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Disturbi del comportamento alimentare: generalità

introChi soffre di disturbi alimentari molto spesso, nel proprio percorso patologico, approda in un centro fitness: persone in soprappeso, obesi, ma anche anoressiche, bulimici, ortoressici… Tutti con un solo scopo: dimagrire, bruciare calorie. Tutti con un’ossessione, più o meno grave, più o meno consapevole: il proprio corpo, inadeguato, malato, sbagliato, non accettato, spesso soggetto a una visione totalmente distorta.

Tendenzialmente, si individuano tre tipi di disturbo alimentare: Anoressia Nervosa, Bulimia Nervosa e Disturbo da Alimentazione Incontrollata. Anche se a volte si manifestano già a partire dall’infanzia, sicuramente il loro picco riguarda l’età adolescenziale e la prima parte dell’età adulta. Il problema fondamentale è che sono caratterizzate da un esordio in sordina, e per questo insidioso, che spesso ritarda drammaticamente la diagnosi e l’intervento terapeutico. Il più delle volte si ha a che fare con malati invisibili, perché è labile il confine con condizioni di “normalità”: prima di arrivare alla malattia conclamata, infatti, il soggetto vive lunghi periodi di “incubazione” in cui si strutturano tutti i comportamenti che caratterizzeranno poi la malattia. In genere, sono patologie di lunga durata, con un alto tasso di cronicizzazione, caratterizzate da elevati indici di mortalità (dal 5 al 18%, in base alla durata), dovuta a complicazioni (soprattutto a livello del sistema cardiocircolatorio) e non raramente a suicidio. I disturbi del comportamento alimentare rappresentano, per chi ne è affetto, la soluzione, la risposta a un dolore. Si possono individuare alcuni sintomi caratteristici generali:
- irragionevole paura della propria immagine corporea e del giudizio delle altre persone, perché lì tutto è riposto;
- ansia eccessiva riferita al proprio peso, che si manifesta con un utilizzo ossessivo della bilancia, piuttosto che, al contrario, un rifiuto caparbio alla sua misurazione;
- continuo controllo del proprio corpo allo specchio;
- confronto esasperato del proprio aspetto fisico con quello degli altri;
- comportamento nevrotico nei confronti del cibo, caratterizzato da alternanze di digiuni/abbuffate, esagerato utilizzo di prodotti dimagranti e ipocalorici, fino ad arrivare al consumo di diuretici e lassativi; il cibo è il condensato simbolico di tutta la vita affettiva ed emotiva;
- esercizio fisico smodato, anche se non presente in tutti i quadri di DCA.
Non è necessario che tutti questi comportamenti siano manifesti, così come non è detto che rappresentino un DCA in esordio: anzi, molti di questi caratterizzano il periodo puberale e generalmente si risolvono senza conseguenze. La distorsione dell’immagine corporea è centrale nello sviluppo dei DCA, stimolata dai modelli estetici proposti dalla società: il 25% delle ragazze fra i 10 e i 15 anni si sente soprappeso, mentre il 50% non è soddisfatta del proprio corpo. Inoltre, vale la pena di sottolineare come non tutti i comportamenti considerati “anomali” debbano avere una spiegazione ed essere inquadrati come sintomi preliminari di chissà quale patologia psicotica. Tuttavia, è tendenzialmente vero che i comportamenti sopra descritti sono un segnale di difficoltà, di fronte al quale, senza alcun allarmismo, è bene “drizzare le antenne”.

ANORESSIA E BULIMIA
L’anoressia nervosa è caratterizzata da una profonda paura di aumentare di peso, accompagnata da una visione distorta di sé e da un continuo e progressivo timore di perdere il controllo del proprio corpo. Reprimere lo stimolo della fame innesca un gioco perverso di conferma del proprio potere: più lo stimolo è presente, più si ha soddisfazione nel dominarlo; spesso, questo esercizio di disciplina e capacità di controllo, porta la persona anoressica a sentirsi superiore rispetto agli altri e la spinge a un progressivo allontanamento dagli ambiti sociali. Il disturbo ossessivo-compulsivo, determinato dai continui pensieri sul cibo e sul corpo, spinge la persona anoressica a cercare una propria stabilità instaurando riti e abitudini che caratterizzano giornate e attività. Dal punto di vista clinico, un indice di massa corporea inferiore a 17,5 è sicuramente un segnale molto sospetto, soprattutto se accompagnato da amenorrea (assenza di almeno tre cicli mestruali consecutivi).
La bulimia nervosa è caratterizzata da frequenti abbuffate e dalla totale perdita di controllo sul cibo: le persone bulimiche mangiano per mezz’ora di seguito ingurgitando di tutto, senza scegliere gli alimenti, senza neanche sentirne i sapori. Le abbuffate sono seguite poi da profondi sensi di colpa, e da una grande vergogna per avere perso il controllo. Da qui seguono due comportamenti differenti: nel primo, caratterizzato da condotte di eliminazione, la persona bulimica si induce il vomito per eliminare quello che ha mangiato; nel secondo, senza condotte di eliminazione, l’abbuffata è compensata con periodi di digiuno, attività fisica estrema, utilizzo di diuretici e lassativi. La diagnosi è particolarmente difficile anche perché questi soggetti mantengono un peso normale e spesso riescono a tenere segreti i loro comportamenti. A volte la bulimia è associata a forme di autolesionismo più o meno gravi.
Sia anoressia che bulimia sono disturbi tipicamente femminili (rapporto di 1 a 20) anche se i disturbi alimentari nei maschi rappresentano una realtà epidemiologica in aumento. Mentre nelle donne il tempo medio di latenza è di 4 anni, in genere un maschio entra in terapia dopo 7 anni di malattia, il cui esordio si segnala generalmente intorno all’adolescenza, quando il giovane comincia a strutturare la propria identità adulta. Invece di anoressia, si parla spesso di anoressia inversa, o vigoressia, o dismorfia muscolare, poiché nei maschi la principale causa di dimagrimento è determinata da un eccesso di esercizio fisico; per questo, generalmente, non si arriva mai a perdite di peso gravemente invalidanti. I sintomi maggiormente riconoscibili sono l’assenza di massa grassa e la ricerca, urgente e continuamente insoddisfatta, di incrementare la propria massa muscolare tramite esercizio fisico compulsivo e rigorose diete alimentari fino ad arrivare, talvolta, all’uso di steroidi anabolizzanti.

TRIADE DELL’ATLETA
A volte si ricorre all’attività fisica perché già si soffre di un DCA, alle volte è il praticare un’attività sportiva che può favorire l’insorgenza di un DCA, soprattutto praticando quegli sport in cui il rapporto peso-forma è fondamentale per una prestazione ottimale (ginnastica artistica e ritmica, pattinaggio, danza…). In particolare, in un’atleta di sesso femminile, si parla di “triade dell’atleta” quando compaiono contemporaneamente tre sintomi:
- ridotta disponibilità di energia, che causa un peggioramento della performance;
- irregolarità mestruale;
- fragilità ossea.
Nel tentativo di ridurre al minimo la propria massa grassa, queste atlete diminuiscono eccessivamente l’apporto di cibo, aumentando contemporaneamente le sedute di allenamento e utilizzano lassativi e diuretici in maniera indiscriminata. Il controllo del peso diventa così un’ossessione che, oltre a incidere negativamente sulla performance, predispone l’atleta a fratture, strappi muscolari e a gravi complicanze cardiache e renali.

DISTURBI DA ALIMENTAZIONE INCONTROLLATA
I sintomi che caratterizzano gli affetti da disturbi da alimentazione incontrollata, in inglese Binge (orgia) Eating Disorder, possono essere paragonati a quelli delle persone bulimiche, con la differenza che i “Binge” non cercano di compensare le calorie introdotte in eccesso. Studi recenti sostengono che a questa categoria appartengano circa il 20% delle persone obese: si abbuffano regolarmente in modo compulsivo e incontrollato, generalmente da soli. Spesso le “crisi” sono precedute da un’emozione o un avvenimento scatenante e sono seguite da disgusto e senso di colpa, una sorta di autopunizione per un disagio interiore che non trova soluzione adeguata, e che si preferisce nascondere con decine di chili di soprappeso. La paura è la condizione cronica che innesca il circolo vizioso: paura di non essere all’altezza, di non essere accettati e rifiutati. Perché si possa inquadrare come un DCA, i soggetti devono avere un indice di massa corporea di almeno il 30% superiore alla normalità, e le crisi di alimentazione incontrollata devono presentarsi con una frequenza di almeno 2 volte alla settimana per 6 mesi.

ORTORESSIA
Consideriamo, infine, un DCA di recente definizione, l’ortoressia, caratterizzato dall’ossessione per un’alimentazione e uno stile di vita salutare, che porta alla selezione esasperata dei cibi e al totale rifiuto di interi gruppi di alimenti, al praticare fitness estremo con un’attenzione psicotica verso il proprio corpo.

Di Mia Dell’Agnello
Pubblicato in Professione Fitness 6/2008

Dieta, fitness e altre prigioni


“In un momento storico di grandi incertezze, in cui l’individuo sente di avere poco controllo sulla  propria esistenza e sente un senso di inefficacia sulle possibilità di cambiare il proprio destino, si avverte la necessità di riportare il controllo sui propri confini corporei. Il progetto corpo è uno dei pochi territori in cui il singolo individuo sente che le proprie azioni hanno ancora una qualche efficacia: dieta, palestra, attività fisica, sono pratiche attraverso cui il corpo può essere oggettivamente modificato. Questo restituisce, in qualche modo, un equilibrio o una falsa idea di controllo. Io credo che l’anoressia (non la patologia primaria declinata dai manuali medici, ma la ‘nuova’ anoressia) sia una metafora del nostro modo di relazionarci al mondo, una sorta di ‘grammatica’ diventata di uso comune, come se la malattia fosse entrata nel nostro modo di pensare, nel discorso, e le persone se ne fossero appropriate per dire altre cose, per difendersi. Da questo punto di vista, tutti i comportamenti di controllo sul proprio corpo possono essere considerati figli di questa declinazione”.

Luisa Stagi

Fitness e body building sono attività fisiche che, a differenza di tutti gli sport, non ambiscono a un risultato prestativo “esterno”, in cui il corpo è il mezzo per ottenere un risultato, ma sono attività in cui il risultato è la stessa costruzione o modifica del corpo. Non è ancora così frequente che una persona si iscriva in un centro fitness “solo” per sentirsi meglio, a meno che non si tratti di un “over 60”. Quasi sempre, il cliente vuole vedersi meglio e cerca di raggiungere un obiettivo specifico: perdere peso, rassodare, definire, aumentare la massa, dando anche specifiche indicazioni dei distretti anatomici che vorrebbe vedere modificati (glutei, addominali, pettorali, gambe ecc.). Quasi tutti già hanno in testa un modello ben preciso a cui puntare, un obiettivo che spesso, nella sua idealizzazione, si preannuncia già come difficilmente raggiungibile; la costruzione di un corpo irreale, che corrisponde a un modello mediatico impossibile da imitare e sempre più estremo nella sua definizione. In questo progetto di costruzione del corpo i centri fitness rappresentano, loro malgrado e più o meno consapevolmente, un luogo di coltura fertile, ideale per la maturazione di modelli comportamentali deviati. Molto spesso, chi si iscrive in un centro fitness coltiva aspettative molto elevate e ambisce a risultati che non sempre corrispondono all’impegno che intende dedicare alla loro realizzazione. Dunque, all’istruttore si pone da subito una questione: lavorare sull’impegno o sull’ambizione del risultato? Sull’accettazione di sé o sull’esasperazione della prestazione? La cura verso il proprio corpo non è di per sé ossessiva, così come il centro fitness non rappresenta necessariamente il tempio di tale ossessione: proprio per questo le palestre non possono più prescindere da un ruolo educativo, seppur rigorosamente definito nei suoi confini. Ne abbiamo parlato con Luisa Stagi, sociologa, esperta in disturbi del comportamento alimentare e autrice del libro “Anticorpi. Dieta, fitness e altre prigioni”, a cui abbiamo rubato il titolo per questo articolo.

Nel suo libro si legge che l’anoressia è cambiata e sta cambiando da un decennio a questa parte: è maggiormente indotta dal modello sociale, si è diluita nella sua profondità e si è allargata nella sua espansione. Ci spiega meglio questo concetto?
I primi anni in cui si cominciava a diffondere e a studiare, l’anoressia era, in particolari condizioni psicopatologiche, il tentativo di controllare/rifiutare le trasformazioni dell’età puberale. Attraverso il controllo della condotta alimentare si negava la propria femminilità. La nuova anoressia, invece, è maggiormente indotta dal modello sociale, in cui la ricerca non è tanto dell’identità quanto dell’omologazione. L’anoressia maschile o vigoressia è un fenomeno in grande espansione che si inquadra bene con questo nuovo modello, così come anche l’ortoressia. L’anoressia maschile può sviluppare due modelli di comportamento differenti: l’annullamento del corpo, oppure lo sviluppo esagerato della massa muscolare (anoressia inversa). L’incertezza trasmessa da una società che non lancia più segnali precisi di identificazione, una società in cui alcuni attributi maschili non sono più riconosciuti importanti o, per lo meno, in cui gli uomini sentono di non avere messaggi chiari rispetto a ciò che ci si aspetta da loro, determina una grande fragilità e la necessità, in qualche modo, di esercitare un controllo: lavorando sul proprio corpo, annullando, togliendo pezzi, oppure aggiungendo e rinforzando. Il corpo diventa un territorio in cui riusciamo a lavorare e a vedere degli effetti, in cui, finalmente, riusciamo a verificare la validità e l’efficacia delle nostre azioni.

“Controllo” mi pare una parola chiave: un comportamento, una necessità, una pratica che, se sfugge di mano, può diventare ossessione. Nelle palestre molto spesso si praticano e si inducono comportamenti di controllo sul corpo: controllo del peso, della taglia, del battito cardiaco, dei risultati dell’allenamento, controllo della modalità di frequenza della palestra, controllo delle calorie ingerite e di quelle spese…
La dimensione del controllo è diffusa in tutto ciò che ci circonda, perché è un po’ quello che ci manca: le pratiche che aiutano ad avere controllo, aiutano a sentirsi meglio. Se, tuttavia, queste pratiche aiutano a stare meglio, senza entrare nel patologico, io credo che possano andare bene. Avere qualcuno che ci dice cosa è bene e cosa è male alle volte aiuta a mantenere un sottile, ma fondamentale, equilibrio: l’importante è averne consapevolezza. Il controllo diventa ossessione quando è presente una fragilità personale, in chi ha determinate caratteristiche cognitive e in persone che sono più fragili socialmente, perché l’insoddisfazione li rende più vulnerabili. La pressione sociale verso la magrezza, la bellezza, verso l’espiazione, è talmente forte che non è facile liberarsene: starci dentro con consapevolezza mi sembra già un passo importante.

Non crede che anche questo modo di comunicare il problema dell’obesità in termini di pandemia e trasferendo esclusivamente sulla sfera individuale le responsabilità, puntando sul senso di colpa, possa essere un’anticipazione di queste tendenze, una degenerazione anche del modello adottato da molti in cui l’attività fisica viene prescritta in modo rigido e doveristico?
L’individuo sente la necessità di dimostrare di aver capito come è giusto stare all’interno della società e lo deve dimostrare con pratiche che lo manifestino con evidenza. La nostra è una società in cui la malattia viene fatta passare innanzitutto come un peso per il “welfare state”: il concetto di fondo di questo nuovo salutismo è che tutti dobbiamo guadagnarci quel poco rimasto del “welfare state” comportandoci bene, sotto ogni aspetto. L’obeso sfugge al controllo sociale, in una socializzazione che non passa più per istituzioni forti e ferme, ma passa attraverso i corpi. Noi interiorizziamo come è giusto comportarsi e attraverso il corpo dobbiamo dimostrare agli altri che lo abbiamo capito: chi non lo fa, sta dicendo che non accetta queste regole, sfugge al controllo sociale e quindi dà fastidio, come danno fastidio tutti i devianti. In realtà, né l’anoressico né l’obeso sono i modelli giusti e conformi per la nostra società. Chi davvero risponde in toto alle richieste della nostra società è il bulimico, che da un lato consuma e dall’altro rimane magro. Per questo, la bulimia è la forma di disturbo del comportamento alimentare più diffusa e anche la meno riconoscibile.

Sempre nel suo libro si legge “L’attenzione ossessiva per l’immagine corporea, il culto della magrezza, non sono la causa dei disturbi alimentari; piuttosto la loro funzione sembra quella di fornire una strada, un contenitore in cui un malessere più profondo riesce a incanalarsi e a esprimersi”. Quale ruolo può avere, in questo contesto, il centro fitness?
Io credo che istruttori, personal trainer, preparatori atletici siano figure veramente importanti per il ruolo educativo che potrebbero assumere, anche perché spesso rappresentano dei modelli di riferimento, ma dovrebbero avere maggiore coscienza del proprio ruolo. Per la stesura del mio lavoro ho parlato con molti gestori, proprietari e responsabili di centri fitness e ho rilevato grande sensibilità a questi argomenti: si tratta, ora, di cominciare a mettere dei “semini di consapevolezza” in chi ha, di fatto, grandi responsabilità.

LUISA STAGIstagi027
Insegna Sociologia e Metodologia e tecniche della ricerca sociale presso l’Università degli Studi di Genova. Nella stessa città collabora con il Centro per la cura dei disturbi alimentari e con il centro interdisciplinare per la ricerca in sessuologia. Per FrancoAngeli ha pubblicato “La società bulimica” (2002) e “Anticorpi. Dieta, fitness e altre prigioni” (2008). “Il disagio generato dal muoversi in un contesto di incertezza, di rischio, di complessità porta a preferire strumenti di definizione che siano concreti, immediati, tangibili. Il corpo diventa allora la superficie ideale per disegnare la propria individualità, per esprimere le proprie ossessioni o il proprio disagio, per scrivere in modo indelebile e visibile il proprio dolore”.

Di Mia Dell’Agnello

Pubblicato su Fitmed online 5/2012