, che hanno un effetto diretto sul metabolismo proteico e favoriscono il rilascio dell’ormone della crescita e/o del testosterone endogeno;
- aerobici, per aumentare la prestazione aerobica, intervengono sui meccanismi di utilizzo dei substrati energetici e sullo smaltimento dell’acido lattico;
- antiossidanti, con azione protettiva rispetto ai radicali liberi; – anoresizzanti e stimolanti, che agiscono sul sistema nervoso;
- ricostituenti, con azione generalizzata sull’organismo.
Il fatto che spesso gli ingredienti siano prodotti naturali (guaranà, ginseng, caffeina ecc.) non ne esclude la tossicità, soprattutto in merito ai dosaggi utilizzati. Per esempio, la dose di creatina normalmente assunta dai body builders e da molti di coloro che vogliono “metter su massa”, è di 20-25 grammi al giorno, corrispondente a oltre 12 Kg di carne, per lunghi periodi di tempo. Non esiste alcun tipo di certezza riguardo l’innocuità di questo comportamento, soprattutto a lungo termine. Eppure, l’assunzione di prodotti non vietati per doping (farmaci, vitamine, integratori alimentari) è una prassi ormai generalizzata, sia nell’amatore che nel professionista. In realtà, già nella definizione attribuita dal Ministero della Sanità sorge il primo dubbio: come quantificare un “intenso sforzo muscolare” che giustifichi l’assunzione di supplementi? È possibile che un corretto piano nutrizionale e una coerente pianificazione degli allenamenti e degli impegni sportivi soddisfino totalmente le esigenze di chi fa sport, anche ad alto livello? Il professor Fabrizio Angelini, medico endocrinologo, consulente nutrizionista della Juventus e consigliere nazionale SIAS (Società Italiana di Alimentazione e Sport), ci è venuto in soccorso e ha messo a disposizione tutta la sua esperienza e la sua competenza per rispondere a queste e altre domande.

Tendenzialmente, un programma alimentare studiato sull’atleta riesce a garantire il completo soddisfacimento dei suoi bisogni?
Innanzitutto, un piano nutrizionale deve essere frutto di un’accurata fase diagnostica, volta a investigare diversi fattori. A livello ematochimico generale, per verificare che non ci siano carenze (anemia), che l’apparato metabolico funzioni bene (funzionalità epatica e renale), che non siano presenti marker di infiammazione (es. proteina C-reattiva). Sono poi da valutare eventuali intolleranze alimentari, sebbene ancora non esistano metodiche certe per identificarle, ma alcuni test (es. il Test Alcat) se eseguiti dopo un’accurata anamnesi possono dare indicazioni interessanti. Poi, ancora, i parametri ormonali, soprattutto per quel che riguarda la funzione tiroidea, gonadica e surrenalica. Non trascurerei soprattutto negli atleti di endurance o top level la valutazione dello Stress Ossidativo, che può essere eseguita sia sul plasma (d-roms test e BAP) che sulle urine (dosaggio della malaldeide urinaria). Per quanto riguarda la composizione corporea, ritengo importante sottolineare un corretto utilizzo dell’impedenziometria, che non dà informazioni sulle masse, bensì sui liquidi corporei. Massa magra e massa grassa sono misure che si ricavano tramite equazioni indirette, che non sono così precise. L’impedenziometria, invece, fornice informazioni importanti sullo stato di idratazione e sulla quantità di cellule metabolicamente attive. La metodica standard per la valutazione delle masse corporee è la Dexa, che consente di avere anche informazioni segmentarie, per la valutazione della distribuzione del grasso corporeo o eventuali sviluppi asimmetrici della muscolatura. Va inoltre eseguita la valutazione del dispendio energetico, tramite calorimetria indiretta o holter metabolico o l’associazione dei due. Importante è, infine, l’anamnesi nutrizionale: come il soggetto mangia, orari di pasti e allenamenti, orari di sonno e veglia. La valutazione della sfera personale è tanto più importante nell’atleta amatoriale, la cui vita sportiva non è così rigorosa e deve essere fatta conciliare con la giornata lavorativa. Secondo gli ultimi dati della letteratura, un soggetto che svolge attività fisica due volte la settimana è considerato un sedentario. Quindi, già chi sostiene 4-5 allenamenti settimanali di buona intensità è da considerarsi un atleta con delle necessità che vanno oltre il maggiore fabbisogno calorico: il piano nutrizionale deve considerare la regolazione dei macro nutrienti, degli orari di assunzione, valutare la necessità di eventuali supplementi e considerare infine il valore antinfiammatorio, per evitare che l’atleta si infortuni troppo spesso o che recuperi bene quando gli impegni sono ravvicinati.

A suo parere è ragionevole che un atleta amatoriale, così come un frequentatore di centri fitness, assuma integratori alimentari? Come gestire in assenza di uno specialista posologie, scelte, dosaggi?
Intendiamoci sul concetto di integrazione alimentare. Se una persona svolge attività fisica con intensità media e si alimenta in maniera adeguata con un piano nutrizionale stabilito da un nutrizionista, il più delle volte non necessita di una supplementazione per l’attività sportiva; magari daremo delle indicazioni sul timing di assunzione dei nutrienti. Ma se il riferimento è il livello standard di alimentazione, quindi non calibrata nella quantità e nella qualità, allora la risposta è molto probabilmente affermativa, soprattutto per il discorso legato all’infiammazione. Quello che assolutamente non deve essere praticato è il faidate: creatina, aminoacidi ramificati, proteine, omega 3 tutte le integrazioni devono essere valutate all’interno di un piano nutrizionale gestito da un professionista, perché la loro assunzione sia giustificata da un razionale.

Eppure il faidate è molto diffuso… Prendiamo ad esempio la creatina, assunta, secondo gli studi effettuati dall’Istituto Superiore di Sanità, dal 50% degli atleti, e molto diffusa anche fra gli amatori: non esiste dimostrazione scientifica di un suo possibile effetto anabolizzante, e rispetto all’effetto energetico come riserva fisiologica per la contrazione per l’ATP, dura solo pochi secondi, quindi può essere utile solo negli sport che durano pochi minuti e che necessitano di uno sforzo immediato. Perché, a suo parere, questo prodotto è così utilizzato? La creatina è un integratore ottimo, ma deve avere un razionale: non tutti i tipi di sport ne giustificano l’assunzione, ma ci deve essere una prescrizione, non farmacologica, ma di integrazione. Altrimenti, parliamoci chiaro, è alterare la prestazione. Non si sa se la creatina assunta oltre una certa grammatura possa fare male, ma sicuramente non produce effetti positivi sulla performance. Non esistono dati in letteratura e questo vale per moltissime sostanze. Una supplementazione può essere motivata solo da una carenza, o da un momentaneo stress dell’organismo, che si può verificare, per esempio, dalla perdita di massa magra, per cui utilizzerò sostanze pro-anaboliche o anti-cataboliche. Se, per esempio, l’atleta deve sostenere un impegno fisico importante protratto nel tempo posso utilizzare anche sostanze ergogeniche, Altrimenti, si va contro al primo principio della nutrizione dello sport che dice: preserviamo la salute dei nostri atleti.

Molti considerano l’assunzione di integratori alimentari come l’anticamera del doping: lei è d’accordo con questa opinione?
Quando qualsiasi prodotto viene utilizzato senza uno specifico razionale e a dosi elevate, si entra nel sottile confine fra integrazione, supplementazione e doping. Ma sia chiaro: se cerco un’iper-dose è perché voglio ottenere un ipereffetto. I nostri nonni non avevano bisogno di un nutrizionista dello sport, perché il rapporto con l’alimentazione era molto diverso: il cibo era l’energia immagazzinata necessaria per svolgere la propria giornata. Oggi l’attività fisica viene limitata a una parte della giornata, uno sforzo concentrato in un breve lasso di tempo rispetto al normale stato di sedentarietà, e non è detto che questo produca effetti sempre positivi. L’amatore a volte è a rischio di salute più del professionista, perché non è seguito da nessuno. In questi atleti il ruolo del nutrizionista sarebbe fondamentale. Come Sias (Società Italiana di Alimentazione e Sport) stiamo strutturando un questionario anamnestico per svolgere un’indagine epidemiologica sulle abitudini alimentari dello sportivo, a partire da come si alimenta, si idrata, se usa integratori e chi glieli prescrive. Le faccio un altro esempio con delle sostanze che sono attualmente molto di moda: gli antiossidanti. Ebbene, lo stress ossidativo è molto difficile da individuare e riconoscere, è un processo fisiopatologico che conosciamo ancora poco, eppure sono ormai tantissimi sul mercato i prodotti venduti come in grado di combatterlo: che logica ha? Valutiamo lo stress ossidativo e poi interveniamo con un’antiossidazione mirata. Anche le vitamine… una dose da 500 mg di vitamina C ha sicuramente un’azione antiossidante, ma esistono delle modalità e delle necessità di assunzione. Certo che se un atleta si alimenta in modo scorretto, considerando anche che il valore nutrizionale degli alimenti non è più quello di un tempo, ci può essere una carenza vitaminica: ma la carenza nutrizionale va comunque rilevata.

La ricerca già citata condotta dall’Istituto Superiore di Sanità ha inquadrato questo fenomeno di abuso di sostanze come “medicalizzazione dell’atleta”: infatti, oltre a integratori (assunti dal 70% degli sportivi) e vitamine soprattutto C e D (dal 100%), si è registrato un abuso di farmaci veri e propri (soprattutto FANS, antidolorifici con azione antinfiammatoria, fra i più utilizzati, anche alla ricerca di un’azione preventiva sul DOMS). Uno studio effettuato dalla Fifa su rapporti redatti dai medici delle squadre che hanno partecipato ai mondiali del 2002 e del 2006 riporta cifre elevatissime di consumo di integratori e farmaci, numeri che, nelle parole del responsabile del settore medico della FIFA Jiri Dvorak «sollevano interrogativi sul fatto che i medicinali siano presi solo per ragioni terapeutiche» facendo ipotizzare una eccessiva prescrizione di farmaci per uomini adulti sostanzialmente sani. Qual è la sua opinione in merito?
Io non sono un medico dello sport, ma come medico non sono assolutamente d’accordo. L’atleta è fondamentalmente una persona sana, anche se il professionismo porta spesso con sé dei problemi fisici importanti. Ma una macchina che si usura prima non giustifica, comunque, l’utilizzo indiscriminato di farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) o di altri tipi di trattamento. Sicuramente la possibilità di pianificare preparazioni atletiche sempre più mirate e individualmente differenziate rappresenta una difficoltà negli sport di squadra, ma io credo che l’atteggiamento tendenzialmente prescrittivo sia, purtroppo, anche retaggio della nostra formazione medica italiana. Il farmaco deve essere somministrato in fase acuta, quando c’è dolore, o infiammazione, sicuramente solo in presenza di una diagnosi. Invece, pensi solo che il pacco gara di una recente Stramilano conteneva un libretto di consigli utili*, in cui si indicava espressamente di prendere un’aspirina (che è un FANS) subito dopo la gara… ma si rende conto? Un anticoagulante! Teniamo anche conto che l’aspirina, andando a inibire le prostaglandine, ha un effetto negativo sulla diuresi e sul ricambio idrico… Poi è chiaro che, davanti a un trama acuto o infiammazione acuta, il medico deve fare il medico, anche se ci sarebbero comunque molti approcci diversi. Credo che l’approccio multidisciplinare, che include anche visioni non esclusivamente “mediche” come la fitoterapia, l’omeopatia, l’osteopatia, sia importante anche per capire il motivo che causa gli eventi traumatici o infiammatori. Altrimenti, è come prendere un antinfiammatorio per il mal di testa senza indagare mai sulle origini del mal di testa. Poi gli atleti si rompono lo stesso, ma se tenuti sotto controllo si riducono le incidenze.

* Da “10 consigli per la vostra prima maratona”, firmati da Linus. Con la collaborazione scientifica del Dottor Giuseppe Fischetto, specialista in Medicina dello Sport e Medicina Interna, responsabile Settore Sanitario Nazionale della Fidal, membro della Commissione Medica e antidoping della Federazione Internazionale atletica leggera. “tornano buoni due o tre consigli, questi sì uguali per tutti, dilettanti e professionisti. Subito dopo il traguardo un bicchiere di Coca Cola ha il potere di “ri-av-viare” il vostro stomaco come fate col vostro computer, qualcuno addirittura riesce a scolarsi una meravigliosa birra gelata. Poi un’aspirina per aiutare l’organismo a smaltire tutti i piccoli processi infiammatori, se non qualcosa di più potente con la supervisione di un medico sportivo”.

PROF. FABRIZIO ANGELINI
Medico Chirurgo Specialista in Endocrinologia – Docente di Psiconeuroendocrinologia Università di Parma – Medico Nutrizionista Juventus Fc Torino – Responsabile Sezione Nutrizione e Sport SIAS.

di Mia Dell’Agnello
pubblicato su Professione Fitness 4-2009

Soči 2014: le Olimpiadi di Putin

HRW_sochi_olympics_brochure-10L’organizzazione dei Giochi Olimpici non può essere paragonata a quella di nessun altro evento in termini di dimensioni, complessità, ritmo, intensità e posta in gioco. E quasi sempre, a ogni appuntamento, che siano invernali o estive, sono anticipate da una serie di polemiche che in genere riguardano la sproporzione fra i costi esorbitanti sostenuti e i benefici per la popolazione, lo sfruttamento del territorio e della manodopera. Le Olimpiadi che avranno inizio il 7 febbraio prossimo a Soči non fanno eccezione, anzi rappresentano l’esempio lampante e perfetto di quello che ci fa storcere il naso invece che fremere d’entusiasmo, alla vigilia di un evento sportivo di portata internazionale.bloombergJan_2014 Da quando, nel 2007, la Russia si è aggiudicata la gara per ospitare i Giochi Olimpici e Paralimpici 2014 è come se solo ora, a meno di un mese dall’inaugurazione, il mondo cominciasse a prenderne coscienza. I riflettori sono puntati e anche i media non sportivi dedicano Internazionale1033-1copertine e articoli: Internazionale, Bloomberg BusinessWeek, National Geographic. Ma quello che illuminano e rivelano non è propriamente entusiasmante.

COSTI ESORBITANTI E CORRUZIONE
Soči è una località adagiata lungo le spiagge del Mar Nero, una delle poche città subtropicali della Russia, il più grande e frequentato centro balneare estivo del paese. Anche se Soči ospita ufficialmente questi Giochi olimpici, di fatto le gare si svolgeranno ad Adler, 17 miglia a sud lungo la costa, e a Krasnaya Polyana, 29 miglia a est nella catena del Caucaso. Strutture e infrastrutture necessarie per ospitare queste Olimpiadi invernali sono state costruite praticamente da zero e, ora che tutto è quasi pronto, il balletto di cifre stimate per i lavori pare arrestarsi alla somma di 51 miliardi di dollari. Le gare non sono ancora cominciate, ma un primo record è già stato traguardato: queste sono le Olimpiadi più costose di sempre. Più costose di quelle estive di Pechino (43 miliardi dollari), nonostante le Olimpiadi invernali implichino un minor numero di atleti (2.500 contro 11.000), meno eventi (98 contro 300) e un minor numero di sedi (15 contro 40); 5 volte più costose degli ultimi Giochi invernali a Vancouver (9,2 miliardi dollari). Rispetto a queste ultime, è stato calcolato il costo per evento: nel 2010 a Vancouver sono stati realizzati 86 eventi, per un costo di 107 milioni a evento; a Soči sono in programma 98 eventi, per un costo a evento di 520 milioni di dollari. Quando nel 2007 la Russia si aggiudicò la gara, annunciò un budget necessario di circa 12 miliardi di dollari. Anche se la storia insegna che le stime iniziali non sono mai rispettate perché sempre sottovalutate, gli esperti sostengono che una differenza così rilevante può essere spiegata solo considerando il fattore corruzione. I leader dell’opposizione russa hanno valutato che, per ogni dollaro concretamente speso per la realizzazione delle strutture, tre scompaiono. Per esempio, la strada di collegamento dei due principali centri di gara pare che sia costata più di 150 milioni di dollari per chilometro, somma con cui quella stessa strada avrebbe potuto essere interamente pavimentata con un centimetro di spessore di caviale beluga. L’associazione internazionale Transparency International, che ogni anno redige il Corruption Perceptions Index (l’Indice di Percezione della Corruzione, intesa come l’abuso di pubblici uffici per il guadagno privato), colloca la Russia al 127° posto a livello globale (su 175 paesi), parimerito con Pakistan, Mali, Nicaragua. Per avere un’idea, l’Italia è al 69° posto.

TERRITORIO PATRIMONIO UNESCO
Dei 206 progetti di costruzione intrapresi, solo una parte è dedicata alle strutture per lo svolgimento dei giochi in senso stretto: stadi, piste, impianti di risalita e complessi di accoglienza. I lavori più impegnativi sono stati sul fronte delle infrastrutture: centrali idroelettriche, strade, ferrovie ad altà velocità; interventi profondamente invasivi in un territorio a ridosso del Caucaso del Nord, che è patrimonio dell’Unesco. Vista la necessità di realizzare un’ingente quantità di interventi in un tempo risicato, non si sono rispettate le regole legate agli appalti, sono state fatte deroghe alle leggi ordinarie ed è mancato il rispetto e la verifica della situazione idro-geologica del territorio. Gli ecologisti temono che l’alterazione degli equilibri naturali porterà gravi danni a tutta la regione, e già se ne vedono i primi risultati: una città sommersa da un fiume esondato a causa dei detriti scaricati nelle sue acque, la parete di una montagna franata (tirandosi dietro la pista per il salto con gli sci), un porto appena costruito distrutto da una mareggiata non prevista, ma prevedibile.
Il luogo non può definirsi dei migliori neanche dal punto di vista climatico e ora gli organizzatori temono le alte temperature, tanto che 450.000 metri cubi di neve sono già stati accumulati in caso di bel tempo: un vero paradosso, considerando che stiamo parlando della Russia!

DIRITTI UMANI
Il costo dell’intera operazione non si quantifica solo in denaro. Secondo il report redatto da Human Rights Watch molti abitanti della zona e molti lavoratori immigrati per l’occasione diritti umanistanno pagando un prezzo molto alto. Circa 2000 famiglie sono state sfollate per far posto alle costruzioni olimpiche, ma il processo di espropriazione non è stato trasparente. Molte di loro hanno perso case e terreni senza essere adeguatamente rimborsate; altre hanno subito danneggiamenti alle loro abitazioni o vivono sotto la minaccia di crolli e frane causate dai lavori. La necessità di trasformare rapidamente una piccola cittadina come Soči in una sede olimpica ha coinvolto circa 74.000 lavoratori, di cui 16.000 immigrati. Sempre secondo gli osservatori di Human Rights Watch diversi sono stati i casi di abuso e sfruttamento, con stipendi negati o ridotti, mancato rispetto dei turni di riposo, passaporti confiscati, alloggi e sistemazioni per i lavoratori al di sotto della minima soglia di decenza.
L’alta visibilità derivata dalle Olimpiadi poteva essere un motivo per fare pressione sulla Russia di Putin e ottenere cambiamenti sul rispetto dei diritti. Ma non è andata proprio così. Nel giugno 2013 è stata promulgata una legge che vieta la “propaganda dei rapporti sessuali non tradizionali” tra i minori. La legge non menziona esplicitamente la parola “omosessualità”, ma utilizza un eufemismo per dichiarare l’illegalità di eventi, manifestazioni, iniziative pubbliche o private promosse in difesa dei diritti dei gay, o che equiparano le relazioni gay ai rapporti eterosessuali. Nessuno paese ha accolto la richiesta di tanti attivisti e organizzazioni di boicottare questi giochi, ma ci sono state risposte simboliche, come quella del presidente degli Stati Uniti Barack Obama che ha annunciato che non andrà a Soči, ma invierà una delegazione composta di ex atleti dichiaratamente omosessuali. Tra i politici che, si dice, non hanno in programma di visitare i Giochi si annoverano anche il presidente tedesco Joachim Gauck, il cancelliere Angela Merkel, il presidente francese François Hollande e il primo ministro britannico David Cameron.

SICUREZZA
Le Olimpiadi si svolgono in una parte del territorio russo ancora molto instabile politicamente: Soči confina con sei repubbliche autonome della Russia del Caucaso del Nord, sede della seconda guerra cecena ed è confinante con la Georgia, teatro di una recente guerra che ha portato all’annessione della regione autonoma dell’Ossezia del sud. La regione del Caucaso che ospita le gare di sci, fino al 1864 fu abitata dai circassi, quando la Circassia fu invasa dall’Impero russo e più di un milione e mezzo di persone furono uccise o costrette all’esilio. I Giochi olimpici si svolgono proprio nel 150° anniversario di quello che è stato da molti definito un genocidio: www.noSoči2014.com è il sito che rappresenta la protesta dei circassi, il cui primo scopo è quello di consapevolizzare l’opinione pubblica sul passato e restituire alla coscienza un periodo storico che è stato volutamente censurato.
I due attentati suicidi di Volgograd, uno in ottobre e l’altro nel dicembre 2013, non sono stati rivendicati, ma ovviamente hanno sollevato ulteriori preoccupazioni internazionali per la sicurezza durante queste Olimpiadi.

La regione del Caucaso appare una scelta alquanto improbabile per mettere in scena la celebrazione di questa nuova Russia, ma non poteva esserci festa per Putin senza dimostrare al mondo la propria supremazia in questo territorio così combattuto e difficile. Tutti sapevano che i Giochi di Soči erano fondamentalmente una questione di prestigio personale per Putin, una vetrina per esporre al mondo la sua nuova Russia e il fulcro per il rilancio economico e geopolitico del paese. Rinunciando fin da subito a considerare il significato simbolico che i Giochi olimpici dovrebbero manifestare, l’occasione concreta per mettere in campo valori olimpici quali partecipazione, amicizia, lealtà, solidarietà, rispetto, coraggio, pace, uguaglianza e internazionalità, anche le motivazioni sportive mi appaiono ora alquanto offuscate: che peccato!

di Mia Dell’Agnello

Integrazione alimentare: che Zibaldone!

11617.14425Poco più di un anno fa Federsalus (Federazione Nazionale Produttori Prodotti Salutistici) ha presentato una ricerca, realizzata da Eta Meta Research, dal titolo “Il consumo di integratori alimentari in Italia”, volta a indagare l’universo dei consumatori (abituali o saltuari) di integratori alimentari. I dati emersi indicano innanzitutto che si tratta di un fenomeno consolidato, che trova nella ricerca della salute e del benessere psico-fisico la sua motivazione principale. Gli integratori più utilizzati sono soprattutto a base di vitamine, sali minerali (52,5%) e fermenti lattici (36%), seguiti da crusche e altre fibre/lieviti (15,9%) e prodotti energetici sportivi (14,4%). Questi ultimi sono scelti prevalentemente da un pubblico maschile, anche se, in genere, è il sesso femminile a utilizzare maggiormente gli integratori alimentari. A completare il profilo del consumatore, un livello di istruzione medio-alto, con buona predisposizione allo sport e alla cura dell’alimentazione. La maggioranza degli utilizzatori intervistati ne fa un uso regolare da oltre due anni e per gli acquisti si fa consigliare dal medico o dal farmacista, anche se è molto in uso la pratica del “fai da te” e del “passaparola” (quasi il 36% degli intervistati, percentuale che quasi raddoppia fra gli acquirenti del supermercato).
Dai dati presentati emergono due aspetti fondamentali. Il primo, riguarda l’interesse vivo e in crescita nei confronti degli integratori, interesse che non riguarda solo il target degli sportivi, ma fasce sempre più ampie di popolazione; il secondo aspetto pone in primo piano il valore fondamentale della comunicazione e la conseguente necessità di fornire informazioni corrette. In realtà, indagando sia le informazioni che passano attraverso i mass media, che quelle dei canali scientifici “ufficiali”, se ne ricava un quadro molto confuso, quando non contraddittorio, in cui è spesso difficile orientarsi.

L’AMBIGUO MONDO DEI MICRONUTRIENTI
La ricerca nel campo della nutrizione vanta una produzione vastissima di lavori ed è in continua evoluzione, ma questo può spiegare solo parzialmente la difformità di giudizio che emerge, soprattutto a proposito dell’integrazione alimentare dei micronutrienti, fra cui le vitamine rappresentano le sostanze più dibattute. Sono stati realizzati moltissimi studi che definiscono le vitamine “alimenti miracolosi”, così come altrettanti le dichiarano dannose per la salute. In tutti i casi, gli studi sono sempre suffragati da “evidenze scientifiche”. La Vitamina C, secondo le annate, è stata vilipesa o idolatrata. Diventata famosa quale antidoto per il raffreddore, è stata successivamente definita una vitamina “patetica” per la sua inutilità, quindi accusata di far venire il cancro se presa in dosi eccessive, quindi dichiarata in grado di uccidere le cellule cancerogene, se assunta per endovena in dosi elevate. Stessa sorte per la Vitamina D, che la pelle sintetizza come reazione fotochimica all’esposizione ai raggi di luce ultravioletta provenienti dal sole: dopo il grande interesse suscitato negli anni ‘20 per combattere il rachitismo, e il relativo disinteresse nei decenni successivi, è stata nuovamente riesumata per i suoi sorprendenti effetti anti cancro. Strettamente connessa all’osteoporosi, influenza la capacità dell’organismo di utilizzare il calcio. Anche a proposito dell’integrazione alimentare di calcio gli studi scientifici hanno dato risultati spesso contraddittori. Per anni consigliato per la prevenzione e cura dell’osteoporosi, è stato successivamente messo sul banco degli imputati. Uno studio epidemiologico condotto sulla popolazione femminile americana evidenziava percentuali di osteoporosi da record, nonostante i quantitativi di calcio assunti fossero fra i più alti al mondo. Altri studi rilevarono che il calcio preso in eccesso e non assorbito, poteva avere delle conseguenze anche importanti, come l’artrosi, i calcoli renali fino al favorire l’insorgenza di malattie cardiovascolari. Dunque, si affermò che il calcio non poteva essere assorbito nelle ossa senza l’aiuto del magnesio, dando il via a una nuova produzione di studi volti a suffragarne i grandi poteri: non solo si dimostrò che rallentava la perdita di massa ossea, ma addirittura invertiva il processo di osteoporosi, oltre ad aiutare la prevenzione delle malattie cardiache. Stessa grande confusione anche per quanto riguarda gli intermedi metabolici carnitina e creatina; basti dire, a proposito di quest’ultima, che in Italia il suo consumo è lecito, mentre in Francia è vietato e punito dalla legge sportiva.

FRA MEDICINA E ALIMENTAZIONE
Nel 2002, per uniformare le differenti leggi nazionali e proteggere la salute dei consumatori, è stata emanata la direttiva europea sugli integratori alimentari. Quando la direttiva è stata approvata, alcune questioni importanti sono state rimandate a decisioni future, fra cui i limiti di dosaggio di vitamine e minerali contenuti negli integratori e le fonti di nutrienti da permettere in questi prodotti. A distanza di sei anni, non è ancora stata presa alcuna decisione in merito, e non è difficile capire il perché. Gli integratori alimentari sono disciplinati dalla legislazione sui prodotti alimentari, perché non è riconosciuto loro nessun effetto terapeutico: eventuali indicazioni relative a cura o prevenzione di malattie farebbero rientrare il prodotto nel quadro legislativo dei medicinali. Dunque, si presuppone che l’alimentazione non abbia niente a che fare con la salute: il quadro legislativo dei medicinali, coerentemente, non ha posto per i nutrienti, quindi non si prevede che una sostanza nutriente, anche in forma concentrata, possa avere qualche effetto su una malattia specifica. Partendo da questi presupposti, è difficile stabilire dei limiti di dosaggio. Il contraddittorio di fondo è che da una parte si riconosce l’importanza di una corretta alimentazione per la salute e la prevenzione di alcune malattie, mentre dall’altra si impedisce qualsiasi informazione sulle proprietà dei nutrienti in questo senso. Inoltre, i limiti di dosaggio dovrebbero presupporre un’evidenza scientifica riguardo la dannosità di un nutriente oltre determinati dosaggi, evidenza che, a oggi, non è ancora stata dimostrata. Trattandosi di alimenti, dunque, la decisione se e in quale dose assumerne dovrebbe rientrare nella sfera delle decisioni personali, non certo imposta da direttive governative o sovranazionali. Anche in Italia gli integratori sono considerati come prodotti appartenenti all’area alimentare. Riguardo i livelli di assunzione massima giornaliera, si fa riferimento all’indicazione orientativa e generica di attenersi entro limiti di sicurezza (upper safe level), tenendo in considerazione le RDA (recommended dietary allowances). Eppure, nonostante siano considerati come prodotti alimentari, gli integratori, se assunti a scopo curativo, sono detraibili (fonte: rivista “Primo Piano Fiscale”), quindi considerati come i medicinali. L’Agenzia delle Entrate, infatti, ha affermato che “i prodotti detti integratori alimentari se prescritti da un medico specialista a scopo curativo possono essere detratti ai sensi dell’art. 15 del TUIR. La stessa cosa vale se a prescriverli è il medico di base”. Per la detrazione fiscale occorre lo scontrino fiscale parlante, ossia lo scontrino che indica il nome del prodotto, la natura e la quantità, e il codice fiscale dell’assistito, allegando preferibilmente la prescrizione medica (come avviene per la detrazione di tutti i prodotti non rimborsati dal Servizio Sanitario Nazionale).

INTEGRAZIONE SPORTIVA
Nel 2006 è stata condotta un’indagine su oltre 1500 atleti dalla Commissione di Vigilanza e il controllo sul doping e per la tutela della salute e delle attività sportive del Ministero della Salute (CVD). Il 64% del campione dichiarò di aver assunto prodotti farmaceutici, compresi omeopatici (soprattutto antinfiammatori), e prodotti salutistici in genere, nelle due settimane antecedenti il prelievo. Il 30% dei prodotti salutistici assunti sono rappresentati prevalentemente da sali minerali, vitamine, aminoacidi e derivati, estratti erboristici e da integratori alimentari, ovvero formulazione di varie associazioni di tutti questi prodotti. A farne largo uso sono atleti e sportivi, professionisti e dilettanti, che alimentano un mercato di dimensioni sempre più importanti e con ottime prospettive di ulteriore espansione. Ma se da una parte l’integrazione può costituire un’effettiva necessità, giustificata ed efficace, dall’altra può anche essere inutile ed eccessiva, se non addirittura illegale: il confine tra integrazione lecita e illecita è molto sottile, tanto che la sola definizione risulta estremamente difficile, a partire dal termine stesso di “integrazione”. Con questa parola ci si riferisce al fatto che, durante l’attività sportiva, si consumano sostanze biologiche che poi devono essere reintegrate, supportando i processi naturali fisiologici con aiuti specifici esterni. Eppure, durante l’attività fisica sono diverse le sostanze consumate, incluse quelle ormonali, e questo non può rappresentare un valido motivo per assumere, per esempio, testosterone o GH. Nelle “Linee Guida su integratori alimentari, alimenti arricchiti e funzionali” pubblicate dal Ministero della Salute, si definiscono integratori o complementi alimentari quei “prodotti che costituiscono una fonte concentrata di nutrienti o sostanze a effetto fisiologico, sia mono che pluricomposti, destinati a integrare o a complementare la dieta. Sono presentati in forma di tavolette, capsule, compresse, flaconcini e simili per fornire un apporto predefinito di nutrienti e/o di sostanze a effetto fisiologico”. Nella denominazione deve figurare la dizione “integratore alimentare” o “complemento alimentare”. Sono suddivisi in:
- integratori di vitamine e/o di minerali;
- integratori di altri “fattori nutrizionali”;
- integratori di aminoacidi;
- derivati di aminoacidi;
- integratori di proteine e/o energetici;
- integratori di acidi grassi;
- integratori a base di probiotici;
- integratori di fibra;
- integratori o complementi alimentari a base di ingredienti costituiti da piante o derivati.
Gli integratori alimentari sono naturalmente acquistabili senza prescrizione medica e sono liberamente venduti in farmacia, supermercati, erboristerie, palestre e negozi specializzati. Questa notevole disponibilità ha contribuito a generare molta confusione rispetto alla loro funzione ed efficacia, oltre che un certo avventato pressappochismo riguardo a posologia e modalità d’uso. Soprattutto in riferimento ad alcune categorie di prodotto ci si trova spesso davanti a scelte insidiose, su una linea borderline fra lecito e illecito difficilmente identificabile. Si tratta di un settore in continua evoluzione, in cui, di fatto, la legittimità si basa più su questioni etiche che scientifiche e per questo risulta difficilmente ingabbiabile in una normativa che non lasci spazio alla libertà d’interpretazione e all’abuso. Appellarsi al buon senso, come spesso accade, risulta la migliore soluzione.

Di Mia Dell’Agnello

Pubblicato su Professione Fitness 3/2008 

Predisporre all’ascolto: nuovi paradigmi della comunicazione

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C’è una premessa fondamentale e necessaria, senza la quale la comunicazione non può avvenire e riguarda il ruolo dell’ascoltatore, molto spesso dato per scontato da parte di chi, avendo qualcosa da comunicare, presuppone la predisposizione dell’altro a recepire il messaggio. La predisposizione all’ascolto è la condicio sine qua non della comunicazione, intesa come atteggiamento culturale volto a mettere in comune, condividere, partecipare.

LA CAPACITà DI ASCOLTO
Il professor Alfred Tomatis, otorinolaringoiatra italo-francese (1920-2000), ha sviluppato una complessa teoria dell’ascolto basata sulle funzioni neurofisiologiche dell’apparato uditivo, in cui riconosce all’orecchio il ruolo primario non tanto dell’udito (identificato come processo passivo), quanto proprio dell’ascolto, ovvero il processo attivo tramite cui i suoni uditi sono selezionati in base al nostro interesse e viene loro attribuito un significato, evidenziando la relazione esistente fra orecchio, linguaggio e psiche. L’incapacità di ascolto è spesso causata da fattori di natura non organica, ma emotiva e psicologica e si traduce nell’incapacità di selezionare il segnale che ci interessa (escludendo i non pertinenti) e concentrarsi su di esso per elaborarlo e riorganizzare l’informazione. Il cattivo utilizzo di questa funzione, se non correttamente rieducato, può essere causa di diverse patologie: ritardi dell’apprendimento, dislessia, balbuzie, generali difficoltà di interagire con l’ambiente esterno che possono arrivare all’autismo. Spesso, queste disfunzioni sono di tipo difensivo e hanno lo scopo, più o meno conscio, di interrompere la comunicazione con l’esterno.
Il ruolo dell’ascoltatore è tanto più difficile, quanto più la vita sociale è invasa da rumori. La nostra società è caratterizzata da un eccesso di comunicazione: la somma di tanti messaggi diventa un unico rumore di fondo, nel quale si fa fatica a recuperare comunicazioni di significato. Le persone sono considerate come bersagli da colpire con azioni di marketing sempre più esasperate, la cui unica strategia parrebbe quella di gridare sempre più spesso e sempre più forte. Per di più, le nuove tecnologie hanno consentito, nel tempo, l’utilizzo di strumenti sempre più penetranti, che spesso invadono il territorio privato costringendo le persone a difendersi, sia utilizzando barriere tecnologiche (dalla segreteria telefonica ai filtri per la posta elettronica), che, più o meno consciamente, adottando barriere psicologiche di non ascolto.

IL NUOVO CONSUMATORE
Chi ha qualcosa da comunicare deve prima di tutto recuperare l’ascoltatore, utilizzando una forma di comunicazione diversa, volta a restituire valore all’ascoltatore e a riconoscerne la dignità. Tanto più che, di fatto, l’ascoltatore/consumatore la sua dignità se la sta già riprendendo, nel mondo del web, dove nell’arco di pochi anni sono saltati tutti i paradigmi base dei processi comunicativi. La comunicazione tradizionale, strettamente correlata al ruolo che l’azienda si è ritagliata nel tempo, è sempre stata una comunicazione unidirezionale, in cui l’azienda comunicava e il cliente fungeva da ascoltatore passivo. Su questa gerarchia si è strutturato tutto il rapporto azienda-cliente, dalle politiche di marketing alle strategie manageriali. Nella maggior parte dei casi anche le tecniche di comunicazione più evolute si sono concentrate nel costruire un brand aziendale forte e monolitico, volto a rappresentare una realtà irrealmente perfetta, che il consumatore doveva solo assorbire passivamente. Da qualche anno a questa parte, lo scenario si sta modificando e il consumatore, più consapevole, acquisisce una rinnovata dignità, sostenuta dall’utilizzo di nuovi mezzi di conoscenza. Strumenti non convenzionali, svincolati dall’autorità aziendale e non governabili, che hanno consentito il proliferare in rete di social network, blog e community, tramite cui gli internauti si trasmettono informazioni, comunicano, si scambiano opinioni, diventando improvvisamente interlocutori, a volte scomodi, a volte preziosissimi. Sono in numero sempre maggiore le persone che, dovendo acquistare un prodotto o un servizio, utilizzano la rete per avere informazioni, che ricavano non tanto dai siti ufficiali delle aziende, quanto piuttosto utilizzando i social network, per avere il parere di altri consumatori. Il valore attribuito ai messaggi che passano attraverso queste voci è elevatissimo, ed è sicuramente molto più credibile e seguito rispetto ai messaggi confezionati e distribuiti direttamente dalle aziende. La conseguenza di ciò è che anche i paradigmi del buon vecchio marketing si stanno ribaltando: quello che prima suonava come “suscita i bisogni e poi soddisfali”, ovvero spingi il mercato, Push marketing, ora si sta trasformando in Pull marketing, perché sono le persone che valutano, confrontano e scelgono in un contesto libero da contaminazioni aziendali. Utopia? Sicuramente eccessiva lungimiranza, vista la lentezza con cui il mondo imprenditoriale sta reagendo ai nuovi input del mercato, incapace di cogliere una grande, grandissima opportunità.

RECUPERARE IL MERCATO
A noi è capitato un episodio interessante. Volendo scrivere un articolo su di una multinazionale straniera da poco trapiantata in Italia, abbiamo pensato di realizzare un’intervista con il responsabile per il nostro paese che, ben contento, ci ha dato la sua disponibilità. Per raccogliere in massimo delle informazioni possibile, come spesso succede, abbiamo utilizzato la rete, andando a visitare anche diversi blog per capire quale fosse la percezione da parte degli utenti. Non abbiamo trovato sorprese ma, come immaginavamo, pareri positivi e negativi sul servizio offerto, pareri che spesso, trovando corrispondenza fra loro, creavano un’assonanza tale da fortificare i singoli, dando validità e spessore a tutti gli interventi. Formulando la nostra scaletta per l’intervista, abbiamo inserito anche una parte che riguardava le critiche lette, una piccolissima parte, sicuri del fatto che l’azienda avrebbe colto questa opportunità per giustificare, spiegare, confutare ciò che le veniva contestato. Pensavamo che ne sarebbe uscito un articolo interessante, in cui l’azienda avrebbe fatto la sua solita bella figura, ma utilizzando uno strumento nuovo, tanto più che, avendo una struttura molto organizzata, aveva a propria disposizione responsabili marketing, uffici di comunicazione, addetti alle pubbliche relazioni. Una volta ricevuta la scaletta, l’intervista ci è stata negata. Scusate se abbiamo parlato di noi, ma l’esempio ci è sembrato emblematico: l’atteggiamento della maggior parte delle aziende è ancora legato a vecchi moduli di comunicazione, che vivono con l’unico scopo di lustrare un’immagine patinata che non corrisponde mai alla realtà aziendale né, tanto meno, al percepito del mercato. Così il consumatore gioca d’anticipo, scrive il suo parere, confronta e valuta, in un territorio libero dove, volendo, le aziende avrebbero modo di inserirsi, se solo avessero il coraggio di abbandonare i vecchi paradigmi. Il mercato si organizza da solo, più rapidamente, e cerca da solo i prodotti e i servizi che corrispondono alle sue esigenze: in futuro la comunicazione aziendale rischia di essere totalmente tagliata fuori. È questa sordità aziendale, per tornare all’inizio, che impedisce alle aziende di trovare una propria banda passante, ovvero una lunghezza d’onda che le consenta di parlare e di essere ascoltata dal pubblico. Un autismo aziendale causato dall’autoreferenzialità per cui “il mondo sono io”, senza confronto, senza discussione. Recuperare la capacità di ascolto vuol dire riprendere la percezione del mercato, nella consapevolezza che questo non è più costituito da rigidi segmenti di target, ma da persone che oggi hanno la possibilità di scegliere.

THE CLUETRAIN MANIFESTO: THE END OF BUSINESS AS USUAL
Nel 1999 fu pubblicato sul web, ad opera di un gruppo di “comunicatori” (Christopher Locke, Rick Levine, Doc Searls, David Weinberger), un manifesto per la comunicazione d’impresa nel mondo on line, che diventò presto un vero e proprio fenomeno, riferimento fondamentale per il grande spirito innovativo in esso contenuto. Articolato in 95 tesi, il Cluetrain (letteralmente: treno carico di indizi, idee, suggerimenti) si pone come obiettivo quello di sollecitare una riforma del linguaggio utilizzato dalle aziende per comunicare on line. Di queste ne presentiamo solo qualcuna, ma suggeriamo di leggerle tutte: potete trovarle riassunte in Wikipedia, oppure nella traduzione italiana del testo a cura di Antonio Tombolino (Fazi editore). 1. I mercati sono conversazioni
2. I mercati sono fatti di esseri umani, non di segmenti demografici.
3. Le conversazioni tra esseri umani suonano umane. E si svolgono con voce umana.
4. Sia che fornisca informazioni, opinioni, scenari, argomenti contro o divertenti digressioni, la voce umana è sostanzialmente aperta, naturale, non artificiosa.
5. Le persone si riconoscono l’un l’altra come tali dal suono di questa voce.
6. Internet permette delle conversazioni tra esseri umani che erano semplicemente impossibili nell’era dei mass media.
7. Gli iperlink sovvertono la gerarchia.
9. Queste conversazioni in rete stanno facendo nascere nuove forme di organizzazione sociale e un nuovo scambio della conoscenza.
10. Il risultato è che i mercati stanno diventando più intelligenti, più informati, più organizzati. Partecipare a un mercato in rete cambia profondamente le persone.
11. Le persone nei mercati in rete sono riuscite a capire che possono ottenere informazioni e sostegno più tra di loro, che da chi vende. Lo stesso vale per la retorica aziendale circa il valore aggiunto ai loro prodotti di base.
12. Non ci sono segreti. Il mercato online conosce i prodotti meglio delle aziende che li fanno. E se una cosa è buona o cattiva, comunque lo dicono a tutti.
16. Le aziende che non capiscono che i loro mercati sono ormai una rete tra singoli individui, sempre più intelligenti e coinvolti, stanno perdendo la loro migliore occasione.
17. Le aziende possono ora comunicare direttamente con i loro mercati. Se non lo capiscono, potrebbe essere la loro ultima occasione.
18. Le aziende devono capire che i loro mercati ridono spesso. Di loro.
19. Le aziende dovrebbero rilassarsi e prendersi meno sul serio. Hanno bisogno di un po’ di senso dell’umorismo.
20. Avere senso dell’umorismo non significa mettere le barzellette nel sito web aziendale. Piuttosto, avere dei valori, un po’ di umiltà, parlar chiaro e un onesto punto di vista.
21. Le aziende che cercano di “posizionarsi” devono prendere posizione. Nel migliore dei casi, su qualcosa che interessi davvero il loro mercato.
26. Le Pubbliche Relazioni non si relazionano con il pubblico. Le aziende hanno una paura tremenda dei loro mercati.
27. Parlando con un linguaggio lontano, poco invitante, arrogante, tengono i mercati alla larga. 32. Per parlare con voce umana, le aziende devono condividere i problemi della loro comunità. 33. Ma prima, devono appartenere a una comunità.
39. Le aziende fanno della sicurezza una religione, ma si tratta in gran parte di una manovra diversiva. Più che dai concorrenti, la maggior parte si difende dal mercato e dai suoi stessi dipendenti.
58. Questo è suicidio. I mercati vogliono parlare con le aziende.
62. Vogliamo accedere alle vostre informazioni, ai vostri progetti, alle vostre strategie, ai vostri migliori cervelli, alle vostre vere conoscenze. Non ci accontentiamo delle vostre brochures a 4 colori, né dei vostri siti Internet sovraccarichi di bella grafica ma senza alcuna sostanza.
66. Il linguaggio tronfio e gonfio con cui parlate in giro – nella stampa, ai congressi – cosa ha a che fare con noi?
69. Le vostre vecchie idee di “mercato” ci fanno alzare gli occhi al cielo. Non ci riconosciamo nelle vostre previsioni – forse perché sappiamo di stare già da un’altra parte.
70. Questo nuovo mercato ci piace molto di più. In effetti, lo stiamo creando noi.
75. Siete troppo occupati nel vostro business per rispondere a un’e-mail? Oh, spiacenti, torneremo. Forse.
76. Volete i nostri soldi? Noi vogliamo la vostra attenzione.
78. Niente paura, potete ancora fare soldi. A patto che non sia l’unica cosa che avete in mente. 87. Il nostro potere è reale e lo sappiamo. Se non riuscite a vedere la luce alla fine del tunnel, arriverà qualcuno più attento, più interessante, più divertente con cui giocare.
89. Siamo leali verso noi stessi, – i nostri amici, i nostri nuovi alleati, i nostri conoscenti, persino verso i nostri compagni di battute. Le aziende che non fanno parte di questo mondo non hanno nemmeno un futuro.
95. Ci stiamo svegliando e ci stamo linkando. Stiamo a guardare, ma non ad aspettare.

Di Mia Dell’Agnello

Pubblicato su Professione Fitness 6/2007

Il futuro non è più quello di una volta*

 *Lawrence Peter Yogi Berra, giocatore e allenatore di baseball statunitense, famoso anche per i suoi aforismi
ingranaggi cervello

Si chiama “singolarità” ed è il periodo storico in cui stiamo entrando, o meglio, in cui siamo già entrati, ma ancora non lo sappiamo. La sua caratteristica principale è determinata dall’innovazione tecnologica che evolverà in maniera così rapida da modificare radicalmente «i concetti base che utilizziamo per dare significato alla nostra vita, dal modo in cui facciamo affari, al ciclo della vita umana, morte compresa». Parola di Raymond Kurzweil, inventore, tecnologo e futurologo, da molti considerato l’erede di Edison, vincitore di riconoscimenti internazionali e autore di diversi libri, fra cui “La singolarità è vicina”, edito da Apogeo. Secondo Kurzweil, la maggior parte delle previsioni a lungo termine è basata su un’interpretazione storica lineare, inadeguata per capire invece il mondo di domani, in cui i cambiamenti determinati dall’applicazione delle tecnologie avranno una velocità di crescita esponenziale. Insomma, l’accelerazione del progresso sarà tale che non è possibile raffigurarsela con i punti di riferimento attualmente a disposizione, se non con un certo sforzo. L’attuale tasso di progresso è stato quantificato, in media, essere cinque volte superiore a quello che ha caratterizzato il ventesimo secolo e raddoppia ogni decade: di conseguenza, nell’arco di venticinque anni avremo l’equivalente di un secolo di progresso. E via, esponenzialmente. I progressi più rivoluzionari hanno a che fare con le nanotecnologie derivate dall’unione tra biologia e informatica, che consentiranno la manipolazione della realtà fisica a livello molecolare. Incredibile? Eppure qualcosa del genere esiste già: si chiama “Respirocyte” ed è un eritrocita nanomedicale, globulo rosso artificiale disegnato in un istituto americano per duplicare tutte le funzioni della cellula. Allo stesso modo saranno realizzati nanorobot molecolari che assolveranno a diverse funzioni all’interno del corpo umano, fino ad arrivare a contrastare l’invecchiamento cellulare… «La singolarità ci permetterà di superare le limitazioni di corpo e cervello biologico. Otterremo il controllo dei nostri destini. La nostra mortalità sarà nelle nostre mani». Altro passo determinante sarà il “reverse engineering”, ovvero la reingegnerizzazione del cervello, partendo dalla sua completa e totale mappatura, per arrivare alla sua riproduzione, incluse le competenze tipicamente “umane” (capacità di risolvere problemi, intelligenza morale ed emotiva…), naturalmente potenziata e migliorata dalle caratteristiche tipiche dell’intelligenza non umana (memoria, potenza, velocità, condivisione di informazioni). «Nei prossimi 25 anni, l’intelligenza non-biologica eguaglierà la ricchezza e la raffinatezza dell’intelligenza umana per poi superarla abbondantemente grazie a due fattori: la continua accelerazione del progresso dell’informatica e la capacità, delle intelligenze non-biologiche, di condividere rapidamente il proprio sapere… Arriveremo al punto in cui il progresso tecnologico sarà talmente rapido da essere incomprensibile per l’intelletto umano non incrementato. Quel momento contrassegnerà la singolarità». Dunque, questi concetti vi paiono incredibili? Anche questo fa parte del quadro: siamo ancora in fase pre-singolarità e i limiti dell’intelligenza umana possono essere superati solo con una grande capacità di astrazione.

INTERNET: NUMERI CHE CRESCONO
La teoria della singolarità è senza dubbio molto affascinante, anche se, come previsto dallo stesso Kurzweil, si fa un po’ fatica a starle dietro. Eppure, riguardo l’evoluzione delle tecnologie, anche noi, anche adesso, avvertiamo un certo disagio nel percepire una velocità di crescita che già esiste e che contamina e modifica tutta la nostra vita; una sensazione di non essere mai abbastanza “sul pezzo”, di essere sempre un pochino più indietro, unita alla desolante consapevolezza che, appena divenuti padroni di una tecnologia, questa sarà già obsoleta. Pensiamo al salto quantico avvenuto negli ultimi venti anni. Negli anni ottanta nessuno avrebbe detto che internet, costituito allora da qualche migliaia di server, potesse diventare un fenomeno di massa. Quando nel 1995 Sergey Brin e Larry Page, poco più che ventenni, cominciarono a studiare il modo per districarsi fra i contenuti della Rete per sfruttare al meglio quello che già allora era un immenso contenitore di informazioni, nessuno avrebbe detto che in un solo decennio quell’esperimento sarebbe diventato Google, un’impresa con diecimila dipendenti sparsi in tutto il pianeta che in Borsa vale più di Walt Disney, Ford e General Motors messe insieme. Anche se le statistiche che vorrebbero inquadrare il “fenomeno internet” risultano spesso poco obiettive, quando non contraddittorie, risulta evidente che tutto ciò che riguarda la Rete continua a registrare segni positivi. Crescono i naviganti, anche se con proporzioni ancora molto legate al livello d’istruzione, e cresce il tempo dedicato alla navigazione. I dati Istat relativi al 2008 sostengono che il 40,2% della popolazione (dai 6 anni in su) naviga in Internet e il 17,7% di loro lo fa quotidianamente. Il Rapporto annuale Censis, raffrontando un periodo di tempo maggiore (2003 – 2007), può parlare di “balzo in avanti” nell’uso di Internet, soprattutto da parte dei giovani italiani tra 14 e 29 anni, la cui utenza complessiva (uno o due contatti la settimana) è passata dal 61% del 2003 all’83% del 2007 e l’uso abituale (almeno tre volte la settimana) dal 39,8% al 73,8%. Secondo una ricerca condotta da Nielsen Online (il servizio di The Nielsen Company per l’analisi e la misurazione certificata di audience Internet, advertising online, video, consumer-generated media, passaparola digitale, e-commerce e più in generale del comportamento dell’utente online) sono aumentati tutti gli indicatori relativi ai consumi internet. Per esempio, analizzando il mese di dicembre, ogni navigatore ha passato nel web 26 ore al mese contro le 20 di dicembre 2007, collegandosi 33 volte e visitando 82 siti, contro le 29 volte e i 66 siti visitati un anno fa. Secondo i dati riportati da Sedo (il più grande portale internazionale per comprare e vendere domini e pagine web su Internet) nel 2008 il numero di domini venduti è cresciuto del 35% rispetto all’anno precedente, mentre il volume totale delle transazioni ha raggiunto i 53.135.710 euro (per curiosità: il dominio più caro del 2008, venduto attraverso Sedo a un prezzo di 1,17 milioni di dollari americani, è stato Kredit.de).

YES, WEB CAN
Oltre a una crescita quantitativa, è importante evidenziare anche una crescita qualitativa nell’utilizzo degli strumenti del web. Sempre secondo i dati presentati da Nielsen Online, il 2008 è stato l’anno di community, blog e social network, un fenomeno che consente di fare almeno due considerazioni. La prima è che la navigazione in rete rientra ormai nei comportamenti consolidati degli utenti, tanto che il legame tra offline e online ne risulta sempre più rafforzato. La seconda considerazione ha a che fare con la “maturità” di utilizzo degli strumenti web, con la capacità di cogliere nella sua pienezza quel nuovo modo di comunicare che sta generando una vera e propria rivoluzione culturale anche nel mondo delle imprese, ribaltando i paradigmi del marketing. I consumatori diventano, finalmente, persone, che tramite il web si confrontano direttamente sugli acquisti esprimendo opinioni e cercando soluzioni “su misura”, tagliando fuori la voce istituzionale delle aziende. Gli “user generated content” (ovvero i contenuti generati direttamente dagli utenti tramite blog, commenti, forum di discussione) stanno acquisendo sempre più importanza nell’orientare i comportamenti di acquisto, tanto da costringere le imprese a interessarsene, trovando nuove modalità di interazione. Per capire quanta potenzialità sia racchiusa nella rete è sufficiente ricordare cosa è capitato alle ultime elezioni americane, nelle quali Barack Obama si è trasformato in un “consumer brand” attraente, globale, riconoscibile e condivisibile. Ha creduto nel modello partecipativo della rete, ne ha assimilato le modalità di diffusione, si è fatto affiancare da una squadra di collaboratori d’eccellenza, del calibro di Chris Hughes, uno dei quattro fondatori di Facebook (24 anni!). È penetrato nell’universo del web 2.0 rifornendo la rete di informazioni, materiali, video, utilizzando i canali di diffusione più tradizionali per i navigatori (come Facebook e MySpace), stimolando conversazioni, raccogliendo opinioni, ascoltando. Ha definito un sito per il social-networking (www.my.barackobama.com, meglio conosciuto come MyBo), strutturato in modo tale da riuscire a mantenere attivi i contatti con milioni di potenziali elettori, tramite conversazioni telefoniche, SMS, email. È riuscito a entrare in contatto (reale, non virtuale) con un numero di persone impensabile senza la rete, favorendone la partecipazione spontanea e diffondendo il proprio “brand” in maniera virale. Tramite microversamenti individuali ha raccolto una quantità di fondi per il finanziamento della campagna elettorale mai raggiunta da nessun altro candidato (a luglio 2008 più di un milione di sottoscrittori avevano versato oltre 200 milioni di dollari). Nel giro di alcuni mesi da Mister Nessuno è diventato il concorrente democratico prescelto per la corsa alla Casa Bianca, superando Hillary Clinton; ora è il primo afroamericano a diventare presidente degli Stati Uniti. Certo, non che il merito sia solo del web, ma che la comunicazione online sia stata fondamentale per il successo di Obama, nessuno lo mette in discussione. Peraltro, anche gli altri concorrenti hanno utilizzato gli stessi strumenti, ma il modo in cui l’hanno fatto è stato differente. Per questo ora il “modello Obama” è diventato materia d’insegnamento presso diverse Università nel mondo. Beh, se non è futuro questo…

di Mia Dell’Agnello

pubblicato su Professione Fitness 2-2009

Quando il corpo e la prestazione diventano un’ossessione

Immagine 1Il corpo è diventato un campo di battaglia: non riusciamo più ad accettarne il naturale sviluppo, ognuno con il suo bagaglio genetico, ognuno secondo i propri limiti. Il corpo perde il suo valore nel presente e diventa un progetto su cui perseverare, inseguendo un’idea, una rappresentazione che nulla ha a che fare con la materia che abbiamo a disposizione. Il corpo è diventato il centro di tutto, occupa lo spazio dei pensieri anche perché, dicono i sociologi, rappresenta l’unico punto fermo in una realtà “liquida” che di punti fermi non ne ha più. Il corpo viene tatuato, schiarito, scurito, ridisegnato, gonfiato, sgonfiato, tagliato e ricucito, sottoposto a regimi alimentari che stenta a sopportare, a fatiche fisiche, cure dolorose. Il corpo ingurgita farmaci, per trovare un rimedio chimico a qualsiasi difficoltà, per inseguire un miracolo o solo per alleviare sofferenze da noi stessi provocate. E sarebbe ingenuo non considerare quanto incidano, su questi cambiamenti sociali, gli interessi di Big Pharma, le grandi case farmaceutiche che investono molto più denaro in marketing che in ricerca e sviluppo, i cui guru della comunicazione sono spesso orientati alla creazione di nuove malattie, o all’allargamento dei loro target con l’inclusione di fasce sempre più ampie di popolazione. La timidezza diventa fobia sociale, la tensione premestruale diventa una sindrome. La menopausa, anziché un normale processo fisiologico, è una malattia da deficienza ormonale. Osteoporosi, ipertensione, colesterolo alto: i fattori di rischio si sono trasformati essi stessi in malattie, ovviamente croniche, e per questo molto remunerative. Nelle linee guida, spesso scritte con le penne delle case farmaceutiche, il confine della normalità di alcuni parametri si sposta sempre più, in modo da aumentare il numero di malati e quindi il bacino d’utenza dei farmaci. Secondo le ultime classificazioni dei livelli di colesterolo, sarebbero circa 40 milioni gli americani che necessitano di cure, mentre il 90% degli anziani sarebbe colpito dall’ipertensione. Normalissime esperienze umane sono vendute come sintomi evidenti di qualche malattia: essere sovrappeso, perdere i capelli, essere timidi, tristi, insoddisfatti delle proprie prestazioni sessuali… le case farmaceutiche sono sempre a caccia di nuove malattie, e noi siamo ben disposti al gioco, pur di avere una facile soluzione per tutto ciò che non ci soddisfa. È la nuova tossicodipendenza, fatta di psicofarmaci, perché la medicalizzazione del disagio è socialmente accettata e la sostanza viene assunta non per fuggire (come nel caso degli stupefacenti), ma per “guarire” il disagio stesso. Quando la ricerca della salute giunge a livelli estremi e ossessivi, diventa essa stessa fonte di malattia.
ragazza schiena 2Anche nello sport stiamo assistendo a un fenomeno di medicalizzazione pericoloso, non solo nella sostanza, ma anche nella forma, come approccio comportamentale, perché suggerisce l’assunzione di “altro” e coinvolge anche e sempre più lo sport non agonistico e gli atleti di giovane età. Si fa spesso ricorso ad aiuti esterni per un corpo che non ce la fa a rispondere ad aspettative elevate: dagli integratori ai farmaci fino ad arrivare al doping, la priorità non è la salute di quel corpo, quanto il risultato che quel corpo può raggiungere. Così il corpo è un terreno su cui esercitare il proprio controllo: un corpo che deve diventare indifferentemente più veloce, più muscoloso, più resistente, più magro, più bello. Impossibile non individuare un filo conduttore comune fra queste diverse espressioni di “eccesso”, che qualcuno definisce “patologie dell’immagine” in cui, dai disturbi alimentari per arrivare al doping, si delinea una dinamica psicologia analoga, ove la dipendenza da un oggetto esterno, sia esso cibo o sostanza chimica, porta con sé una valenza distruttiva, vissuta in modo compulsivo. Una dinamica psicologica che trae sostentamento e forza dagli stessi input sociali e dai medesimi modelli comunicativi. In tutto questo pensiamo che il fitness giochi un ruolo fondamentale. Per discostarsi da quel modello, e per non contribuire a questo gioco al massacro è importante, crediamo, una presa di posizione netta, che mira ancora una volta al riconoscimento del centro fitness come luogo dove si va per stare meglio, partendo dal corpo per arrivare alla testa. Il ruolo educativo è, a questo punto, inevitabile nei confronti di tutti coloro che vi approdano, attirati come mosche al miele. Anoressiche, bulimiche, ortoressici, body builder estremi, malati della forma a tutti i costi, atleti, che dal loro corpo pretendono ciò che naturalmente non riusciranno mai a ottenere, impantanati in un gioco perverso di cui spesso chiedono al professionista del fitness di tracciare le regole: consigli alimentari, supplementazioni, tabelle di allenamento, tutto può diventare strumento atto allo scopo. Da questo gioco è bene prendere le distanze, prima che qualcuno possa trasformare il fitness in una malattia e le palestre in luoghi di perdizione.

Di Mia Dell’Agnello
Pubblicato su Professione Fitness 4/2009

Dal termalismo tradizionale a quello del benessere

19L’Italia è fra le nazioni maggiormente ricche di acque termali, fonti distribuite su tutto il territorio, con una concentrazione maggiore in Emilia Romagna, Veneto, Campania e Toscana. Dati riferiti al 2005 parlano di 390 stabilimenti termali, di cui 308 attivi, dislocati in 159 località. Sui 308 stabilimenti attivi, 65 sono società di capitali; di queste, solo 19 hanno un fatturato che supera i 5 milioni di euro, mentre 22 aziende (circa il 34%) presentano un fatturato compreso fra 1 e 2 milioni di euro, per un giro d’affari totale del sistema termale pari a 317,9 milioni di euro che, includendo l’indotto, sale a 2.140 milioni di euro (dati relativi al 2002). Nel secondo Rapporto su sistema termale in Italia 2004, realizzato da Federterme-Confindustria con la collaborazione di Mercury srl (società che ha curato la realizzazione del volume) e de Il Sole24 ore (editore), per la prima volta si utilizza il concetto di benessere termale, inteso “come prodotto che trae forte valore aggiunto dall’utilizzo di risorse, di strumenti ed esperienze termali: in altre parole si validano e si ca ratterizzano quei trattamenti benessere, che possono essere praticati solo nei centri termali, distinguendoli dagli altri che possono essere effettuati ovunque. Il benessere termale è inteso come superamento e integrazione della distinzione e contrapposizione, fino a oggi esistente, fra la concezione termale tradizionale e quella del benessere”.

UN CAMBIAMENTO FATICOSO
Attualmente quello del benessere termale è un mercato molto dinamico e in forte rilancio competitivo, che sta mettendo in discussione il concetto stesso di terme, tradizionalmente ancorato quasi esclusivamente alla cura della salute fisica, con un’offerta di tipo terapeutico, preventivo o riabilitativo. In effetti, le aziende termali tradizionali erano imprese che gravitavano nel regime protetto del Sistema Sanitario Nazionale, la cui proprietà demaniale e gestione pubblica spesso rappresentava un vincolo per il loro sviluppo. Nel momento in cui si è vista la possibilità di allargare l’offerta termale per accogliere la crescente richiesta di benessere, un ulteriore freno è stato dato dalla diffidenza di chi voleva difendere il valore terapeutico delle acque termali dalle contaminazioni del mercato emergente, visto come minaccia da evitare più che opportunità da cogliere. Atteggiamento, questo, abbastanza comprensibile, considerata l’ambiguità con cui veniva volontariamente condotta la comunicazione del mercato benessere. Una comunicazione che spesso danneggiava le aziende termali, proponendo un utilizzo improprio delle parole terme, termale, spa, ecc., abuso compiuto sia dai centri erogatori di servizi benessere (fitness, estetici, day spa, e altri) che dagli stessi mass media. La confusione generata portò a emettere una legge di riordino del settore termale (L n° 323 del 2000), nella quale è stabilito che:
- acque termali sono “le acque minerali naturali utilizzate a fini terapeutici”;
- cure termali sono “le cure, che utilizzano acque termali o loro derivati, aventi riconosciuta efficacia terapeutica per la tutela globale della salute nelle fasi della prevenzione, della terapia e della riabilitazione delle patologie erogate negli stabilimenti termali”.
Pertanto: “I termini terme, termale, acqua termale, fango termale, idrotermale, idrominerale, thermae, spa (salus per aquam) sono utilizzati esclusivamente con riferimento alle fattispecie aventi riconosciuta efficacia terapeutica”. Una serie di fattori ha contribuito a modificare l’atteggiamento di chiusura nei confronti del nuovo:
- il forte calo di cure termali tradizionali (oltre il 38% dal 1990 ad oggi), sempre meno prescritte dai medici di base e sempre meno finanziate dal SSN;
- il processo di privatizzazione della gestione delle aziende termali che, a partire dal 1997, sta lentamente coinvolgendo tutto il comparto;
- la domanda sempre più pressante di prodotti e servizi legati al concetto di benessere.

IL NUOVO PRODOTTO TERMALE
In alcuni casi la scelta di ampliare l’offerta è stata “tirata” dalle richieste del mercato, senza che ci fosse un chiaro disegno strategico, senza consapevolezza, con un atteggiamento ancora poco orientato al mercato. In altri casi, invece, si è cercato un vero nuovo posizionamento competitivo, che fosse frutto di idonee scelte gestionali. L’implementazione dell’offerta non è di così facile attuazione, sia dal punto di vista strutturale (razionalizzazione di spazi per collocare i nuovi servizi), che organizzativo e gestionale, in quanto richiede un forte cambiamento del sistema di offerta e di vendita del prodotto termale. Nello schema successivo sono riassunte leSchermata 2013-12-16 alle 15.21.11 principali caratteristiche delle differenti tipologie di clienti termali. Rispetto alle imprese che si stanno riposizionando in funzione del benessere, si possono identificare due differenti tipologie:
- realtà orientate al benessere in senso stretto che, accanto ai trattamenti medici tradizionali, offrono pacchetti diffe renziati di trattamenti estetici, fitness e terapie alternative;
- realtà che interpretano il benessere in senso più ampio, come svago, relax, l’”otium” dei latini, e che pertanto sono molto legate alla ricettività turistica e alla capacità di intrattenimento.

TERME E FITNESS
Esistono senza dubbio dei fenomeni di convergenza intersettoriale che coinvolge i clienti dei centri fitness, estetici e termali, volti alla ricerca di un’offerta di servizi sempre più integrata. L’ampliamento dell’offerta da parte degli operatori termali non può comunque prescindere dalla necessità di proporre un prodotto personalizzato, che dipende dalla peculiarità delle singole strutture, dalla qualità delle acque, dalla tipologia di clientela, dall’integrazione con i servizi esistenti e dalle caratteristiche del territorio, evitando il fenomeno dell’omologazione dell’offerta, che così tanto e male caratterizza il mercato del fitness. Anche l’offerta di servizi fitness non può essere proposta indiscriminatamente da tutte le aziende termali presenti sul territorio e deve essere adeguata alle aspettative della clientela, chiaramente diverse rispetto a quelle del cliente abituale del centro fitness. Innanzitutto, il tempo a disposizione per le attività è limitato alla permanenza del soggiorno, quindi il cliente termale non si aspetta miglioramenti visibili, non è alla ricerca di una maggiore tonificazione muscolare o performance, quanto piuttosto di una migliore forma psicofisica generale, associata a una cosciente percezione del proprio corpo. La pratica del fitness in questi luoghi è quasi sempre “light”, e può essere considerata come l’occasione buona per insegnare ad associare il movimento con sensazioni positive e per favorire la socialità. Altro discorso riguarda le attività di fitness inserite nei programmi di dimagrimento, in cui la programmazione rigorosa di attività cardio è strutturata all’interno di percorsi alimentari e trattamenti estetici che devono rispondere alle chiare aspettative del cliente. Forse più che in altri luoghi, gli istruttori devono essere dotati di grande capacità comunicativa, flessibilità ed empatia, oltre che, naturalmente, avere tutte le capacità tecniche necessarie per affrontare una clientela molto differenziata. Molte aziende termali offrono attività open air, favorite dalla location delle strutture immerse in ambienti naturalmente privilegiati o in luoghi interessanti dal punto di vista artistico, storico e culturale. Le proposte variano da lezioni di yoga, stretching e attività a corpo libero, a semplici passeggiate, trekking, escursioni in mountain bike fino ad attività sportive vere e proprie come tennis e golf. In molte strutture, (Terme di Saturnia, Terme Felsinee) la presenza di piscine termali, sia interne che esterne, favorisce la proposta di attività acquatiche, i cui benefici sono da assommare alle numerose azioni biologiche esercitate dalle diverse acque minerali termali: – vasodilatazione cutanea e conseguente riduzione della pressione arteriosa;
- effetto miorilassante e antinfiammatorio;
- effetto fluidificante sulle secrezioni;
- naturale azione di peeling, con proprietà esfolianti, detergenti ed antisettiche.
I corsi di acquagym svolti in acqua termale sono studiati in funzione di specifici obiettivi di salute e benessere: dal lavoro cardio-vascolare e di tonificazione muscolare generale, al miglioramento della mobilità osteo-articolare e delle capacità di coordinazione, alla ginnastica antalgica, per la cura di dolori posturali, reumatismi, artrosi e decalcificazioni ossee, fino al fitness vascolare per chi ha problemi circolatori. In alcuni casi esiste un vero e proprio fitness club all’interno delle strutture, che può essere frequentato indipendentemente dai servizi termali, oppure può essere incluso in alcuni “pacchetti benessere”. È il caso delle Terme di Bormio, Terme di Merano, Istituto Talassoterapico di Grado, Terme Pompeo. In altre strutture, invece, il centro fitness, in genere di dimensioni più modeste, è a uso esclusivo dei clienti termali, spesso accompagnati dalla presenza di un personal trainer. Alcuni esempi sono le Terme di Saturnia, Adler Thermae di Bagno Vignoni, Regina Beauty Fitness and Thermal Resort di Aqui Terme. Nelle sale corsi le attività “body&mind” sono quelle maggiormente proposte, accessibili a tutti e per loro stessa natura perfettamente integrate e in linea con le altre offerte del centro termale: ginnastica dolce, Pilates, Yoga, Pancafit, attività che abbinano benefici fisici e psichici, accompagnate dal tipico ritmo “slow” dell’ambiente termale, e che possono essere facilmente offerte con un approccio attento e personalizzato.

BIBLIOGRAFIA
Evoluzione del settore termale, Mirella Migliaccio, Franco Angeli 2005 Secondo Rapporto su sistema termale in Italia nel 2004, realizzato da Federterme-Confindustria con la collaborazione di Mercury srl (società che ha curato la realizzazione del volume) e de Il Sole24 ore (editore) 
Di Mia Dell’Agnello
Pubblicato su Professione Fitness 4/2007