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Doping: ora lo xenon nella lista Wada delle sostanze proibite

Lo xenon (o xeno) è un gas nobile presente a tracce nell’atmosfera terrestre. Tramite scarica xenonelettrica produce una luce azzurra e questa sua proprietà l’ha reso famoso per la fabbricazione di lampade, flash per la fotografia, luci stroboscopiche, laser ecc.
Lo xenon è dotato anche di proprietà biologiche grazie alle quali viene utilizzato come anestetico, ma non è tutto. Pare, infatti, che funzioni anche come attivatore di una proteina (HIF-1 alfa) che a sua volta attiva la produzione di altre proteine, fra cui l’epo. Un documento del 2010 redatto dal Research Institute del Ministero della Difesa russo definisce le linee guida per la gestione del gas negli atleti. Lo xenon deve essere utilizzato prima delle gare per migliorare le prestazioni e, successivamente, per accelerare il recupero fisico. La dose raccomandata è una miscela 50:50 di xeno e ossigeno, inalato per pochi minuti, preferibilmente prima di andare a dormire. L’azione del gas continua per 48-72 ore.
I benefici verificati sono: il miglioramento delle capacità cardiache e polmonari, la riduzione dell’affaticamento muscolare, l’aumento di testosterone e il miglioramento dell’umore.
Alle olimpiadi invernali di Sochi, l’emittente tedesca WDR accusò la Russia di utilizzare inalazioni di xenon per favorire la produzione di epo negli atleti. Vladimir Uiba, il capo dell’agenzia federale biomedica russa, si difese allora dichiarando che in realtà le inalazioni di xenon non erano vietate dalla Wada e che non c’era nessuna prova scientifica che attestasse la validità dello xenon rispetto alla produzione di epo negli esseri umani (gli studi sono stati effettuati solo sui topi). Inoltre, l’inalazione di xenon pare avere gli stessi effetti fisiologici che si possono ottenere tramite l’allenamento in quota, pratica legale e mai contestata.
Di fatto, dal momento che lo xenon viene inalato per potenziare artificialmente l’assorbimento, il trasporto e la consegna di ossigeno, è difficile pensare che non si tratti di una pratica di dubbia legalità. E infatti il presidente dell’agenzia mondiale anti-doping, Craig Reedie, al termine delle olimpiadi di Sochi aveva promesso di analizzare la situazione e prendere relativi provvedimenti. Così è stato fatto e il 17 maggio il Comitato Esecutivo Wada ha approvato la modifica della lista delle sostanze proibite introducendo lo xenon fra gli stabilizzanti e attivatori dell’eritropoiesi. Le modifiche entreranno in vigore fra tre mesi e tutti i risultati precedentemente ottenuti sono da considerarsi legali.

 

Allenamento: il lavoro aerobico può interferire con il potenziamento muscolare?

Lo sviluppo della resistenza cardiovascolare e quello della forza e tonificazione muscolare sonoks102156p entrambi importanti, ma come abbinarli nella pianificazione dell’allenamento?

L’esercizio aerobico è efficace per il mantenimento e il miglioramento delle capacità cardiovascolari, per aumentare il dispendio energetico e favorire l’utilizzo del tessuto adiposo. Il lavoro con il carico è fondamentale per lo sviluppo della massa muscolare, della forza e per migliorare la qualità del tessuto osseo.
L’allenamento, a qualsiasi livello, deve includere entrambe le tipologie di esercizio; eppure ancora non è chiaro quanto e in che modo lo sviluppo delle capacità aerobiche possa interferire negativamente sull’incremento della forza/massa muscolare.

Un allenamento combinato può essere strutturato di modo che le due differenti tipologie di esercizi:
1) si svolgano entrambe all’interno della stessa seduta di allenamento;
2) si svolgano nello stesso giorno, ma in sedute distanziate (mattino e tardo pomeriggio);
3) siano programmate in giorni diversi della settimana, in modo alterno;
4) siano suddivise con una periodizzazione dell’allenamento in cicli dedicati (mesi).
A meno che non si tratti di sportivi professionisti che necessitano di una preparazione specifica, l’allenamento simultaneo, all’interno della stessa seduta di allenamento, è quello tendenzialmente più diffuso, soprattutto dagli atleti che praticano sport che richiedono sia le capacità aerobiche che anaerobiche. Ma perché sia efficace, richiede una pianificazione attenta e l’analisi di eventuali obiettivi prioritari da perseguire.
Diversi studi confermano che l’allenamento aerobico può compromettere il massimo sviluppo di forza e potenza muscolare (1, 2), soprattutto se le sessioni di allenamento sono distribuite su 6 giorni la settimana, annullando praticamente la fase di riposo. Quando invece l’allenamento combinato è svolto nel medesimo giorno, aumentando i giorni dedicati al recupero il risultato sullo sviluppo di forza e potenza muscolare pare non essere compromesso (3, 4, 5, 6).
Nella popolazione anziana è invece sempre e comunque particolarmente raccomandato, perché produce miglioramenti sia nell’efficienza cardiovascolare che muscolare. Dal momento che l’obiettivo è quello di migliorare la forma e promuovere la salute, i protocolli proposti hanno in genere una frequenza di ≤ 3 volte alla settimana, con un volume di allenamento moderato e il rischio di sovrallenamento ridotto al minimo (7, 8, 9).

IN CHE ORDINE PROPORRE GLI ESERCIZI ALL’INTERNO DI UNA SESSIONE DI ALLENAMENTO? 
La maggior parte degli studi che hanno confrontato l’efficacia dell’allenamento dando la priorità all’allenamento aerobico piuttosto che a quello di muscolazione, generalmente suggeriscono che la sequenza con cui gli esercizi sono proposti non produce differenze significative, perché in entrambi i casi ci sono miglioramenti sia nell’efficienza cardiorespiratoria che in quella muscolare. Allo stato attuale della ricerca non esiste parere concorde riguardo questo aspetto: la sequenza dovrà soddisfare le priorità del programma di allenamento, tenendo presente che la capacità allenata prima, interferirà inevitabilmente sulla successiva.
Priorità all’allenamento cardiovascolare
Per chi punta al miglioramento della VO2max (massimo consumo di ossigeno) e EPOC (consumo di ossigeno post esercizio). L’influenza negativa sul successivo lavoro di potenziamento rilevata da alcuni studi può essere determinata dal fatto che per entrambi i lavori sono stati coinvolti i medesimi gruppi muscolari (che quindi sono risultati già “stanchi” all’inizio del lavoro in sovraccarico, 1, 2, 10). Negli studi in cui i muscoli sollecitati sono stati differenti (per esempio la fase di allenamento cardiovascolare al cicloergometro e gli esercizi di muscolazione per gli arti superiori), la riduzione di prestazione è stata praticamente nulla. Altri studi hanno evidenziato che un prolungato lavoro aerobico (circa 1 ora) attenua la risposta dell’ormone della crescita nel successivo lavoro in sovraccarico: questo suggerisce che, per produrre risposte ormonali più favorevoli, l’allenamento aerobico deve essere eseguito successivamente.
Priorità all’allenamento con sovraccarichi
Gravelle e Blessing (5) hanno svolto uno studio molto interessante su un gruppo di donne che hanno seguito un programma di allenamento combinato e progressivo per 3 giorni a settimana per 11 settimane. I carichi di lavoro iniziali dell’allenamento aerobico corrispondevano al 70% della VO2max per 25 minuti, mentre l’allenamento con sovraccarichi era strutturato in una sequenza di 2 set di 10 ripetizioni per 7 esercizi. Gli autori hanno evidenziato un miglioramento della VO2max solo nei soggetti che hanno effettuato un allenamento di muscolazione prima dell’allenamento aerobico: in questo caso, il lavoro di potenziamento muscolare sembra influenzare favorevolmente il metabolismo durante la successiva sessione di lavoro aerobico.
È stato inoltre rilevato un aumento dell’ossidazione dei grassi (lipolisi) e di dispendio energetico durante l’esercizio aerobico preceduto da un protocollo di esercizio di potenziamento muscolare.
Considerando attentamente tutte le variabili legate alla programmazione dell’allenamento, è possibile confermare che una sessione combinata di esercizi aerobici e di potenziamento muscolare porta una serie di adattamenti fisiologici positivi, indipendentemente dalla sequenza con cui vengono svolti. Per esempio, un efficace programma di allenamento combinato per individui sani potrebbe contemplare:
- lavoro aerobico al 60%-70% della VO2max per 25-30 minuti;
- lavoro di potenziamento al 60%-80% con 6-10 esercizi che coinvolgano tutti i gruppi muscolari, da svolgersi in 3-4 serie da 8-12 ripetizioni e 2 minuti di recupero fra una serie e l’altra.
L’intera sessione di allenamento si completa in 60-90 minuti (incluse le fasi di riscaldamento e defaticamento qui non trattate), da svolgersi 3, max 4 giorni alla settimana: in questo modo non ci dovrebbero essere interferenze proponendo prima l’uno o l’altro lavoro. La priorità dovrà essere scelta in base alle esigenze personali dell’individuo. Gli adattamenti dovrebbero cominciare a verificarsi dopo 11-12 settimane.

NOTE
1. Dudley GA, Djamil R. Incompatibility of endurance- and strength-training modes of exercise. J Appl Physiol. 1985;59(5):1446Y51
2. Kraemer WJ, Patton JF, Gordon SE, Harman EA, Deschenes MR, Reynolds K, Newton RU, Triplett NT, Dziados JE. Compatibility of high-intensity strength and endurance training on hormonal and skeletal muscle adaptations. J Appl Physiol. 1995;78(3):976Y89
3. Chtara M, Chamari K, Chaouachi M, Chaouachi A, Koubaa D, Feki Y, Millet GP, Amri M. Effects of intra-session concurrent endurance and strength training sequence on aerobic performance and capacity. Br J Sports Med. 2005;39(8):555Y60.
4. Glowacki SP, Martin SE, Maurer A, Baek W, Green JS, Crouse SF. Effects of resistance, endurance, and concurrent exercise on training outcomes in men. Med Sci Sports Exerc. 2004;36(12):2119Y27.
5. Gravelle BL, Blessing DL. Physiological adaptations in women concurrently training for strength and endurance. J Strength Cond Res. 2000;14(1):5Y13.
6. McCarthy JP, Agre JC, Graf BK, Pozniak MA, Vailas AC. Compatibility of adaptive responses with combining strength and endurance training. Med Sci Sports Exerc. 1995;27(3):429Y36.
7. Cadore EL, Izquierdo M, Alberton CL, Pinto RS, Conceicao M, Cunha G, Radaelli R, Bottaro M, Trindade GT, Kruel LF. Strength prior to endurance intra-session exercise sequence optimizes neuromuscular and cardiovascular gains in elderly men. Exp Gerontol. 2012;47(2):164Y9.
8. Izquierdo M, Iban˜ez J, Ha¨kkinen K, Kraemer WJ, Larrio´n JL, Gorostiaga EM. Once weekly combined resistance and cardiovascular training in healthy older men. Med Sci Sports Exerc. 2004;36(3):435Y43
9. Takeshima N, Rogers ME, Islam MM, Yamauchi T, Watanabe E, Okada A. Effect of concurrent aerobic and resistance circuit exercise training on fitness in older adults. Eur J Appl Physiol. 2004;93(1Y2):173Y82.
10. Leveritt M, Abernethy PJ. Acute effects of high intensity endurance exercise on subsequent resistance activity. J Strength Cond Res. 1999;13(1):47Y51.

Supplementazione nutrizionale: necessità, illusione o danno?

24FY03BMNel 1999 il Ministero della Sanità ha emanato specifiche linee guida per disciplinare l’uso degli integratori alimentari, definiti “alimenti adattati a un intenso sforzo muscolare soprattutto per gli sportivi”, nel tentativo di proteggere il consumatore rispetto alle spinte promozionali di questi prodotti che, non essendo farmaci, non necessitano di prescrizione medica e sono spesso assunti senza un controllo adeguato. Mentre gli integratori energetici (a base di carboidrati, con l’aggiunta di qualche vitamina e a volte antiossidanti) e gli integratori idro-salinici (contenenti elettroliti eventualmente associati a zuccheri e vitamine) hanno un razionale d’uso, ovvero il loro utilizzo può essere giustificato in alcune situazioni, per le altre categorie di prodotti, salvo rare eccezioni, non è ancora stata scientificamente dimostrata una reale efficacia. Integratori che contengono proteine, aminoacidi, creatina e combinazioni variabili, sono acquistati da alte percentuali di sportivi, a tutti i livelli, non per sopperire a una mancanza nutrizionale, quanto piuttosto perché è diffusa l’opinione che questi integratori, assunti in dosi elevate, possano portare dei miglioramenti alle loro prestazioni. Si definiscono “ergogeni” e, in base ai poteri loro attribuiti dalla pubblicità sono:
- anabolizzanti, che hanno un effetto diretto sul metabolismo proteico e favoriscono il rilascio dell’ormone della crescita e/o del testosterone endogeno;
- aerobici, per aumentare la prestazione aerobica, intervengono sui meccanismi di utilizzo dei substrati energetici e sullo smaltimento dell’acido lattico;
- antiossidanti, con azione protettiva rispetto ai radicali liberi; – anoresizzanti e stimolanti, che agiscono sul sistema nervoso;
- ricostituenti, con azione generalizzata sull’organismo.
Il fatto che spesso gli ingredienti siano prodotti naturali (guaranà, ginseng, caffeina ecc.) non ne esclude la tossicità, soprattutto in merito ai dosaggi utilizzati. Per esempio, la dose di creatina normalmente assunta dai body builders e da molti di coloro che vogliono “metter su massa”, è di 20-25 grammi al giorno, corrispondente a oltre 12 Kg di carne, per lunghi periodi di tempo. Non esiste alcun tipo di certezza riguardo l’innocuità di questo comportamento, soprattutto a lungo termine. Eppure, l’assunzione di prodotti non vietati per doping (farmaci, vitamine, integratori alimentari) è una prassi ormai generalizzata, sia nell’amatore che nel professionista. In realtà, già nella definizione attribuita dal Ministero della Sanità sorge il primo dubbio: come quantificare un “intenso sforzo muscolare” che giustifichi l’assunzione di supplementi? È possibile che un corretto piano nutrizionale e una coerente pianificazione degli allenamenti e degli impegni sportivi soddisfino totalmente le esigenze di chi fa sport, anche ad alto livello? Il professor Fabrizio Angelini, medico endocrinologo, consulente nutrizionista della Juventus e consigliere nazionale SIAS (Società Italiana di Alimentazione e Sport), ci è venuto in soccorso e ha messo a disposizione tutta la sua esperienza e la sua competenza per rispondere a queste e altre domande.

Tendenzialmente, un programma alimentare studiato sull’atleta riesce a garantire il completo soddisfacimento dei suoi bisogni?
Innanzitutto, un piano nutrizionale deve essere frutto di un’accurata fase diagnostica, volta a investigare diversi fattori. A livello ematochimico generale, per verificare che non ci siano carenze (anemia), che l’apparato metabolico funzioni bene (funzionalità epatica e renale), che non siano presenti marker di infiammazione (es. proteina C-reattiva). Sono poi da valutare eventuali intolleranze alimentari, sebbene ancora non esistano metodiche certe per identificarle, ma alcuni test (es. il Test Alcat) se eseguiti dopo un’accurata anamnesi possono dare indicazioni interessanti. Poi, ancora, i parametri ormonali, soprattutto per quel che riguarda la funzione tiroidea, gonadica e surrenalica. Non trascurerei soprattutto negli atleti di endurance o top level la valutazione dello Stress Ossidativo, che può essere eseguita sia sul plasma (d-roms test e BAP) che sulle urine (dosaggio della malaldeide urinaria). Per quanto riguarda la composizione corporea, ritengo importante sottolineare un corretto utilizzo dell’impedenziometria, che non dà informazioni sulle masse, bensì sui liquidi corporei. Massa magra e massa grassa sono misure che si ricavano tramite equazioni indirette, che non sono così precise. L’impedenziometria, invece, fornice informazioni importanti sullo stato di idratazione e sulla quantità di cellule metabolicamente attive. La metodica standard per la valutazione delle masse corporee è la Dexa, che consente di avere anche informazioni segmentarie, per la valutazione della distribuzione del grasso corporeo o eventuali sviluppi asimmetrici della muscolatura. Va inoltre eseguita la valutazione del dispendio energetico, tramite calorimetria indiretta o holter metabolico o l’associazione dei due. Importante è, infine, l’anamnesi nutrizionale: come il soggetto mangia, orari di pasti e allenamenti, orari di sonno e veglia. La valutazione della sfera personale è tanto più importante nell’atleta amatoriale, la cui vita sportiva non è così rigorosa e deve essere fatta conciliare con la giornata lavorativa. Secondo gli ultimi dati della letteratura, un soggetto che svolge attività fisica due volte la settimana è considerato un sedentario. Quindi, già chi sostiene 4-5 allenamenti settimanali di buona intensità è da considerarsi un atleta con delle necessità che vanno oltre il maggiore fabbisogno calorico: il piano nutrizionale deve considerare la regolazione dei macro nutrienti, degli orari di assunzione, valutare la necessità di eventuali supplementi e considerare infine il valore antinfiammatorio, per evitare che l’atleta si infortuni troppo spesso o che recuperi bene quando gli impegni sono ravvicinati.

A suo parere è ragionevole che un atleta amatoriale, così come un frequentatore di centri fitness, assuma integratori alimentari? Come gestire in assenza di uno specialista posologie, scelte, dosaggi?
Intendiamoci sul concetto di integrazione alimentare. Se una persona svolge attività fisica con intensità media e si alimenta in maniera adeguata con un piano nutrizionale stabilito da un nutrizionista, il più delle volte non necessita di una supplementazione per l’attività sportiva; magari daremo delle indicazioni sul timing di assunzione dei nutrienti. Ma se il riferimento è il livello standard di alimentazione, quindi non calibrata nella quantità e nella qualità, allora la risposta è molto probabilmente affermativa, soprattutto per il discorso legato all’infiammazione. Quello che assolutamente non deve essere praticato è il faidate: creatina, aminoacidi ramificati, proteine, omega 3 tutte le integrazioni devono essere valutate all’interno di un piano nutrizionale gestito da un professionista, perché la loro assunzione sia giustificata da un razionale.

Eppure il faidate è molto diffuso… Prendiamo ad esempio la creatina, assunta, secondo gli studi effettuati dall’Istituto Superiore di Sanità, dal 50% degli atleti, e molto diffusa anche fra gli amatori: non esiste dimostrazione scientifica di un suo possibile effetto anabolizzante, e rispetto all’effetto energetico come riserva fisiologica per la contrazione per l’ATP, dura solo pochi secondi, quindi può essere utile solo negli sport che durano pochi minuti e che necessitano di uno sforzo immediato. Perché, a suo parere, questo prodotto è così utilizzato? La creatina è un integratore ottimo, ma deve avere un razionale: non tutti i tipi di sport ne giustificano l’assunzione, ma ci deve essere una prescrizione, non farmacologica, ma di integrazione. Altrimenti, parliamoci chiaro, è alterare la prestazione. Non si sa se la creatina assunta oltre una certa grammatura possa fare male, ma sicuramente non produce effetti positivi sulla performance. Non esistono dati in letteratura e questo vale per moltissime sostanze. Una supplementazione può essere motivata solo da una carenza, o da un momentaneo stress dell’organismo, che si può verificare, per esempio, dalla perdita di massa magra, per cui utilizzerò sostanze pro-anaboliche o anti-cataboliche. Se, per esempio, l’atleta deve sostenere un impegno fisico importante protratto nel tempo posso utilizzare anche sostanze ergogeniche, Altrimenti, si va contro al primo principio della nutrizione dello sport che dice: preserviamo la salute dei nostri atleti.

Molti considerano l’assunzione di integratori alimentari come l’anticamera del doping: lei è d’accordo con questa opinione?
Quando qualsiasi prodotto viene utilizzato senza uno specifico razionale e a dosi elevate, si entra nel sottile confine fra integrazione, supplementazione e doping. Ma sia chiaro: se cerco un’iper-dose è perché voglio ottenere un ipereffetto. I nostri nonni non avevano bisogno di un nutrizionista dello sport, perché il rapporto con l’alimentazione era molto diverso: il cibo era l’energia immagazzinata necessaria per svolgere la propria giornata. Oggi l’attività fisica viene limitata a una parte della giornata, uno sforzo concentrato in un breve lasso di tempo rispetto al normale stato di sedentarietà, e non è detto che questo produca effetti sempre positivi. L’amatore a volte è a rischio di salute più del professionista, perché non è seguito da nessuno. In questi atleti il ruolo del nutrizionista sarebbe fondamentale. Come Sias (Società Italiana di Alimentazione e Sport) stiamo strutturando un questionario anamnestico per svolgere un’indagine epidemiologica sulle abitudini alimentari dello sportivo, a partire da come si alimenta, si idrata, se usa integratori e chi glieli prescrive. Le faccio un altro esempio con delle sostanze che sono attualmente molto di moda: gli antiossidanti. Ebbene, lo stress ossidativo è molto difficile da individuare e riconoscere, è un processo fisiopatologico che conosciamo ancora poco, eppure sono ormai tantissimi sul mercato i prodotti venduti come in grado di combatterlo: che logica ha? Valutiamo lo stress ossidativo e poi interveniamo con un’antiossidazione mirata. Anche le vitamine… una dose da 500 mg di vitamina C ha sicuramente un’azione antiossidante, ma esistono delle modalità e delle necessità di assunzione. Certo che se un atleta si alimenta in modo scorretto, considerando anche che il valore nutrizionale degli alimenti non è più quello di un tempo, ci può essere una carenza vitaminica: ma la carenza nutrizionale va comunque rilevata.

La ricerca già citata condotta dall’Istituto Superiore di Sanità ha inquadrato questo fenomeno di abuso di sostanze come “medicalizzazione dell’atleta”: infatti, oltre a integratori (assunti dal 70% degli sportivi) e vitamine soprattutto C e D (dal 100%), si è registrato un abuso di farmaci veri e propri (soprattutto FANS, antidolorifici con azione antinfiammatoria, fra i più utilizzati, anche alla ricerca di un’azione preventiva sul DOMS). Uno studio effettuato dalla Fifa su rapporti redatti dai medici delle squadre che hanno partecipato ai mondiali del 2002 e del 2006 riporta cifre elevatissime di consumo di integratori e farmaci, numeri che, nelle parole del responsabile del settore medico della FIFA Jiri Dvorak «sollevano interrogativi sul fatto che i medicinali siano presi solo per ragioni terapeutiche» facendo ipotizzare una eccessiva prescrizione di farmaci per uomini adulti sostanzialmente sani. Qual è la sua opinione in merito?
Io non sono un medico dello sport, ma come medico non sono assolutamente d’accordo. L’atleta è fondamentalmente una persona sana, anche se il professionismo porta spesso con sé dei problemi fisici importanti. Ma una macchina che si usura prima non giustifica, comunque, l’utilizzo indiscriminato di farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) o di altri tipi di trattamento. Sicuramente la possibilità di pianificare preparazioni atletiche sempre più mirate e individualmente differenziate rappresenta una difficoltà negli sport di squadra, ma io credo che l’atteggiamento tendenzialmente prescrittivo sia, purtroppo, anche retaggio della nostra formazione medica italiana. Il farmaco deve essere somministrato in fase acuta, quando c’è dolore, o infiammazione, sicuramente solo in presenza di una diagnosi. Invece, pensi solo che il pacco gara di una recente Stramilano conteneva un libretto di consigli utili*, in cui si indicava espressamente di prendere un’aspirina (che è un FANS) subito dopo la gara… ma si rende conto? Un anticoagulante! Teniamo anche conto che l’aspirina, andando a inibire le prostaglandine, ha un effetto negativo sulla diuresi e sul ricambio idrico… Poi è chiaro che, davanti a un trama acuto o infiammazione acuta, il medico deve fare il medico, anche se ci sarebbero comunque molti approcci diversi. Credo che l’approccio multidisciplinare, che include anche visioni non esclusivamente “mediche” come la fitoterapia, l’omeopatia, l’osteopatia, sia importante anche per capire il motivo che causa gli eventi traumatici o infiammatori. Altrimenti, è come prendere un antinfiammatorio per il mal di testa senza indagare mai sulle origini del mal di testa. Poi gli atleti si rompono lo stesso, ma se tenuti sotto controllo si riducono le incidenze.

* Da “10 consigli per la vostra prima maratona”, firmati da Linus. Con la collaborazione scientifica del Dottor Giuseppe Fischetto, specialista in Medicina dello Sport e Medicina Interna, responsabile Settore Sanitario Nazionale della Fidal, membro della Commissione Medica e antidoping della Federazione Internazionale atletica leggera. “tornano buoni due o tre consigli, questi sì uguali per tutti, dilettanti e professionisti. Subito dopo il traguardo un bicchiere di Coca Cola ha il potere di “ri-av-viare” il vostro stomaco come fate col vostro computer, qualcuno addirittura riesce a scolarsi una meravigliosa birra gelata. Poi un’aspirina per aiutare l’organismo a smaltire tutti i piccoli processi infiammatori, se non qualcosa di più potente con la supervisione di un medico sportivo”.

PROF. FABRIZIO ANGELINI
Medico Chirurgo Specialista in Endocrinologia – Docente di Psiconeuroendocrinologia Università di Parma – Medico Nutrizionista Juventus Fc Torino – Responsabile Sezione Nutrizione e Sport SIAS.

di Mia Dell’Agnello
pubblicato su Professione Fitness 4-2009

Art4Sport

Art4Sport by Ram FamilyI bambini che hanno subito amputazioni, o che sono nati senza uno o più arti, hanno gli stessi sogni e gli stessi desideri di tutti gli altri bambini. La moderna tecnologia permette di sostituire gli arti mancanti con protesi tecnicamente funzionali ed esteticamente accettabili, anche se ancora molto pesanti e scomode da utilizzare, in particolare per l’arto inferiore, poiché fanno gravare tutto il peso del corpo sui monconi, creando così molti dolori e difficoltà di sopportazione. Per ridurre al minimo questi problemi le protesi devono avere un adattamento perfetto sul moncone e qualsiasi variazione della struttura e del peso del corpo richiede una modifica o una sostituzione. In particolare i bambini, essendo in fase di crescita, devono sostituire le protesi circa 2 volte l’anno. Uno dei migliori sistemi per mantenere una favorevole condizione fisica per il bambino protesizzato è, come per tutti i bambini, quello di praticare attività sportive. Lo sport è fondamentale per la crescita e lo sviluppo non solo dal punto di vista fisico, ma anche dal punto di vista psicologico, perché dà enormi motivazioni e soddisfazioni. Sfortunatamente, per i bambini con amputazioni ciò non è facilmente realizzabile e le cause sono soprattutto di carattere economico, ma riguardano anche la mancanza di impianti adeguati e le difficoltà che le singole società sportive riscontrano per procurarsi le attrezzature adatte. Le protesi per le attività sportive non sono sovvenzionate dal sistema sanitario nazionale e anche le federazioni sportive non sono generalmente in grado di accollarsi questi importanti esborsi. Per esempio, un paio di lame da corsa ad alto impatto (tipo quelle di Oscar Pistorius) possono arrivare a costare fino a 50.000 euro. Nel caso di un atleta adulto hanno una durata di 4-5 anni, ma per un bambino la struttura base dura al massimo un paio di anni, mentre gli invasi per i monconi devono essere sostituiti a intervalli di pochi mesi, in dipendenza della crescita individuale del giovane sportivo. Art4Sport è un’associazione no-profit creata da chi crede fermamente nella terapia dello sport per i bambini con amputazioni. Principalmente, si prefigge i seguenti scopi: raccogliere fondi per progetti di ricerca, sviluppo e realizzazione di protesi per attività sportive per bambini e ragazzi; creare un database nazionale di istruttori specializzati per bambini con amputazioni; creare un network globale di organizzazioni che possa essere un valido riferimento per tutti.

Per info: www.art4sport.org

di Mia Dell’Agnello
pubblicato su Professione Fitness 4/2009

Le Olimpiadi del Taping

 

L’utilizzo del taping kinesiologico nello sport non è certo una novità, ma mai come nelle ultime Olimpiadi si sono visti tanti atleti d’élite “incerottati” con nastri di varie forme e colori. C’è chi dice che si tratti di una moda come tante, ma in realtà questa tecnica riabilitativa e rieducativa, nata circa quarant’anni fa, si basa su principi ineccepibili e solide validazioni scientifiche. Scopriamone i segreti con l’aiuto del prof. Rosario Bellia, presidente dell’Associazione Italiana Taping Kinesiologico.

Quando è nato il taping kinesiologico?
Il taping elastico è stato ideato nel 1973 da un chiropratico giapponese; fu poi sviluppato e divulgato in tutto il mondo. Il suo ingresso ufficiale nel settore professionale internazionale è datato 1988, quando fu utilizzato alle Olimpiadi di Seoul e quindi diffuso negli Usa e in Europa. Inizialmente utilizzata solo in ambito sportivo, oggi questa metodologia è applicata per il 25% nello sport e per il 75% in riabilitazione generale. Il taping kinesiologico è un metodo innovativo ed efficace di applicare il nastro elastico e ha la sua origine nella kinesiologia applicata, da cui prende il nome. Il suo ideatore ha attribuito grande importanza alla muscolatura, in una visione funzionale globale: i muscoli non sono solo necessari al movimento, ma sono in grado di influenzare la circolazione sanguigna, linfatica e la temperatura corporea.

Qual è il principio di base?
Una cattiva funzionalità muscolare è spesso causa di disfunzioni che possono dare origine a infortuni. Quante volte noi terapeuti, volendo velocizzare il recupero di un atleta e il suo ritorno all’attività agonistica, abbiamo effettuato più sedute di fisioterapia nello stesso giorno? Sulla base di questa stessa idea è stato sviluppato un nastro elastico, che aiuta la funzione muscolare senza limitare i movimenti del corpo. Applicando il nastro elastico a un atleta che ha subito un trauma, il trattamento continua nell’arco delle 24 ore, poiché la tecnica ha benefici terapeutici che attivano i processi di recupero dell’organismo durante i movimenti fisiologici normali (equilibrio omeostatico). Attualmente nel mondo esistono diverse tecniche di applicazione del nastro elastico, anche se i principi applicativi sono due, giapponese e coreano, con tutte le varianti che successivamente sono state apportate.

Che funzione svolgono i nastri?
La funzione dei nastri sui muscoli è siben riassunta da questa frase: “qualsiasi nastro applicato sulla cute produce un’azione di sostegno e di conseguenza una variazione della funzione muscolare”. Bisogna considerare che la pelle, la mucosa e i meridiani sono il riflesso superficiale dello stato profondo di salute degli organi, muscoli, articolazioni, capsule. Di conseguenza lo stato patologico di un muscolo, articolazione, organo si manifesta con una debolezza muscolare associata all’area; un muscolo contratto patologicamente proietta sulla pelle o sulla mucosa una perturbazione neurologica che modifica il potenziale di contrazione muscolare. Una stimolazione muscolare o linfatica può ripristinare il potenziale di contrazione del muscolo, se eseguita correttamente. Inoltre, il nastro stimola il sistema analgesico endogeno attraverso stimoli sensoriali sugli esterocettori (meccano recettori, termorecettori, nociocettori, chemocettori, recettori elettromagnetici) e l’attivazione di sistemi complessi (sistema inibitore discendente).

In quali casi si utilizza il taping nella traumatologia sportiva?
Per un paziente sportivo l’applicazione del taping kinesiologico può rendersi necessaria sia durante l’attività che nelle fasi di riabilitazione o recupero; si devono quindi considerare due differenti approcci. Durante l’attività fisica il nastro si applica con modalità compressiva o stabilizzante per sostenere il muscolo e correggere i problemi di articolazioni e tendini. In questo modo si può:
- migliorare la contrazione muscolare nei muscoli indeboliti, riducendo l’affaticamento;
- ridurre l’eccessiva estensione e contrazione del muscolo e conseguente insorgenza di crampi e lesioni muscolari;
- aumentare la ROM (ampiezza di movimento);
- migliorare gli allineamenti imprecisi causati da spasmi e muscoli accorciati;
- sostenere i tendini lesionati e indeboliti.
Questa tecnica mira a ottenere un effetto globale di normalità a livello muscolo-tendineo e articolare: un’attività fisica sostenuta è alleviata dal dolore. Dopo la fase agonistica il bendaggio viene rimosso per evitare delle controindicazioni circolatorie, se supera il 50% di tensione del nastro. Nella fase riabilitativa o di recupero, il taping kinesiologico si applica con modalità decompressiva per rimuovere la congestione della circolazione dei fluidi corporei, per azionare i sistemi analgesici endogeni, stimolare il sistema inibitore spinale e il sibenstema inibitore discendente e correggere i problemi delle articolazioni. In questa fase si applica il taping kinesiologico combinato a tecniche di stretching e drenaggio per sostenere la terapia fisica. Fondamentale è ristabilire l’equilibrio agonista-antagonista e migliorare le sinergie del gesto sportivo, allineare correttamente le articolazioni e quindi bilanciare le tensioni che sviluppano i tendini, i legamenti e le strutture fasciali. Questa fase è la più importante per il recupero di un atleta, e le prove funzionali e i carichi di lavoro crescenti migliorano il recupero aerobico, anaerobico e l’intensità del lavoro allenante. L’aumento esagerato dei carichi del lavoro fisico può provocare allo sportivo un ritardo nei tempi di recupero, quindi è fondamentale la gradualità. L’applicazione del taping kinesiologico deve avvenire con la massima attenzione per evitare di provocare squilibri che possono causare una “ricaduta” e quindi un ritorno della sintomatologia.

In che modo il taping può intervenire sulla postura?
L’incapacità di mantenere una postura corretta avviene se non si ha un buon equilibrio tonico-muscolare tra muscoli agonisti e antagonisti, oltre a una fisiologica mobilità fasciale durante il movimento. Si possono evidenziare gli squilibri strutturali relativi alla contrattura e/o alla debolezza di alcuni gruppi muscolari. Quando abbiamo un muscolo contratto, cerchiamo di normalizzare il tono attraverso diverse tecniche: farmacologiche (miorilassanti), terapia fisica (applicazioni di calore, massaggi, elettroterapia ecc.). Nella maggior parte dei casi, i risultati sono solo temporanei e parziali poiché la contrattura può essere anche secondaria alla debolezza del muscolo antagonista. La corretta applicazione del bendaggio neuromuscolare permette, una volta riconosciuta la causa di questa debolezza, di trattarla correttamente; la contrattura tende a normalizzarsi e scompare, dando origine al ripristino della corretta postura.

Si può sostenere che il taping kinesiologico svolge anche una funzione a livello linfatico? Certamente! Per ripristinare la funzione dei tessuti è essenziale, durante le prime fasi del trauma, utilizzare dei metodi che favoriscano il movimento dei fluidi (sangue e linfa), per facilitare l’eliminazione dei componenti dannosi dalla zona di lesione e, migliorando l’arrivo di sostanze benefiche (come i fibroblasti durante il secondo e il terzo giorno), favorire la migrazione e la sintesi della matrice di collageno per riparare i tessuti danneggiati. L’ostruzione della circolazione dei fluidi può derivare da fattori intrinseci (all’interno dei tessuti) o a fattori estrinseci, che esercitano una pressione interna. Il processo infiammatorio è il fattore principale di “perturbazione” della circolazione dei fluidi e dà origine, dopo la fase acuta, ad aderenze, contratture, squilibri muscolari ed edema interstiziale. La superficie corporea coperta dal taping kinesiologico forma convoluzioni nella pelle che aumentano lo spazio interstiziale; la riduzione di pressione permette al sistema linfatico e sanguigno di drenare liberamente i fluidi. Si crea così un “volano” di azioni che permette al corpo di auto guarirsi biomeccanicamente.

Come si posiziona il bendaggio nell’atleta che deve svolgere l’attività sportiva?
L’applicazione del taping kinesiologico sarà realizzata sulla pelle che ricopre le strutture interessate (muscoli, articolazione, legamenti, tendini ecc.), rasata e pulita, per cercare di ridurre le sollecitazioni sulle strutture coinvolte dal trauma. È molto importante non applicare il nastro sulle cicatrici che si trovano sopra il muscolo, perché, avendo meno elasticità della pelle, l’effetto del bendaggio sarà alterato. Se ciò è difficile da evitare, si posiziona sopra la cicatrice una piccola benda, in modo da limitare l’azione di trazione del nastro. Per applicare correttamente il bendaggio sopra la zona dolorosa, si deve chiedere all’atleta di effettuare il gesto sportivo per individuare l’area esatta del dolore, che non riguarda necessariamente un singolo muscolo. La gestualità sportiva è spesso complessa e quindi saranno coinvolte le fibre muscolari di numerosi muscoli sinergici del movimento. Questo è un principio importante: è necessario bendare il movimento doloroso globalmente e riferito al gesto tecnico specifico di quello sport.

Possiamo parlare di “bendaggio globale”?
Il concetto moderno di bendaggio non fa riferimento al muscolo analiticamente, ma al movimento in una visione globale e tridimensionale, considerando le catene cinetiche muscolari (concetto olistico). Il taping kinesiologico, con i concetti di globalità di analisi del “sintomo” e di tridimensionalità dell’applicazione del tape, rispetta questa visione “fasciale”. La fascia è un tessuto connettivo che avvolge tutti gli organi in senso tridimensionale e permette agli stessi di essere correttamente posizionati nelle varie aree anatomiche del corpo per il loro corretto funzionamento. Ogni muscolo e ognuna delle sue fibre e miofibrille è avvolto dalla fascia. Questo importante tessuto è presente senza soluzione di continuità in tutto il corpo e, per questo motivo, qualsiasi cambiamento in una parte anatomica del soggetto, può produrre restrizioni in aree distanti dalla stessa. Dal punto di vista della biomeccanica del sistema miofasciale, consideriamo che ogni contrazione del muscolo produce un’azione di mobilizzazione del sistema e che ogni restrizione miofasciale disturba il corretto funzionamento del muscolo stesso.

PROPRIETÀ DEL TAPE KINESIOLOGICO
a) 100% cotone e senza latex;
b) elasticità sopra il 30-40% e 70 % della sua lunghezza;
c) permette alla pelle di traspirare;
d) impermeabile;
e) privo di farmaci;
f) adesivo acrilico attivato dal calore della pelle (si può migliorare frizionando dopo l’applicazione oppure applicando l’infrarosso);
g) facilmente tollerabile, ipoallergico;
h) permette l’aumento della ROM;
i) può essere applicato per più giorni;
l) regola la temperatura cutanea;
m) cromoterapia (blu – riflette la luce, raffredda, per l’infiammazione, sensazione di fresco; fucsia – assorbe la luce, genera calore, decontrattura);
n) il nastro è attaccato alla carta, di fabbrica, con la tensione del 10% (paper off).
Una volta realizzata l’applicazione, il nastro non può essere rimosso per essere nuovamente riapplicato, in quanto aderisce una sola volta. Si può tenere la benda per diversi giorni, se non è utilizzata durante la competizione e comunque a tensione che non supera il 50%, altrimenti deve essere rimossa dopo il completamento della gara. Nel caso di trattamenti a lungo termine, si consiglia di rinnovare il nastro ogni quattro o cinque giorni.

NASTRI: TUTTI UGUALI?
Per definire le applicazioni più efficaci di ogni nastro in base alle caratteristiche tecniche ed elastiche, è in corso di svolgimento uno studio internazionale che analizza i nastri delle migliori marche per determinarne caratteristiche e differenze. In questo studio sono analizzati i quattro colori base: rosso, nero, blu e beige. I primi risultati emersi indicano che ogni colore ha un peso (g/cm2) diverso oltre che una diversa estensione (indice elastico). Mentre nella letteratura internazionale si rileva che il nastro ha un allungamento medio del 40%, raggiungendo circa il 60%, i risultati di questo studio rivelano che ci sono marche e tipologie di nastri che non raggiungono il 40%, mentre altre che superano di gran lunga il 60%. Sono state rilevate anche notevoli differenze nelle capacità adesive di ogni nastro. Per questi motivi non è possibile utilizzare qualsiasi colore per il bendaggio di un atleta durante la competizione, considerando che il bendaggio dovrebbe sopportare lo stress e l’allungamento muscolare imposti durante l’attività sportiva. I risultati completi e le informazioni contenute in questa ricerca saranno pubblicati una volta ultimata la fase di tabulazione dei dati e la revisione in ambito metodologico. Dalle indicazioni evidenziate potrebbe cambiare il modo di applicare il taping elastico a livello metodologico.

ROSARIO BELLIA
Presidente dell’Associazione Italiana Taping Kinesiologico, è fisioterapista della nazionale italiana di pattinaggio a rotelle corsa e insegnante di educazione fisica; è docente presso l’Università di Napoli Federico II e presso l’Università di Palermo al Master di Posturologia Clinica di taping kinesiologico. Con Alea edizioni ha pubblicato “Il taping kinesiologico nella traumatologia sportiva (2011) e “Taping kinesiologico, il Metodo Koreano” (2012). Svolge corsi di formazione per specialisti del settore a livello nazionale e internazionale

 

di Mia Dell’Agnello

pubblicato su Fitmed online 9/2012

Bilancio energetico e regolazione del peso corporeo

The American Journal of Clinical Nutrition ha recentemente pubblicato i risultati di un weightconfronto fra esperti in gestione del peso, metabolismo energetico, attività fisica e psicologia comportamentale di Stati Uniti e Regno Unito, rispetto al ruolo del bilancio energetico nella regolazione del peso corporeo. L’equazione che esprime il bilancio energetico include da una parte l’energia netta ricavata dall’ingestione di cibo e bevande, ovvero la frazione disponibile per essere utilizzata dal corpo (energia metabolizzabile: EI), e dall’altra tutta l’energia utilizzata dal corpo per mantenere la vita e svolgere attività fisica (energia emessa: EO). Per quanto riguarda EI, è corretto considerare una perdita di energia attraverso feci e urine fra il 2 e il 10% dell’energia totale. EO può essere invece suddiviso in dispendio energetico a riposo (REE), o metabolismo basale, effetto termico del cibo (TEF), ed energia spesa in attività (AEE). REE, che rappresenta circa i due terzi di EO, varia tra gli individui in base alla dimensione del corpo, alla composizione corporea (il tessuto magro consuma più energia rispetto al tessuto grasso) e a squilibri metabolici. Il TEF è associato ai processi digestivi e alla trasformazione metabolica del cibo, e AEE è costituito dalla spesa energetica per l’attività fisica sportiva e non sportiva (lavoro, gioco, ma anche stati di irrequietezza). Ovviamente, quando EI supera EO, il surplus di energia (ES) viene immagazzinato nel corpo umano, soprattutto come grasso nel tessuto adiposo, ma anche come glicogeno (dai carboidrati) nel fegato e nei muscoli. L’obesità si sviluppa quando c’è un lungo periodo surplus energetico che determina un eccessivo accumulo di grasso corporeo. Al contrario, quando EO è maggiore di EI per lunghi periodi di tempo, il corpo sfrutta le sue riserve energetiche e perde peso. La comprensione del meccanismo che sta alla base del bilancio energetico, incluse le interazioni e le regolazioni che influenzano reciprocamente le diverse componenti del bilancio energetico, non è ancora chiara: assimilazione e spesa energetica possono variare ampiamente da un giorno con l’altro ed è solo facendo un’analisi a lungo termine che si può stabilire un bilancio energetico (per esempio per le diete di mantenimento). Inoltre, tutti i componenti del bilancio energetico (EI, EO e ES) interagiscono reciprocamente tra loro determinando infinite variabili. Per esempio, il ruolo svolto da AEE in relazione alle altre componenti ancora non è chiaro: se un bilancio energetico è negativo per aumento di esercizio fisico, viene poi compensato da una maggiore assunzione di cibo? Gli studi a riguardo mostrano una grande variabilità di risposta, influenzata sia dalla modalità di esercizio che dalla misura del comportamento compensativo, cioè la risposta alla fame dopo l’esercizio. Si è sempre creduto che, oltre all’utilizzo di energia durante l’attività fisica, si dovesse contabilizzare anche una componente di energia post esercizio che oscillava dal 6 al 15% di energia spesa durante tutta la sessione di allenamento: eppure diversi studi rivelano che l’aumento creduto in REE a causa di un regolare esercizio fisico e le successive modifiche nella composizione corporea siano in realtà trascurabili. Un altro fattore importante è che non sempre l’attività fisica organizzata introdotta nella vita di un soggetto porta a un aumento di EO, a causa di condotte compensatorie più sedentarie nelle ore successive alle sedute di allenamento. In altre parole, per stimare più accuratamente l’EO giornaliera devono essere prese in considerazione tutte le attività svolte, tenendo presente che la somma di molte piccole attività può raggiungere un dispendio energetico significativo. In conclusione, la misurazione precisa dei fattori che determinano il bilancio energetico è estremamente difficile, perché si tratta di un sistema interattivo e complesso. Per colmare queste lacune sarà necessario impostare studi longitudinali a lungo termine che indaghino le relazioni tra i diversi componenti del bilancio energetico e il loro effetto sul peso corporeo e sulla composizione e approfondiscano il ruolo dell’attività fisica soprattutto in riferimento alla quantità di EO quotidiana.

Di Mia Dell’Agnello
Pubblicato su Fitmed online 11/2012

 

Il cancro e lo sport professionistico

 

IL SOSPETTO DEL DOPING
Lo sport fa bene, tanto per la prevenzione quanto per la rieducazione da malattie oncologiche, ma la popolazione degli sportivi agonisti non è esclusa da tale patologia, anzi, parrebbe che alcune categorie siano particolarmente a rischio. Non esistono studi ufficiali sulle pubblicazioni scientifiche, ma molti sono coloro che, a vario titolo, hanno affrontato la questione. Fra questi il pm Raffaele Guarinello che, conducendo un’indagine nel mondo del calcio professionistico (iniziata nel 1998), incaricò due epidemiologi dell’Istituto Superiore di Sanità di studiare le cause di morte di migliaia di ex calciatori (circa 20.000 calciatori di serie A, B e C dal 1965 a oggi) e il possibile collegamento con l’assunzione di sostanze proibite, o con pratiche (trattamenti farmacologici, sistemi di allenamento) dannose alla salute. A questa ne seguì una seconda sul ciclismo professionistico (iniziata nel 2000) che esaminò la storia sanitaria di 1.500 ciclisti in attività fra il 1969 e il 1999. Ad occuparsene anche un organismo appositamente creato l’”Osservatorio tumori professionali”. Il confronto fra le cause di morte degli ex giocatori di serie A, B e C rispetto alla popolazione normale mise in evidenza che le morti per leucemia linfoide erano 35 volte più numerose rispetto al resto della popolazione italiana; mentre per le morti da tumore epatico, fu riscontrato un rischio 8 volte superiore. Fra le possibili cause indicate di questo “eccesso di mortalità” è stato segnalato l’abuso di farmaci e/o l’utilizzo di sostanze dopanti: gli anabolizzanti per il cancro al fegato, l’ormone della crescita per la leucemia linfoide. A proposito di doping Umberto Tirelli, Direttore del Dipartimento di Oncologia Medica all’Istituto Nazionale Tumori di Aviano (Pordenone) e Professore di Oncologia Medica presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Udine, Scuola di Specialità in Oncologia, sostiene: «Complicazioni più gravi per altro sono quelle oncologiche, in quanto già si verificano casi di tumori, in particolare al fegato, alla prostata e reni, e potrebbero aumentare nel tempo soprattutto in coloro che hanno assunto per molto tempo degli steroidi anabolizzanti, come sembra vi sia evidenza nei ciclisti in Francia». Il professore si riferisce a un’indagine del 1999 condotta dal Ministero dello Sport francese su 200 ciclisti professionisti, che evidenziò che il 60% soffriva di “serie turbe biologiche che devono essere oggetto di studi scientifici” perché “preludono alla cirrosi e al cancro”. Recentemente, nel corso del 33° Congresso della Società Italiana di Endocrinologia il professor Luigi Di Luigi dell’Unità di Endocrinologia del Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università degli Studi di Roma, nell’ambito del suo intervento sul tema del doping ormonale, ha affermato che «Non esistono dati definitivi relativi alla reale prevalenza di tumori correlati al doping ormonale (tumori del fegato, colon, prostata, tiroide, leucemie, ecc.), né è possibile prevedere quali e quante patologie potranno insorgere, anche dopo avere smesso e a distanza nel tempo, in quei soggetti che attualmente stiano assumendo enormi quantità di ormoni». Dunque molte indagini, molti sospetti, ma nessuna certezza. Recentemente l’ex campione di ciclismo francese Laurent Fignon, due volte vincitore del Tour de France (nel 1983 e nel 1984), presentando il suo libro “Eravamo giovani e incoscienti” ha dichiarato di essere affetto da un cancro dell’apparato digerente. Nella sua autobiografia il ciclista racconta di una vita vissuta intensamente, pagine chiare scolpite di successi e pagine scure di sconfitte, doping e droga. Interrogato sull’eventuale legame tra la malattia e l’assunzione di sostanze illecite, Fignon ha dichiarato che è impossibile dare una risposta: «Non dirò che non abbia influito. Non ne so nulla. È impossibile dire se sì o no. Secondo i medici, sembra di no. Alla mia epoca tutti facevano la stessa cosa, come oggi tutti fanno la stessa cosa. Se tutti i ciclisti che si sono dopati dovessero avere il cancro, ce l’avremmo tutti».

ATLETI SURVIVOR
Indipendentemente dai possibili legami con trattamenti estremi, gli sportivi, come tutti gli esseri umani, si ammalano di tumore, ma a differenza degli altri malati, spesso gli atleti sono famosi e la loro celebrità è strettamente connessa all’immagine di un corpo sano e potente, che contrasta in maniera drammatica con la malattia. Quando uno sportivo sopravvive a un cancro diventa immediatamente un modello per tutti, a dimostrare che non solo si può “scampare la morte”, ma si può tornare a vivere “come prima”: il ritorno di questi atleti sui campi di gara ne è un magnifico esempio. Sono tantissime le storie di atleti lungoviventi che hanno vinto la loro battaglia contro il cancro e sono riusciti a ritornare a gareggiare nel mondo professionistico. Come Nene Hilario, giocatore di pallacanestro brasiliano militante nei Nuggets di Denver, che è tornato in campo a tre mesi dall’intervento chirurgico per l’asportazione di un tumore maligno ai testicoli. Ha destato grande emozione anche la storia di Eric Shanteau, nuotatore statunitense che, dopo aver saputo di avere un tumore ai testicoli, ha deciso comunque di partecipare ai giochi olimpici di Pechino, rimandando al suo rientro l’intervento chirurgico e le cure chemioterapiche. Anche se non può essere ancora definito un “cancer survivor” (per essere sopravvissuti è necessario che siano passati 5 anni dalla malattia) nel settembre del 2008 è stato definito guarito e da allora collabora attivamente con l’associazione di Lance Armstrong. Il ciclista svedese Niklas Axelsson ha avuto una carriera burrascosa: nel 2001 è trovato positivo all’Epo e sconta due anni e mezzo di squalifica. Poi riprende la carriera, ma nel 2006 gli viene diagnosticato un tumore al testicolo. Viene quindi sottoposto a cinque cicli di chemioterapia, durante i quali riprende gli allenamenti: nel periodo di cura percorre 3 mila km in bici, guarisce e nell’aprile 2007 torna a correre. Altro ciclista svedese è Magnus Bäckstedt, che all’inizio del 2007 subisce un doppio intervento al torace per l’esportazione di un tumore della pelle, ma dopo pochi mesi è già in sella. Il più famoso di tutti è sicuramente Lance Armstrong, il ciclista americano che ha vinto sette Tour de France di seguito (1999 – 2005), dopo esser stato operato di un tumore ai testicoli e che, all’età di 37 anni, correrà il prossimo Tour de France. «Ho deciso di tornare al ciclismo professionistico per aumentare la consapevolezza sul problema globale del cancro», ha dichiarato. Infatti, dopo una guarigione che da molti è stata definita quasi miracolosa, il ciclista nel 1997 fonda la “Lance Armstrong Foundation” con l’obiettivo di aiutare gli ex malati di tumore a recuperare la propria vita, dal punto di vista sociale e lavorativo.

LIVESTRONG (da Wikipedia)
Livestrong è un braccialetto da polso ideato dal ciclista Lance Armstrong nell’estate del 2004. Il braccialetto faceva parte di un programma educativo denominato Wear Yellow Live Strong, con l’intento di sostenere le vittime e i guariti del cancro e consapevolizzare sul problema. Il braccialetto è venduto in pacchi da 10, 100 o 1200 per aumentare di $5,000,000 i fondi della Lance Armstrong Foundation in collaborazione con Nike. Il colore giallo fu scelto per l’importanza che aveva nella vita del ciclista (gialla è la maglia portata dal leader del Tour de France). Il braccialetto è divenuto un fenomeno di massa alla fine dell’estate, dapprima apparendo ai polsi di molti partecipanti al Tour de France, poi a quelli di alcune personalità come: John Kerry, l’attore Matt Damon, e molti atleti alle Olimpiadi. Tale visibilità ha permesso che il braccialetto divenisse alla moda. I braccialetti gialli sono fatti di gomma, con inciso il motto LIVESTRONG.

di Mia Dell’Agnello
Pubblicato su Fitmed online 5/2009

Lavoro con sovraccarichi per migliorare la qualità della vita

d0001456pMentre l’effetto che il lavoro con i sovraccarichi ha sul muscolo è facilmente ben compreso e accettato, i suoi effetti benefici sui fattori di rischio per la salute e le malattie cronico-degenerative sono ancora solo parzialmente noti.  

Secondo il U.S. National Center for Health Statistics, il 44% degli uomini americani e il 38% delle donne svolge regolarmente attività fisica, ma solo il 16% del totale dedica una parte del proprio allenamento a una qualche forma di esercizio con sovraccarico. Con questo si intendono tutti gli esercizi che sottopongono la muscolatura a un lavoro contro resistenza, sia esso con pesi liberi, macchinari fitness o Pilates, ma anche peso corporeo, tubi elastici, bande e altri piccoli attrezzi. Mentre l’effetto che il lavoro con i sovraccarichi ha sul muscolo è facilmente ben compreso e accettato, i suoi effetti benefici sui fattori di rischio per la salute e le malattie cronicodegenerative sono ancora solo parzialmente noti.

QUALI BENEFICI
Sarcopenia è il termine utilizzato per indicare la graduale diminuzione del tessuto muscolare, un normale processo fisiologico che per la maggior parte degli individui comincia a partire dai trent’anni circa. All’età di settant’anni, un individuo può aspettarsi di avere perso fino al 25% della sua massa muscolare totale e relativa forza. Se questo cambiamento è una conseguenza fisiologica di un normale processo di invecchiamento, è anche vero che il sedentarismo e l’inattività giocano un ruolo molto importante. Uno studio svolto su uomini sani di età compresa tra i 60 e i 72 anni, che si sono allenati per dodici settimane utilizzando un protocollo standard per lo sviluppo della forza (80% del loro massimale,1RM), ha dimostrato un aumento di forza del ginocchio in flessione del 107% e del 227% in estensione. Questi importanti miglioramenti sono stati simili ai risultati ottenuti da adulti più giovani, a dimostrazione del fatto che l’allenamento della forza può e deve essere mantenuto anche nella terza età. La perdita di massa muscolare non riguarda solo l’aspetto estetico. I muscoli svolgono un ruolo fondamentale nel mantenimento di un buon metabolismo basale. Stimolato da un programma di lavoro con i pesi, l’aumento del metabolismo gioca un ruolo di controllo nell’accumulo di grasso, che incide positivamente per la prevenzione dei fattori di rischio per le malattie cardiache e alcuni tipi di tumori. Un apparato muscolare forte contribuisce anche ad alleviare lo sforzo sul cuore quando al corpo è richiesto di svolgere un lavoro. L’aumento della massa muscolare offre una superficie maggiore per l’archiviazione di glucosio nel sangue e migliora la sensibilità all’insulina. Così, la capacità di mantenere una buona massa muscolare più avanti nella vita aiuta a prevenire o controllare il diabete di tipo 2. Gli effetti più evidenti della perdita di massa muscolare si traducono in una perdita di capacità motorie, con un impatto diretto sulla vita quotidiana: attività come camminare, fare le pulizie o la spesa diventano più difficili quando la forza diminuisce. Anche la capacità di equilibrio, sia statico che dinamico, diminuisce e il rischio di cadute aumenta. L’allenamento con i pesi è stato dimostrato efficace anche nella gestione dell’osteoartrite. La capacità funzionale può essere migliorata se i muscoli che circondano l’articolazione colpita sono forti e possono collaborare a sostenere lo stress: lo sforzo condiviso dalle articolazioni e dai muscoli riduce l’impatto generale sulle superfici articolari. L’evidenza scientifica conferma che l’allenamento in sovraccarico riduce il tasso di perdita ossea e che il carico esterno può anche stimolare la formazione ossea. In questo caso si raccomanda che lo stimolo applicato imiti quei movimenti comuni di vita quotidiana che aumentano la capacità funzionale dell’individuo, come alzarsi da una sedia o dal letto, aprire uno sportello, fare le scale. Non è ancora chiaro quale sia l’effetto benefico del training contro resistenza sugli stati depressivi nelle persone anziani, ma sicuramente il ripristino di abilità perdute rinnova la fiducia e migliora l’umore. La possibilità di muoversi liberamente senza paura di cadere o di perdere l’equilibrio migliora il proprio senso di indipendenza e aumenta il desiderio di socialità.

COME PROGETTARE L’ALLENAMENTO
I fondamentali di un programma di allenamento contro resistenza sono gli stessi per tutti i soggetti, indipendentemente dall’età. Nel caso di una persona anziana, sarà ancor più importante renderla consapevole riguardo gli obiettivi da raggiungere e quindi personalizzare la scheda di lavoro in modo da poter soddisfare le sue esigenze. Le basi di partenza sono il certificato medico, soprattutto in presenza di due o più fattori di rischio coronarico o di sindrome metabolica, e l’analisi dei bisogni, che prende in considerazione anche le eventuali limitazioni fisiche del soggetto. In alcuni casi può essere necessario un periodo di tempo per il condizionamento di base: il livello di training con sovraccarichi sarà minimo e sarà necessario scegliere con estrema cautela le attrezzature da utilizzare in base alle capacità fisiche, ma anche alle preferenze personali. La selezione degli esercizi è molto importante e deve includere almeno un esercizio per tutti i principali gruppi muscolari, enfatizzando i movimenti che migliorano l’equilibrio. L’ordine di esecuzione è sempre dai gruppi muscolari maggiori a quelli minori, al fine di minimizzare la fatica e massimizzare il peso utilizzato. La durata del riposo tra le serie e gli esercizi dovrebbe essere coerente con gli obiettivi del programma e considerare la condizione medica o fisica della persona. Tre serie di un singolo esercizio sono di solito sufficienti a fornire uno stimolo per un adattamento; tuttavia, se il soggetto volesse aumentare il lavoro su una determinata parte del corpo, è conveniente lavorare sull’intensità o aggiungere un altro esercizio, piuttosto che aumentare il numero di serie. Considerata poi l’elevata incidenza di malattie cardiovascolari, è bene limitare anche il numero di ripetizioni: da 1 a 3 serie di 8-10 ripetizioni a un’intensità di 70-80% di 1RM è un buon punto di partenza. Questo programma di allenamento può essere rivisto dopo 12 settimane, valutando con attenzione quale delle variabili possa offrire la migliore strategia per di miglioramento in sicurezza. Due sedute di allenamento a settimana è il minimo numero necessario per produrre positivi adattamenti fisiologici.

LA SICUREZZA DEI LIMITI
Lavorare in sicurezza non vuol dire iperproteggere: una prescrizione di esercizi eccessivamente cauta, non riuscendo a determinare uno stimolo allenante sufficiente all’adattamento, può contribuire alla perdita di funzionalità. L’indipendenza è l’obiettivo principale e si deve resistere alla tentazione di assistere l’individuo per tutto l’allenamento, focalizzando invece l’attenzione sui movimenti difficili o che provocano disagio. Sarà importante monitorare soprattutto le sessioni iniziali, insegnando la tecnica di esecuzione e fornendo indicazioni sulla respirazione. Dopo le prime 12 settimane di condizionamento, si aumenterà gradualmente il numero di ripetizioni, e solo successivamente si aumenterà il peso applicato. Gli esercizi devono essere svolti in modo lento e controllato, per evitare traumi alle strutture articolari, ricercando l’ampiezza massima del movimento, senza arrivare mai a percepire dolore o fastidio. L’utilizzo delle attrezzature standard che si trovano in sala pesi offre diversi vantaggi:
- richiedono meno abilità motorie;
- in genere stabilizzano bene la posizione del corpo;
- consentono di iniziare con bassi livelli di resistenza;
- permettono un maggiore controllo del range di movimento.
L’allenamento con i pesi deve essere evitato durante i periodi di dolore o infiammazione, soprattutto se in presenza di artrite: sarà importante monitorare costantemente l’individuo per rilevare i primi segni di disagio e interrompere qualsiasi esercizio prima della manifestazione del dolore. Infine, sarà importante motivare l’individuo, reimpostando obiettivi e incorporando varietà nella routine di allenamento, prima che possa essere percepita come vecchia.

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 di Mia Dell’Agnello
Pubblicato su Fitmed online 10/2011 

Occhio mano e lateralità nella pratica sportiva

The BodyGli esseri umani sono dotati di un minor grado di bilateralità rispetto agli altri animali e ben presto sviluppano una preferenza laterale che riguarda l’utilizzo della mano, del piede/gamba e dell’occhio. Nello sport questo ha un impatto significativo da molti punti di vista: basti pensare a come la tattica di gioco in uno sport di squadra come il calcio viene influenzata dal fatto di avere a disposizione giocatori con un buon piede destro piuttosto che sinistro. Eppure, sarebbe possibile sviluppare la coordinazione bilaterale? E risulterebbe vantaggioso per uno sportivo?  Studi sviluppati sulla competenza musicale hanno confermato che chi suona strumenti a tastiera è dotato di una coordinazione manuale praticamente simmetrica, soprattutto se ha cominciato a studiare lo strumento in giovane età: evidentemente l’esercizio ha interagito con il normale processo di sviluppo della lateralità dominante migliorando le prestazioni del lato non dominante. Quindi si può ipotizzare che con l’esercizio il coordinamento bilaterale sia sicuramente realizzabile anche nello sport. In realtà la maggior parte degli allenatori sottovaluta l’importanza della relazione fra preferenza laterale e prestazione sportiva. Nel complesso, sviluppare la coordinazione bilaterale può essere utile in sport come il basket e l’hockey, che richiedono una capacità prestativa bilaterale: il giocatore di basket può palleggiare, ricevere, passare e tirare la palla con entrambe le mani, così come il giocatore di hockey può spostare la presa sul bastone rapidamente per tirare da destra o sinistra, secondo necessità. Al contrario, in sport di racchetta come il tennis e lo squash, è importante sviluppare tutte le potenzialità del lato dominante; lo stesso, riferito agli occhi, è per gli sport di tiro, in cui l’occhio dominante è utilizzato per prendere la mira.

DOMINANZA UNILATERALE O INCROCIATA
Allo stesso modo è importante verificare anche il rapporto tra i diversi aspetti di unilateralità, ovvero se la parte dominante rispetto a mani (handedness), piedi (footedness) e occhi (eyedness), sia unilaterale destra o sinistra, oppure sia una combinazione mista. Le persone destrimane con occhio dominante destro hanno una dominanza “occhio-mano unilaterale”, mentre quelle la cui dominanza mano e occhio è sui lati opposti sono a dominanza “occhio-mano incrociata”: in alcuni sport è più vantaggioso avere un rapporto unilaterale e in altri è meglio averlo a croce. La corrispondenza occhio-mano è associata a una migliore performance negli sport di racchetta: quando l’occhio e la mano dominanti sono sullo stesso lato, il campo visivo più ampio copre l’area dove la maggior parte dell’azione si verifica. Gli individui con dominanza mano-occhio incrociata sembrano essere più bravi in sport come la ginnastica, la corsa e la pallacanestro. Quando la mano dominante e l’occhio dominante sono sullo stesso lato del corpo, il centro di gravità si sposta verso il lato dominante e questo è penalizzante in sport come la ginnastica, dove l’equilibrio e la simmetria dei gesti sono fondamentali: uno spostamento di peso verso il lato dominante stimolerà una tendenza alla torsione, rendendo più difficile ottenere un perfetto allineamento. Generalmente, le persone con la dominanza mano-occhio incrociata hanno il baricentro più vicino alla linea mediana del corpo, e questo conferisce loro un migliore equilibrio e quindi una migliore prestazione negli sport in cui è fondamentale mantenere un buon equilibrio e una buona centralità del corpo. Nei corridori con il lato dominante simmetrico, per esempio, il peso si concentra maggiormente verso il lato dominante del corpo, producendo una tendenza a deviare leggermente dalla linea di corsa; questa deviazione deve essere compensata, costringendo a uno sforzo maggiore o aumentando il numero di passi per correggere la deriva. Questo può fare la differenza nelle gare sulla breve distanza.

COORDINAZIONE OCCHIO-MANO
La coordinazione occhio-mano è una funzione fondamentale dell’uomo; è la capacità di coordinare le informazioni ricevute dagli occhi con i movimenti delle mani al fine di realizzare un compito. È una competenza che comincia a svilupparsi naturalmente fin dal primo anno di vita, quando il bambino si esercita a raggiungere e afferrare gli oggetti, portarsi alla bocca il cibo, battere le mani, e arriva a perfezionarsi intorno al settimo anno di età. La coordinazione occhio-mano è essenziale per lo sviluppo di competenze di base come la scrittura, così come per le abilità fisiche più avanzate legate allo sport. Nella naturale evoluzione, si sviluppa anche una preferenza a essere destri o mancini. Le persone che apprendono una buona coordinazione occhio-mano in gioventù, mantengono quelle competenze nella loro vita adulta. In ogni caso, anche da adulti è possibile migliorare la coordinazione occhiomano, esercitandosi in alcune attività particolari, come:
- tutti i giochi con la palla e gli esercizi di lancio e presa; possono essere svolti anche individualmente, utilizzando un muro per il rimbalzo e anche come bersaglio, con una mano alternando o con entrambe le mani;
- videogiochi che associano segnali visivi con movimenti della mano; molto indicati i videogiochi “movement-oriented”;
- la pratica di uno sport con racchetta, come il ping-pong e il tennis; ci si può anche esercitare da soli, facendo rimbalzare ripetutamente la pallina sulla racchetta, sia con il palmo della mano rivolto verso l’alto, sia verso il basso, che infine alternando un rimbalzo con il palmo verso l’alto e uno con il palmo verso il basso.
Problemi di vista, tra cui miopia e ipermetropia, o la perdita di campo visivo, possono impedire una perfetta coordinazione occhio-mano, come la perdita di campo visivo, in cui non si dispone di una gamma completa di visione. In alcuni sport le capacità visive sono importanti tanto quanto lo sono capacità motorie come la velocità o la forza e sono allo stesso modo addestrabili: analizziamole nello specifico.
Acuità visiva dinamica: è la capacità di vedere chiaramente gli oggetti mentre l’atleta e/o gli oggetti si muovono velocemente (squash, tennis, calcio, hockey).
Concentrazione visiva: i nostri occhi normalmente reagiscono a tutto ciò che accade nel nostro campo visivo (spettatori, altri giocatori, un aereo che passa nel cielo…); la concentrazione visiva è la capacità di schermare queste distrazioni e rimanere concentrati sulla palla o il bersaglio.
Eye tracking: quando si gioca uno sport di palla o con un avversario in rapido movimento, è importante essere in grado di seguire l’azione riducendo al minimo il movimento della testa. In questo modo si mantiene un migliore equilibrio e si può reagire alla situazione in modo più rapido.
Memoria visiva: la capacità di elaborare e ricordare un movimento rapido, o di fissare un momento di gioco. L’atleta con una buona memoria visiva sembra sempre essere nel posto giusto al momento giusto.
Visualizzazione: è l’abilità che consente di vedere mentalmente l’esecuzione perfetta del movimento che stiamo realizzando, mentre gli occhi stanno vedendo e concentrandosi su qualcosa di diverso (di solito la palla).
Visione periferica: gran parte di Focus: equilibrio e coordinazione ciò che accade nello sport non avviene direttamente davanti ai propri occhi, per questo è importante aumentare la capacità di vedere l’azione di lato, senza dover girare la testa.
Tempo di reazione visiva: la velocità con cui il cervello interpreta e reagisce alle azioni di gioco. Percezione di profondità: consente di valutare rapidamente e con precisione la distanza tra il giocatore, la palla, gli avversari, i compagni di squadra, le linee di confine e altri oggetti.

di Mia Dell’Agnello
Pubblicato su Fitmed online 12/2011 

Attività sportive e disidratazione secondo l’American College of Sports Medicine

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Gli atleti che partecipano a sport di resistenza o ad allenamenti intensi a temperature elevate, possono essere soggetti a fenomeni di disidratazione. In generale, una persona è considerata disidratata quando ha perso più del 2 per cento del suo peso corporeo. L’American College of Sports Medicine  ha pubblicato una review della letteratura scientifica che riassume le attuali conoscenze riguardo alle esigenze di liquidi ed elettroliti durante l’esercizio fisico e l’impatto dei loro squilibri sulla prestazione e la salute. Un adeguato apporto di liquidi è essenziale per gli atleti prima, durante e dopo l’esercizio. Obiettivo della pre-idratazione è di iniziare l’attività sportiva con livelli normali di elettroliti plasmatici. La pre-idratazione con bevande, in aggiunta ai pasti normali e alla normale assunzione di liquidi, deve essere iniziata, quando necessario, alcune ore prima dell’attività per permettere l’assorbimento del liquido e consentire che la diuresi si stabilizzi a livelli normali. Assumere bevande durante l’esercizio fisico ha lo scopo di prevenire disidratazione (una perdita superiore al 2% di peso corporeo da deficit idrico) e anormale disequilibrio elettrolitico, per evitare prestazioni compromesse. Dopo l’esercizio, l’obiettivo è quello di sostituire il liquido e riequilibrare il deficit elettrolitico. L’esercizio fisico può indurre un significativo aumento di temperatura nel corpo (cuore e pelle) in base a condizioni ambientali (temperatura, umidità, sole, vento esposizione), variabili metaboliche e abbigliamento indossato. Innalzamenti della temperatura corporea rendono necessaria la dispersione del calore con un aumento di secrezione di sudore, favorito da un maggiore flusso sanguigno nell’epitelio. L’evaporazione del sudore rappresenta la via principale di perdita di calore durante l’esercizio fisico vigoroso a temperature elevate, quindi le perdite di sudore possono essere anche considerevoli. Oltre a contenere acqua, il sudore contiene elettroliti che, se non adeguatamente sostituiti, possono sviluppare e incidere negativamente sulla prestazione fisica individuale e, a volte, sulla salute (disidratazione e iponatriemia). La variabilità individuale del tasso di sudorazione e di elettroliti contenuti nel sudore rende necessaria una programmazione personalizzata. I tassi di sudore individuali possono essere stimati misurando il peso corporeo prima e dopo l’esercizio.

SUDORAZIONE E VARIABILI INDIVIDUALI
Il termine “euhydration” si riferisce allo stato di idratazione “normale”, mentre i termini “ipoidratazione” e “iperidratazione” si riferiscono rispettivamente a deficit e a eccessi di acqua contenuta nel corpo, al di là della normale fluttuazione di contenuto idrico. Il termine “disidratazione” si riferisce al processo di perdita di acqua corporea. L’ipoidratazione che si verifica durante l’esercizio fisico è di solito caratterizzata da ipovolemia iperosmotica (perché il sudore è ipotonico rispetto al plasma), sebbene l’ipovolemia iso osmotica possa verificarsi durante l’assunzione di alcuni farmaci (per esempio diuretici) o l’esposizione al freddo e ipossia. Diversi sono i fattori che influenzano le perdite di sudore, come la durata e l’intensità dell’esercizio, le condizioni ambientali, il tipo di abbigliamento o equipaggiamento indossato. A volte, questi fattori sono standardizzati per una specifica attività (per esempio, la temperatura di uno stadio al coperto con aria condizionata o la divisa della squadra sportiva). In altri casi, questi fattori si verificano in modo prevedibile (le condizioni climatiche durante l’esecuzione di una gara a lunga distanza). Tuttavia, nella maggior parte delle attività, vi è una considerevole variabilità individuale nell’esposizione ai fattori che determinano i tassi di sudorazione, come il peso corporeo, la predisposizione genetica, lo stato di acclimatazione al calore e l’efficienza metabolica (l’economia nello svolgere uno specifico di esercizio). In una partita di calcio, i tassi di sudorazione variano tra i giocatori in base alla loro posizione e allo stile di gioco, così come al tempo totale trascorso sul campo. Allo stesso modo, i giocatori di football americano (caratterizzati da un BMI elevato e che indossano indumenti protettivi) accuseranno perdite di sudore maggiori rispetti ai fondisti a parità di caratteristiche ambientali e di durata dell’attività. Questi dati dimostrano che gli individui spesso raggiungono tassi di sudorazione pari a 0,5 – 2 litri all’ora. Le contrazioni muscolari producono calore metabolico che viene trasferito dal sangue ai muscoli attivi e quindi al corpo. Successivamente il rialzo della temperatura interna suscita aggiustamenti fisiologici che facilitano il trasferimento di calore dall’interno del corpo verso la pelle, dove può essere dissipata nell’ambiente. Lo scambio termico tra la pelle e l’ambiente è governato da proprietà biofisiche dettate dalla temperatura, umidità, radiazioni solari e dall’abbigliamento. In un ambiente temperato e fresco, l’elevata capacità di dispersione di calore secco (radiazione e convezione) riduce i requisiti di raffreddamento per evaporazione, per cui le perdite di sudore sono piuttosto piccole. Con l’aumento dello stress da calore ambientale, vi è una maggiore dipendenza dal meccanismo della sudorazione per raggiungere il raffreddamento necessario. Indossare abiti pesanti o impermeabili, come una divisa da calcio, aumenta notevolmente lo stress termico e di raffreddamento per evaporazione durante l’esercizio in ambienti caldi. Allo stesso modo, indossare abiti pesanti o impermeabili durante l’attività fisica nella stagione fredda può provocare tassi di sudore inaspettatamente alti. Se l’ambiente è più fresco e consente una maggiore perdita di calore secco, il tasso richiesto di sudorazione risulterà minore; se il sudore secreto non evapora subito e resta a “gocciolare” sul corpo, sarà necessario un tasso di sudorazione maggiore per raggiungere i requisiti di raffreddamento per evaporazione. Al contrario, un maggiore movimento d’aria (vento, velocità del movimento) faciliterà l’evaporazione e ridurrà al minimo gli sprechi (gocciolamento) di sudore. L’acclimatazione al calore aumenta la capacità di un individuo di ottenere una maggiore sudorazione, mentre l’esercizio fisico aerobico ha un effetto modesto sul rafforzamento della reazione di sudorazione. Altri fattori, come l’umidità e la disidratazione iniziale, possono influire negativamente portando alla totale soppressione della sudorazione. Le perdite di elettroliti dipendono dalla perdita di sudore totale e dalle concentrazioni di elettroliti nel sudore. In media, il sudore ha una concentrazione di sodio di circa 35 milliequivalenti (mEq)  per litro e varia in base alla predisposizione genetica, alla dieta, al tasso di sudorazione e allo stato di acclimatazione al calore. Le concentrazioni medie di potassio sono di circa 5 milliequivalenti per litro, il calcio di circa 1 mEq, il magnesio in media 0,8 mEq e il cloruro 30 mEq. Le ghiandole sudoripare possono riassorbire sodio e cloro, ma questa loro capacità non aumenta proporzionalmente con il tasso di sudorazione; di conseguenza, la concentrazione di sodio cloruro nel sudore aumenta in funzione del tasso di sudorazione. L’acclimatazione al calore migliora la capacità di riassorbire cloruro di sodio, che nel sudore di individui acclimatati di solito si presenta in concentrazioni più basse (anche del 50%).

VALUTARE L’IDRATAZIONE
Il bilancio idrico giornaliero dipende dalla differenza tra il guadagno e la perdita di acqua. Il guadagno si ottiene per consumo (liquidi e cibo) e produzione (acqua metabolica), mentre la perdita si verifica con la respirazione, perdite gastrointestinali, renali e sudorazione. Il volume di acqua metabolica prodotto durante il metabolismo cellulare (circa 0,13 g x 1 kcal) è approssimativamente uguale alla perdita di acqua delle vie respiratorie (circa 0,12 g x 1 kcal), quindi non si hanno variazioni di acqua corporea totale; le perdite del tratto gastrointestinale sono normalmente esigue. La sudorazione fornisce la via principale di perdita di acqua durante l’esercizio- stress da calore. I reni regolano l’equilibrio idrico con la produzione di urina, da un minimo di circa 20 ml a un massimo di 1000 ml circa ora; durante l’esercizio fisico e lo stress da calore, sia la filtrazione glomerulare che il flusso ematico renale sono marcatamente ridotti, con conseguente diminuzione della diuresi. Pertanto, quando sono consumati liquidi in eccesso durante l’esercizio fisico (iperidratazione), la capacità di produrre l’urina per espellere il volume in eccesso può essere ridotta. L’acqua corporea totale (TBW) rappresenta circa il 60% della massa corporea, con un range fra il 45 e il 75%; queste differenze sono dovute essenzialmente alla composizione corporea (la massa magra è costituita dal 70-80% di acqua, mentre nel tessuto adiposo l’acqua rappresenta circa il 10%). Atleti allenati, con una grande massa muscolare e un indice di grasso corporeo basso, hanno valori relativamente elevati di TBW. Idealmente, il biomarcatore di idratazione dovrebbe essere abbastanza sensibile e preciso; in realtà, evitando esami di laboratorio, è possibile determinare lo stato di idratazione utilizzando dei biomarcatori semplici, come il colore. Questi biomarcatori, se presi da soli, hanno dei limiti oggettivi, ma contestualizzati e utilizzati insieme ad altri parametri possono fornire informazioni preziose.

DISIDRATAZIONE E IPERIDRATAZIONE
Gli individui spesso iniziano un’attività fisica con un livello normale di acqua corporea totale; tuttavia, può capitare che si cominci l’attività in una situazione di disidrazione, come quando l’intervallo tra le sessioni di allenamento è inadeguato per completare la reidratazione o quando il peso corporeo dell’atleta rappresenta un vincolo. Per esempio, in alcuni sport organizzati in categorie di peso (pugilato, powerlifting, wrestling), gli individui possono disidratarsi appositamente per competere nelle classi di peso inferiore. Inoltre, le persone che utilizzano diuretici possono essere disidratate prima di iniziare l’esercizio. Un deficit idrico senza perdita proporzionale di cloruro di sodio è la forma più comune di disidratazione durante l’attività fisica al caldo; se si ha un grande deficit di cloruro di sodio, il volume del liquido extracellulare subirà una contrazione. Indipendentemente dal tipo di disidratazione, per qualsiasi deficit idrico, le alterazioni della funzione fisiologica sono simili, così come le conseguenze a livello prestativo. I sintomi di disidratazione sono:
- secchezza delle fauci;
- produzione di urina minima o assente, di colore molto scuro, concentrata;
- impossibilità a produrre lacrime;
- debolezza e vertigini;
- perdita di elasticità della pelle (effetto “tenda”).
La disidratazione aumenta la temperatura corporea, la frequenza cardiaca e le risposte allo sforzo percepito durante l’esercizio fisico, lo stress da calore; quanto maggiore è il deficit idrico, tanto maggiore è l’aumento della tensione fisiologica per un determinato esercizio. Una disidratazione entro il 2% del peso corporeo degrada l’attività aerobica e la performance cognitivo/mentale, ma il livello di deficit è anche correlato alle caratteristiche biologiche dell’individuo (la tolleranza alla disidratazione). Fattori fisiologici che contribuiscono al decremento delle prestazioni dell’esercizio aerobico includono un aumento della temperatura corporea, aumento della tensione cardiovascolari, l’utilizzo maggiore di glicogeno, alterata funzione metabolica, e forse alterata funzione del sistema nervoso centrale. L’evidenza suggerisce che questi fattori interagiscono per contribuire in concerto, piuttosto che isolatamente, al degrado delle prestazioni nell’esercizio aerobico. Il contributo relativo di ciascun fattore può variare a seconda della specifica attività, delle condizioni ambientali, dello stato di acclimatazione di calore e della bravura dell’atleta, ma l’elevata ipertermia agisce probabilmente per accentuare il decremento delle prestazioni. Anche la performance cognitiva/mentale è degradata da disidratazione e ipertermia. L’iperidratazione può essere ottenuta combinando un agente che “lega” l’acqua all’interno del corpo, come il glicerolo e le bevande ipertoniche. Un’iperidratazione semplice di solito stimola la produzione di urina per tornare rapidamente a euhydration entro alcune ore; tuttavia, come già descritto, questo meccanismo compensatorio (produzione di urina) è meno efficace durante l’esercizio e c’è il rischio di iponatriemia da diluizione. L’iperidratazione non fornisce alcun vantaggio nella termoregolazione, ma può ritardare l’insorgenza della disidratazione. In generale, la disidratazione è più comune, ma l’iperidratazione con iponatriemia sintomatica è più pericolosa. La disidratazione può compromettere la prestazione atletica e contribuisce a gravi patologie da calore, mentre l’esercizio associato a iponatriemia può produrre grave malattia o morte. La disidratazione aumenta il rischio di esaurimento da calore e rappresenta un fattore di rischio per il colpo di calore. Il colpo di calore è anche associato ad altri fattori, come la mancanza di acclimatazione, l’assunzione di alcuni farmaci, la predisposizione genetica, e la malattia. Inoltre, la disidratazione è stata associata a una ridotta stabilità cardiaca, a un alterato volume intracranico e a un ridotto flusso ematico cerebrale. Crampi muscolari scheletrici si ritengono associati a disidratazione, deficit di elettroliti e affaticamento muscolare, e sono comuni fra atleti non acclimatati al calore (sport estivi all’aria aperta come tennis, gare ciclistiche, calcetto e beach volley). I crampi da calore si verificano solitamente dopo diverse ore di sforzo e sudorazione eccessiva. La causa esatta non è nota, ma le teorie più comuni si riferiscono a un alterato controllo neuromuscolare, a disidratazione con deplezione di sali ed elettroliti, inappropriato condizionamento muscolare. Sono molto comuni tra gli atleti di resistenza e le persone anziane che svolgono intensa attività fisica. Le persone anziane sono più suscettibili a crampi muscolari a causa della perdita di massa muscolare normale (atrofia) che inizia verso i 45 anni e accelera con l’inattività. Inoltre, con l’età, il corpo perde parte del suo senso della sete e della sua capacità di percepire e rispondere ai cambiamenti di temperatura. L’iponatriemia riflette un eccesso di TBW rispetto al contenuto totale corporeo di Na. I sintomi includono mal di testa, vomito, gonfiore a mani e piedi, irrequietezza, stanchezza eccessiva, confusione e disorientamento (a causa di encefalopatia progressiva), e respirazione ansimante (a causa dell’edema polmonare). Quando il sodio plasmatico scende eccessivamente, aumenta il rischio di grave edema cerebrale associato a convulsioni, coma, ernia del tronco cerebrale, arresto respiratorio e morte. I fattori che contribuiscono alla patologia comprendono l’iperidratazione e la perdita eccessiva di sodio totale tramite i fluidi corporei.

IDRATAZIONE: QUANDO E QUANTO PRIMA DELL’ATTIVITÀ
L’obiettivo della preidratazione è di iniziare l’attività fisica in stato di euhydration e con livelli normali di elettroliti plasmatici. Se sono consumati liquidi a sufficienza durante i pasti e se c’è stato un periodo di recupero prolungato (8-12 ore) dall’ultima sessione di allenamento, la persona dovrebbe essere già in uno stato di equilibrio idrico salino. Tuttavia, se il deficit di fluido è stato notevole e non c’è stato tempo sufficiente per ristabilire la euhydration, può essere il caso di considerare un programma di pre-idratazione specifico, che contribuirà a garantire la correzione del deficit fluido-elettrolita. L’individuo dovrebbe assumere lentamente liquidi (per esempio, circa ml 5-7 per peso corporeo) almeno 4 ore prima dell’attività fisica, in modo che vi sia tempo sufficiente per la produzione di urina e il ritorno a uno stato di normalità. Consumare bevande a base di sodio e/o piccole quantità di snack salati o cibi contenenti sodio ai pasti può contribuire a stimolare la sete e a mantenere il consumo di liquidi.

DURANTE L’ALLENAMENTO Bygreenfinger
La quantità di liquido da ingerire dipende dall’indice di sudorazione del soggetto, dalla durata dell’allenamento e dalla possibilità di bere. Si deve prestare attenzione nel determinare i tassi di sostituzione dei fluidi, in particolare nell’esercizio di durata superiore a 3 ore. La composizione dei liquidi da assumere (carboidrati ed elettroliti) può essere importante, in base alla specifica attività, intensità, durata e condizioni meteorologiche. Sodio e potassio devono contribuire a sostituire le perdite di elettroliti nel sudore, mentre il sodio aiuta anche a stimolare la sete e i carboidrati forniscono energia. Il consumo di carboidrati può essere utile per sostenere attività ad alta intensità che durano più di un’ora. Se si affidano il reintegro dei liquidi e l’integrazione di carboidrati a un’unica bevanda, la concentrazione di carboidrati non deve superare l’8%, perché a una concentrazione maggiore riducono lo svuotamento gastrico.

DOPO L’ALLENAMENTO
Le perdite di liquidi ed elettroliti contenuti nel sudore devono essere rimpiazzate per ristabilire l’equilibrio idrico totale e per la maggior parte delle persone questo può essere realizzato consumando un pasto normale e bevendo acqua naturale. Dato che l’alcol può agire come un diuretico (specialmente ad alti dosaggi) e aumentare la produzione di urina, deve essere consumato con moderazione, soprattutto dopo l’esercizio fisico. Se la disidratazione è notevole e il tempo di recupero relativamente breve (12 h), si può inserire un programma di reidratazione specifico. Le perdite di sodio sono più difficili da valutare rispetto alle perdite d’acqua, e presentano un’alta variabilità individuale. Un po’ di sale in eccesso può essere inserito durante i pasti quando la sudorazione è stata particolarmente abbondante. Per raggiungere un rapido e completo recupero da disidratazione è necessario bere circa 1,5 litri di liquido per ogni chilogrammo di peso corporeo perduto: il rapporto non è di 1:1 perché è necessario un volume maggiore di liquidi per compensare l’aumento di produzione delle urine che accompagna il rapido consumo di grandi volumi di liquido. La sostituzione dei liquidi per via endovenosa può essere necessaria in soggetti con grave disidratazione, nausea, vomito o diarrea, o che per qualche ragione non riescono a ingerire liquidi per via orale. Nella maggior parte delle situazioni, la sostituzione di liquidi per via endovenosa non fornisce un vantaggio rispetto all’assunzione normale.

di Mia Dell’Agnello
Pubblicato su Fitmed online 6-7/2011