Euromonitor International, società indipendente leader mondiale nella ricerca strategica per i mercati consumer, ha recentemente pubblicato uno studio interessante relativo al consumo di vitamina D e alle evidenze scientifiche a essa associate.
Il mercato delle vitamine e degli integratori alimentari è quello con il trend maggiormente positivo nel settore dei consumi legati alla salute. Analizzando i diversi prodotti, la vitamina D ha registrato il tasso di crescita più elevato dal 2007, pari a un CAGR (Compounded Annual Growth Rate) del 20%. Il forte aumento di fatturato (US $ 934 milioni/anno) ha permesso di tamponare la riduzione di vendite di supplementi più maturi come i minerali, la vitamina C, gli oli di pesce e acidi grassi omega.
L’origine del successo della vitamina D è una reputazione molto positiva, ben radicata negli anni e scaturita da numerosi studi che attribuiscono a questa vitamina (in realtà si tratta di un gruppo di pro-ormoni liposolubili costituito da 5 diverse vitamine), un ruolo fondamentale per il benessere delle ossa, in un delicato meccanismo di equilibrio con il calcio. La vitamina D favorisce il riassorbimento di calcio a livello renale, l’assorbimento intestinale di fosforo e calcio e i processi di mineralizzazione dell’osso. Si ottiene grazie all’esposizione solare e attraverso la dieta: olio di fegato di merluzzo, salmone, aringhe, il latte e i suoi derivati, uova, fegato e le verdure verdi.
La vitamina D è una sostanza nutriente importante per la salute delle ossa e fondamentale nella lotta contro l’osteoporosi, ma recenti ricerche ne indicano la validità anche per altre malattie come il cancro, la sclerosi multipla, il morbo di Parkinson, l’obesità.
Così tanti studi indicano l’importanza di mantenere adeguati livelli di vitamina D nella prevenzione primaria e secondaria, che questo micronutriente è diventato una celebrità: medici ed esperti lo elogiano come un elisir meraviglioso e ne propagandano l’assunzione, come essenziale per la nostra salute.
IL CONTRADDITORIO
Recentemente è stato pubblicato su The Lancet Diabetes & Endocrinology uno studio che mette in discussione le conclusioni suggerite dalle precedenti pubblicazioni sulla vitamina D. Nello studio “Vitamin D status and ill health: a systematic review”, i ricercatori hanno esaminato i dati di 462 studi condotti in precedenza sugli effetti della vitamina D rispetto ai diversi indicatori di salute (a esclusione del sistema scheletrico). Il 63% degli studi esaminati erano di osservazione, mentre gli altri erano d’intervento. I primi hanno evidenziato che esiste una forte associazione tra stato di salute e concentrazione di vitamina D nel sangue: meno vitamina corrisponde a meno salute. Tuttavia, l’altro 37% degli studi analizzati, che erano d’intervento e quindi più affidabili per stabilire una relazione causale, non ha provato nessuna connessione fra aumento di vitamina D e diminuzione della malattia. Il team di ricercatori concorda nell’affermare che la carenza di vitamina D è un indicatore di cattiva salute, conseguenza e non causa, di una vasta gamma di malattie.
Un altro studio pubblicato recentemente su Lancet, “Effects of vitamin D supplements on bone mineral density: a systematic review and meta-analysis”, ha messo in discussione anche la raccomandazione medica di lunga data che le popolazioni più anziane dovrebbero assumere vitamina D per mantenere l’osso e la salute dello scheletro. I ricercatori hanno analizzato 23 studi precedenti e hanno trovato pochissime evidenze sul beneficio complessivo della supplementazione di vitamina D sulla densità ossea. Pertanto la supplementazione di vitamina D non è necessaria in adulti anziani che non presentano rischi specifici correlati alle ossa, che si espongono normalmente alla luce solare e hanno una dieta equilibrata. Il costo associato all’assunzione di questo supplemento, concludono gli studiosi, non è giustificato.
IN ITALIA
L’Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco) tramite l’Osservatorio Nazionale sull’Impiego dei Medicinali (Osmed) presenta a cadenze semestrali i dati sull’utilizzo dei farmaci in Italia in termini di spesa, volumi e tipologia. I numeri sono anche analizzati e interpretati per correlare la prevalenza delle patologie nel territorio con la corrispondente prescrizione e valutare eventuali modifiche d’indirizzo, anche in un’ottica di spending review.
Presentando l’ultimo rapporto nazionale OsMed il direttore generale dell’Aifa Luca Pani, ha sottolineato la necessità di vigilare sul possibile utilizzo inappropriato della vitamina D, il cui mercato in Italia ammonta a 187 milioni di euro su base annua. «L’AIFA ha guardato con attenzione i dati e ciò che emerge è che ad essere in aumento è il consumo di vitamina D da sola (+17,6% rispetto al 2012), mentre è in riduzione il consumo di farmaci a base di calcio in combinazione con Vitamina D (-3,6% rispetto al 2012) e quello del calcio da solo è costante. In poche parole ci troviamo di fronte a prescrizioni di Vitamina D non appropriate, ad esempio per le diete dimagranti, non sostenuto dalle evidenze scientifiche».
IL FUTURO DELLA VITAMINA D
La spinta per la prevenzione sanitaria e l’attenzione alla salute sono dei volani importanti per il mercato dei supplementi e degli integratori alimentari. Tuttavia la popolarità di questo o di quel prodotto è assai labile e può cambiare in base a nuovi risultati della ricerca, spinta anche e soprattutto da logiche di mercato che nulla hanno a che fare con la salute dei consumatori. Attualmente sono in corso cinque studi clinici controllati randomizzati che stanno testando l’efficacia della vitamina D. I primi risultati non saranno disponibili fino al 2017: nel frattempo il consumo di supplementi di vitamina D crescerà ancora raggiungendo 1,3 miliardi di dollari di vendite globali al dettaglio dentro il 2017 (nel 2007 erano $ 315 milioni).