Il cancro e lo sport professionistico

 

IL SOSPETTO DEL DOPING
Lo sport fa bene, tanto per la prevenzione quanto per la rieducazione da malattie oncologiche, ma la popolazione degli sportivi agonisti non è esclusa da tale patologia, anzi, parrebbe che alcune categorie siano particolarmente a rischio. Non esistono studi ufficiali sulle pubblicazioni scientifiche, ma molti sono coloro che, a vario titolo, hanno affrontato la questione. Fra questi il pm Raffaele Guarinello che, conducendo un’indagine nel mondo del calcio professionistico (iniziata nel 1998), incaricò due epidemiologi dell’Istituto Superiore di Sanità di studiare le cause di morte di migliaia di ex calciatori (circa 20.000 calciatori di serie A, B e C dal 1965 a oggi) e il possibile collegamento con l’assunzione di sostanze proibite, o con pratiche (trattamenti farmacologici, sistemi di allenamento) dannose alla salute. A questa ne seguì una seconda sul ciclismo professionistico (iniziata nel 2000) che esaminò la storia sanitaria di 1.500 ciclisti in attività fra il 1969 e il 1999. Ad occuparsene anche un organismo appositamente creato l’”Osservatorio tumori professionali”. Il confronto fra le cause di morte degli ex giocatori di serie A, B e C rispetto alla popolazione normale mise in evidenza che le morti per leucemia linfoide erano 35 volte più numerose rispetto al resto della popolazione italiana; mentre per le morti da tumore epatico, fu riscontrato un rischio 8 volte superiore. Fra le possibili cause indicate di questo “eccesso di mortalità” è stato segnalato l’abuso di farmaci e/o l’utilizzo di sostanze dopanti: gli anabolizzanti per il cancro al fegato, l’ormone della crescita per la leucemia linfoide. A proposito di doping Umberto Tirelli, Direttore del Dipartimento di Oncologia Medica all’Istituto Nazionale Tumori di Aviano (Pordenone) e Professore di Oncologia Medica presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Udine, Scuola di Specialità in Oncologia, sostiene: «Complicazioni più gravi per altro sono quelle oncologiche, in quanto già si verificano casi di tumori, in particolare al fegato, alla prostata e reni, e potrebbero aumentare nel tempo soprattutto in coloro che hanno assunto per molto tempo degli steroidi anabolizzanti, come sembra vi sia evidenza nei ciclisti in Francia». Il professore si riferisce a un’indagine del 1999 condotta dal Ministero dello Sport francese su 200 ciclisti professionisti, che evidenziò che il 60% soffriva di “serie turbe biologiche che devono essere oggetto di studi scientifici” perché “preludono alla cirrosi e al cancro”. Recentemente, nel corso del 33° Congresso della Società Italiana di Endocrinologia il professor Luigi Di Luigi dell’Unità di Endocrinologia del Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università degli Studi di Roma, nell’ambito del suo intervento sul tema del doping ormonale, ha affermato che «Non esistono dati definitivi relativi alla reale prevalenza di tumori correlati al doping ormonale (tumori del fegato, colon, prostata, tiroide, leucemie, ecc.), né è possibile prevedere quali e quante patologie potranno insorgere, anche dopo avere smesso e a distanza nel tempo, in quei soggetti che attualmente stiano assumendo enormi quantità di ormoni». Dunque molte indagini, molti sospetti, ma nessuna certezza. Recentemente l’ex campione di ciclismo francese Laurent Fignon, due volte vincitore del Tour de France (nel 1983 e nel 1984), presentando il suo libro “Eravamo giovani e incoscienti” ha dichiarato di essere affetto da un cancro dell’apparato digerente. Nella sua autobiografia il ciclista racconta di una vita vissuta intensamente, pagine chiare scolpite di successi e pagine scure di sconfitte, doping e droga. Interrogato sull’eventuale legame tra la malattia e l’assunzione di sostanze illecite, Fignon ha dichiarato che è impossibile dare una risposta: «Non dirò che non abbia influito. Non ne so nulla. È impossibile dire se sì o no. Secondo i medici, sembra di no. Alla mia epoca tutti facevano la stessa cosa, come oggi tutti fanno la stessa cosa. Se tutti i ciclisti che si sono dopati dovessero avere il cancro, ce l’avremmo tutti».

ATLETI SURVIVOR
Indipendentemente dai possibili legami con trattamenti estremi, gli sportivi, come tutti gli esseri umani, si ammalano di tumore, ma a differenza degli altri malati, spesso gli atleti sono famosi e la loro celebrità è strettamente connessa all’immagine di un corpo sano e potente, che contrasta in maniera drammatica con la malattia. Quando uno sportivo sopravvive a un cancro diventa immediatamente un modello per tutti, a dimostrare che non solo si può “scampare la morte”, ma si può tornare a vivere “come prima”: il ritorno di questi atleti sui campi di gara ne è un magnifico esempio. Sono tantissime le storie di atleti lungoviventi che hanno vinto la loro battaglia contro il cancro e sono riusciti a ritornare a gareggiare nel mondo professionistico. Come Nene Hilario, giocatore di pallacanestro brasiliano militante nei Nuggets di Denver, che è tornato in campo a tre mesi dall’intervento chirurgico per l’asportazione di un tumore maligno ai testicoli. Ha destato grande emozione anche la storia di Eric Shanteau, nuotatore statunitense che, dopo aver saputo di avere un tumore ai testicoli, ha deciso comunque di partecipare ai giochi olimpici di Pechino, rimandando al suo rientro l’intervento chirurgico e le cure chemioterapiche. Anche se non può essere ancora definito un “cancer survivor” (per essere sopravvissuti è necessario che siano passati 5 anni dalla malattia) nel settembre del 2008 è stato definito guarito e da allora collabora attivamente con l’associazione di Lance Armstrong. Il ciclista svedese Niklas Axelsson ha avuto una carriera burrascosa: nel 2001 è trovato positivo all’Epo e sconta due anni e mezzo di squalifica. Poi riprende la carriera, ma nel 2006 gli viene diagnosticato un tumore al testicolo. Viene quindi sottoposto a cinque cicli di chemioterapia, durante i quali riprende gli allenamenti: nel periodo di cura percorre 3 mila km in bici, guarisce e nell’aprile 2007 torna a correre. Altro ciclista svedese è Magnus Bäckstedt, che all’inizio del 2007 subisce un doppio intervento al torace per l’esportazione di un tumore della pelle, ma dopo pochi mesi è già in sella. Il più famoso di tutti è sicuramente Lance Armstrong, il ciclista americano che ha vinto sette Tour de France di seguito (1999 – 2005), dopo esser stato operato di un tumore ai testicoli e che, all’età di 37 anni, correrà il prossimo Tour de France. «Ho deciso di tornare al ciclismo professionistico per aumentare la consapevolezza sul problema globale del cancro», ha dichiarato. Infatti, dopo una guarigione che da molti è stata definita quasi miracolosa, il ciclista nel 1997 fonda la “Lance Armstrong Foundation” con l’obiettivo di aiutare gli ex malati di tumore a recuperare la propria vita, dal punto di vista sociale e lavorativo.

LIVESTRONG (da Wikipedia)
Livestrong è un braccialetto da polso ideato dal ciclista Lance Armstrong nell’estate del 2004. Il braccialetto faceva parte di un programma educativo denominato Wear Yellow Live Strong, con l’intento di sostenere le vittime e i guariti del cancro e consapevolizzare sul problema. Il braccialetto è venduto in pacchi da 10, 100 o 1200 per aumentare di $5,000,000 i fondi della Lance Armstrong Foundation in collaborazione con Nike. Il colore giallo fu scelto per l’importanza che aveva nella vita del ciclista (gialla è la maglia portata dal leader del Tour de France). Il braccialetto è divenuto un fenomeno di massa alla fine dell’estate, dapprima apparendo ai polsi di molti partecipanti al Tour de France, poi a quelli di alcune personalità come: John Kerry, l’attore Matt Damon, e molti atleti alle Olimpiadi. Tale visibilità ha permesso che il braccialetto divenisse alla moda. I braccialetti gialli sono fatti di gomma, con inciso il motto LIVESTRONG.

di Mia Dell’Agnello
Pubblicato su Fitmed online 5/2009

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