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Quando il corpo e la prestazione diventano un’ossessione

Immagine 1Il corpo è diventato un campo di battaglia: non riusciamo più ad accettarne il naturale sviluppo, ognuno con il suo bagaglio genetico, ognuno secondo i propri limiti. Il corpo perde il suo valore nel presente e diventa un progetto su cui perseverare, inseguendo un’idea, una rappresentazione che nulla ha a che fare con la materia che abbiamo a disposizione. Il corpo è diventato il centro di tutto, occupa lo spazio dei pensieri anche perché, dicono i sociologi, rappresenta l’unico punto fermo in una realtà “liquida” che di punti fermi non ne ha più. Il corpo viene tatuato, schiarito, scurito, ridisegnato, gonfiato, sgonfiato, tagliato e ricucito, sottoposto a regimi alimentari che stenta a sopportare, a fatiche fisiche, cure dolorose. Il corpo ingurgita farmaci, per trovare un rimedio chimico a qualsiasi difficoltà, per inseguire un miracolo o solo per alleviare sofferenze da noi stessi provocate. E sarebbe ingenuo non considerare quanto incidano, su questi cambiamenti sociali, gli interessi di Big Pharma, le grandi case farmaceutiche che investono molto più denaro in marketing che in ricerca e sviluppo, i cui guru della comunicazione sono spesso orientati alla creazione di nuove malattie, o all’allargamento dei loro target con l’inclusione di fasce sempre più ampie di popolazione. La timidezza diventa fobia sociale, la tensione premestruale diventa una sindrome. La menopausa, anziché un normale processo fisiologico, è una malattia da deficienza ormonale. Osteoporosi, ipertensione, colesterolo alto: i fattori di rischio si sono trasformati essi stessi in malattie, ovviamente croniche, e per questo molto remunerative. Nelle linee guida, spesso scritte con le penne delle case farmaceutiche, il confine della normalità di alcuni parametri si sposta sempre più, in modo da aumentare il numero di malati e quindi il bacino d’utenza dei farmaci. Secondo le ultime classificazioni dei livelli di colesterolo, sarebbero circa 40 milioni gli americani che necessitano di cure, mentre il 90% degli anziani sarebbe colpito dall’ipertensione. Normalissime esperienze umane sono vendute come sintomi evidenti di qualche malattia: essere sovrappeso, perdere i capelli, essere timidi, tristi, insoddisfatti delle proprie prestazioni sessuali… le case farmaceutiche sono sempre a caccia di nuove malattie, e noi siamo ben disposti al gioco, pur di avere una facile soluzione per tutto ciò che non ci soddisfa. È la nuova tossicodipendenza, fatta di psicofarmaci, perché la medicalizzazione del disagio è socialmente accettata e la sostanza viene assunta non per fuggire (come nel caso degli stupefacenti), ma per “guarire” il disagio stesso. Quando la ricerca della salute giunge a livelli estremi e ossessivi, diventa essa stessa fonte di malattia.
ragazza schiena 2Anche nello sport stiamo assistendo a un fenomeno di medicalizzazione pericoloso, non solo nella sostanza, ma anche nella forma, come approccio comportamentale, perché suggerisce l’assunzione di “altro” e coinvolge anche e sempre più lo sport non agonistico e gli atleti di giovane età. Si fa spesso ricorso ad aiuti esterni per un corpo che non ce la fa a rispondere ad aspettative elevate: dagli integratori ai farmaci fino ad arrivare al doping, la priorità non è la salute di quel corpo, quanto il risultato che quel corpo può raggiungere. Così il corpo è un terreno su cui esercitare il proprio controllo: un corpo che deve diventare indifferentemente più veloce, più muscoloso, più resistente, più magro, più bello. Impossibile non individuare un filo conduttore comune fra queste diverse espressioni di “eccesso”, che qualcuno definisce “patologie dell’immagine” in cui, dai disturbi alimentari per arrivare al doping, si delinea una dinamica psicologia analoga, ove la dipendenza da un oggetto esterno, sia esso cibo o sostanza chimica, porta con sé una valenza distruttiva, vissuta in modo compulsivo. Una dinamica psicologica che trae sostentamento e forza dagli stessi input sociali e dai medesimi modelli comunicativi. In tutto questo pensiamo che il fitness giochi un ruolo fondamentale. Per discostarsi da quel modello, e per non contribuire a questo gioco al massacro è importante, crediamo, una presa di posizione netta, che mira ancora una volta al riconoscimento del centro fitness come luogo dove si va per stare meglio, partendo dal corpo per arrivare alla testa. Il ruolo educativo è, a questo punto, inevitabile nei confronti di tutti coloro che vi approdano, attirati come mosche al miele. Anoressiche, bulimiche, ortoressici, body builder estremi, malati della forma a tutti i costi, atleti, che dal loro corpo pretendono ciò che naturalmente non riusciranno mai a ottenere, impantanati in un gioco perverso di cui spesso chiedono al professionista del fitness di tracciare le regole: consigli alimentari, supplementazioni, tabelle di allenamento, tutto può diventare strumento atto allo scopo. Da questo gioco è bene prendere le distanze, prima che qualcuno possa trasformare il fitness in una malattia e le palestre in luoghi di perdizione.

Di Mia Dell’Agnello
Pubblicato su Professione Fitness 4/2009

Caffeina, bevande energetiche e prestazione sportiva

Coffee beans - Stimulant drug for home and officeBevande energetiche contenenti caffeina sono supplementi popolari che hanno usi variabile sia fra gli atleti che fra i non atleti. Questo studio, condotto da William P. McCormack e Jay R. Hoffman, dimostra che tali bevande sono efficaci nel migliorare le prestazioni di resistenza, ma non lo sono altrettanto nelle prestazioni di forza e potenza. La review, presentata sull’ultimo numero di “Strength & Conditioning Journal”, si concentra sull’efficacia di tali prodotti (caffeina da sola o in combinazione con altri ingredienti) sulla performance nei tempi di reazione, durante un’attività prolungata e il loro ruolo durante le prestazioni di potenza.  La popolarità delle bevande energetiche sembra essere in costante aumento. Recenti evidenze suggeriscono che le bevande energetiche sono disponibili in più di 140 paesi e le vendite nel 2011 hanno superato i 9 miliardi di euro (1). Le strategie di marketing sono rivolte a giovani popolazioni sportive, le aziende produttrici sono spesso sponsor di manifestazioni sportive e utilizzano atleti agonisti come testimonial; la metà delle bevande energetiche è venduta a persone di 25 anni e più giovani. L’ingrediente principale nelle bevande energetiche è la caffeina, addizionata, per migliorarne l’effetto, con vari ingredienti aggiuntivi per fornire un effetto sinergico o additivo. Nella letteratura scientifica l’efficacia della caffeina, da sola e con varie combinazioni di ingredienti, è stata accertata in relazione alle prestazioni di resistenza. Gli studi hanno dimostrato che la caffeina migliora le prestazioni negli sport a lunga distanza come corsa, bicicletta (2, 3, 4, 5, 6, 7), canottaggio (8), e nuoto (9). Tuttavia, la ricerca è stata equivoca quando esamina l’effetto della caffeina sulle prestazioni di forza e potenza. L’obiettivo di questa review è di fornire una migliore comprensione del ruolo ergogenico che le bevande energetiche a base di caffeina hanno sulla forza, la potenza e le prestazioni nell’esercizio anaerobico.

MECCANISMO D’AZIONE
La caffeina è uno stimolante del sistema nervoso centrale (SNC) e i suoi effetti sono simili, ma ovviamente più deboli, a quelli associati alle anfetamine. La caffeina è utilizzata come ausilio ergogenico dagli atleti che svolgono sia attività aerobiche che anaerobiche. Tuttavia, i meccanismi di azione possono essere molto diversi. Nell’attività aerobica si pensa che la caffeina prolunghi l’esercizio di resistenza grazie all’aumento dell’ossidazione dei grassi per la mobilitazione degli acidi grassi liberati dal tessuto adiposo o depositi di grasso intramuscolare (10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17). Il maggior uso di grassi come fonte di energia primaria rallenta la carenza di glicogeno e ritarda l’affaticamento. Tuttavia, alcuni ricercatori hanno messo in discussione questo meccanismo (18, 19, 20, 21). Nell’esercizio di breve durata ad alta intensità, l’effetto ergogenico primario attribuito alla supplementazione di caffeina è di aumentare la produzione di energia. Gli studi analizzati riportano un certo numero di possibili meccanismi per spiegare l’effetto della caffeina sulle prestazioni di forza-potenza; questi meccanismi comprendono azioni sia sul SNC che sui sistemi neuromuscolari. Uno degli effetti più significativi della caffeina sul SNC è la sua azione di antagonista selettivo dei recettori dell’adenosina, essendo le due molecole strutturalmente simili fra loro. L’adenosina è una sostanza chimica, prodotta in modo naturale, che agisce da messaggero nella regolazione dell’attività cerebrale e modulando lo stato di veglia e di sonno. La caffeina quindi agisce come un inibitore competitivo, ritardando la sensazione di stanchezza e riducendo gli effetti inibitori dell’adenosina (22, 23). In una meta-analisi di Warren et al. (24), è stato suggerito che l’effetto della caffeina sul SNC porterebbe a un miglioramento dell’attivazione muscolare (unità motore). Inoltre, è stato provato che la caffeina ha qualche effetto analgesico, abbassando la soglia di dolore e il rating di sforzo percepito (25, 26, 27). Alcuni studi suggeriscono che l’assunzione di caffeina migliori la relazione eccitazione/contrazione muscolare, interessando sia la trasmissione neuromuscolare che la mobilitazione di ioni calcio intracellulari del reticolo sarcoplasmatico (28). Infine, è stato anche ipotizzato cha la caffeina determini un miglioramento della cinetica degli enzimi regolatori della glicolisi, come la fosforilasi (29).

EFFETTO DELLA CAFFEINA SU PRESTAZIONI DI FORZA E POTENZA
Non vi sono evidenze scientifiche sufficienti a sostenere l’effetto della caffeina come ausilio ergogenico nelle attività anaerobiche di forza e potenza. Diversi studi hanno esaminato l’effetto del consumo di energy drink prima dell’esercizio e hanno dimostrato un aumento significativo del volume della performance (numero di ripetizioni effettuate) nelle prestazioni di potenza (30, 31, 32, 33). Queste bevande energetiche spesso hanno una “matrice energetica” che può contenere caffeina, taurina e glucuronolattone, ma contengono anche ingredienti aggiuntivi come aminoacidi, creatina e betaalanina. Questi ingredienti non sono progettati per fornire una carica d’energia, ma per migliorare il recupero e fornire l’apporto giornaliero necessario per aumentare la resistenza e le prestazioni di potenza. Per quanto riguarda l’effetto di questi mix di sostanze energetiche sull’aumento del volume di allenamento, i risultati di molti studi ne hanno confermato l’efficacia, così come sono stati registrati significativi aumenti di picco e potenza media espressa per ripetizione (34). L’uso di bevande energetiche può anche avere efficacia nel mantenere le prestazioni di forza dopo l’esercizio esaustivo, mentre sembra essere ininfluente sull’espressione di potenza anaerobica durante l’esercizio ad alta intensità.

CAFFEINA E SPRINT, AGILITÀ E TEMPI DI REAZIONE
È stato dimostrato che l’ingestione di caffeina fornisce un effetto ergogenico sulle prestazioni di sprint ripetuti. Schneiker et al. (35) nel loro studio hanno simulato le esigenze fisiologiche richieste in uno sport di squadra in un contesto competitivo; dopo l’ingestione di caffeina hanno riportato miglioramenti significativi nelle prestazioni di sprint. L’ingestione in dosi importanti di bevande energetiche contenenti caffeina sembra anche avere alcuni potenziali effetti benefici sulle prestazioni di agilità e velocità di reazione. Diversi studi hanno dimostrato che le bevande energetiche possono avere un effetto significativo sulla capacità reattiva e aumentare la concentrazione, l’attenzione e la memoria (36, 37).

DOSE-RISPOSTA
La dose utilizzata nella maggior parte degli studi che dimostrano un effetto positivo della supplementazione di caffeina è di 5-6 mg/kg di peso corporeo. Ciò significa che la dose media per una persona di 80 kg sarebbe approssimativamente di 400 mg di caffeina. Per confronto, una tazza di caffè filtrato contiene tra 110 e 150 mg di caffeina (per circa 23 cl); la classica lattina di Coca Cola o Pepsi (33 cl) ne contiene tra i 30 e i 40 mg. Le bevande energetiche in genere contengono tra 75 e 80 mg di caffeina per 23 cl, anche se alcune ne contengono fino al 174 mg per dose. Nessun effetto significativo è stato rilevato per l’assunzione di dosi minori di caffeina.

LA CAFFEINA È DOPING?
Prima del 2004 la World Anti- Doping Agency (WADA) aveva stabilito uno specifico livello di soglia per considerare doping l’assunzione di caffeina, ma questa restrizione fu in seguito eliminata. Attualmente la caffeina non è contemplata nella lista delle sostanze proibite, sia perché fa parte della dieta abituale della popolazione (sportiva e non), sia perché ha tempi di metabolizzazione molto diversi da soggetto a soggetto. La WADA l’ha invece inserita nel suo “programma di monitoraggio”, che comprende le sostanze che non sono vietate nello sport, ma che sono controllate al fine di individuare eventuali modelli di abuso nello sport. Quindi i livelli di caffeina sono ancora testati e riportati nel test delle urine, ma non ne è vietato l’uso. Negli anni 2010 e 2011 non sono stati rilevati modelli specifici di abuso di caffeina nello sport, anche se ne è stato osservato un aumento significativo nella popolazione atletica.

APPLICAZIONI PRATICHE
La caffeina e le bevande energetiche sembrano avere un effetto ergogenico sulla resistenza nelle prestazioni di potenza. In particolare, l’integrazione con caffeina o una bevanda energetica che contiene caffeina e altri ingredienti può migliorare la qualità di un allenamento aumentando il numero di ripetizioni eseguite e la potenza espressa per ripetizione: ciò può avere importanti implicazioni per la resistenza a lungo termine e le possibilità di sviluppo muscolare. L’uso di un integratore ad “alta energia” può influire sulle prestazioni atletiche ritardando fatica e migliorando il tempo di reazione. Così, la caffeina da sola e in combinazione con altri ingredienti sinergici, può fornire un vantaggio competitivo per gli atleti, pur rispettando la dose minima di 5-6 mg/kg di peso corporeo. Non vi è prova convincente che suggerisca che la caffeina abbia una qualche influenza sul SNC e sul sistema neuromuscolare: sono necessarie ulteriori ricerche in questo campo per definire chiaramente i meccanismi di lavoro. Come tutti gli integratori, le bevande energetiche e la supplementazione di caffeina devono essere assunte con cautela. Gli effetti avversi riportati dopo il consumo di energy drink includono insonnia, nervosismo, mal di testa, tachicardia (38). Se si è in presenza di un problema cardiovascolare, la supplementazione con bevande energetiche o caffeina deve essere discussa con il medico.

CARTA D’IDENTITÀ
La caffeina è una xantina, un alcaloide che si trova in diverse piante come i chicchi di caffé e i semi di cacao, le foglie di tè, le bacche di guaranà e le noci di cola. Il contenuto medio di caffeina è di circa 85 mg per 150 ml (1 tazza) nel caffé tostato macinato, di 60 mg nel caffé istantaneo, di 3 mg nel caffé decaffeinato, di 30 mg nella foglia o nella busta di tè, di 20 mg nel tè istantaneo e di 4 mg nel cacao o nella cioccolata calda. Un bicchiere (200 ml) di una bevanda analcolica che contiene caffeina, ha un contenuto medio di caffeina di circa 20-60 mg. La presenza di caffeina, in accordo con la Direttiva Europea 2002/67/CE, deve chiaramente figurare sull’etichetta delle bevande che contengono più di 150 mg/L. Questa norma si applica ad alcune bevande analcoliche e alle bevande energetiche che contengono caffeina, ma non al tè, al caffé, e ai prodotti che ne derivano, supponendo che i consumatori ne siano a conoscenza.

di Mia Dell’Agnello

Pubblicato in Fitmed online 10/2012

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Il cancro e lo sport professionistico

 

IL SOSPETTO DEL DOPING
Lo sport fa bene, tanto per la prevenzione quanto per la rieducazione da malattie oncologiche, ma la popolazione degli sportivi agonisti non è esclusa da tale patologia, anzi, parrebbe che alcune categorie siano particolarmente a rischio. Non esistono studi ufficiali sulle pubblicazioni scientifiche, ma molti sono coloro che, a vario titolo, hanno affrontato la questione. Fra questi il pm Raffaele Guarinello che, conducendo un’indagine nel mondo del calcio professionistico (iniziata nel 1998), incaricò due epidemiologi dell’Istituto Superiore di Sanità di studiare le cause di morte di migliaia di ex calciatori (circa 20.000 calciatori di serie A, B e C dal 1965 a oggi) e il possibile collegamento con l’assunzione di sostanze proibite, o con pratiche (trattamenti farmacologici, sistemi di allenamento) dannose alla salute. A questa ne seguì una seconda sul ciclismo professionistico (iniziata nel 2000) che esaminò la storia sanitaria di 1.500 ciclisti in attività fra il 1969 e il 1999. Ad occuparsene anche un organismo appositamente creato l’”Osservatorio tumori professionali”. Il confronto fra le cause di morte degli ex giocatori di serie A, B e C rispetto alla popolazione normale mise in evidenza che le morti per leucemia linfoide erano 35 volte più numerose rispetto al resto della popolazione italiana; mentre per le morti da tumore epatico, fu riscontrato un rischio 8 volte superiore. Fra le possibili cause indicate di questo “eccesso di mortalità” è stato segnalato l’abuso di farmaci e/o l’utilizzo di sostanze dopanti: gli anabolizzanti per il cancro al fegato, l’ormone della crescita per la leucemia linfoide. A proposito di doping Umberto Tirelli, Direttore del Dipartimento di Oncologia Medica all’Istituto Nazionale Tumori di Aviano (Pordenone) e Professore di Oncologia Medica presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Udine, Scuola di Specialità in Oncologia, sostiene: «Complicazioni più gravi per altro sono quelle oncologiche, in quanto già si verificano casi di tumori, in particolare al fegato, alla prostata e reni, e potrebbero aumentare nel tempo soprattutto in coloro che hanno assunto per molto tempo degli steroidi anabolizzanti, come sembra vi sia evidenza nei ciclisti in Francia». Il professore si riferisce a un’indagine del 1999 condotta dal Ministero dello Sport francese su 200 ciclisti professionisti, che evidenziò che il 60% soffriva di “serie turbe biologiche che devono essere oggetto di studi scientifici” perché “preludono alla cirrosi e al cancro”. Recentemente, nel corso del 33° Congresso della Società Italiana di Endocrinologia il professor Luigi Di Luigi dell’Unità di Endocrinologia del Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università degli Studi di Roma, nell’ambito del suo intervento sul tema del doping ormonale, ha affermato che «Non esistono dati definitivi relativi alla reale prevalenza di tumori correlati al doping ormonale (tumori del fegato, colon, prostata, tiroide, leucemie, ecc.), né è possibile prevedere quali e quante patologie potranno insorgere, anche dopo avere smesso e a distanza nel tempo, in quei soggetti che attualmente stiano assumendo enormi quantità di ormoni». Dunque molte indagini, molti sospetti, ma nessuna certezza. Recentemente l’ex campione di ciclismo francese Laurent Fignon, due volte vincitore del Tour de France (nel 1983 e nel 1984), presentando il suo libro “Eravamo giovani e incoscienti” ha dichiarato di essere affetto da un cancro dell’apparato digerente. Nella sua autobiografia il ciclista racconta di una vita vissuta intensamente, pagine chiare scolpite di successi e pagine scure di sconfitte, doping e droga. Interrogato sull’eventuale legame tra la malattia e l’assunzione di sostanze illecite, Fignon ha dichiarato che è impossibile dare una risposta: «Non dirò che non abbia influito. Non ne so nulla. È impossibile dire se sì o no. Secondo i medici, sembra di no. Alla mia epoca tutti facevano la stessa cosa, come oggi tutti fanno la stessa cosa. Se tutti i ciclisti che si sono dopati dovessero avere il cancro, ce l’avremmo tutti».

ATLETI SURVIVOR
Indipendentemente dai possibili legami con trattamenti estremi, gli sportivi, come tutti gli esseri umani, si ammalano di tumore, ma a differenza degli altri malati, spesso gli atleti sono famosi e la loro celebrità è strettamente connessa all’immagine di un corpo sano e potente, che contrasta in maniera drammatica con la malattia. Quando uno sportivo sopravvive a un cancro diventa immediatamente un modello per tutti, a dimostrare che non solo si può “scampare la morte”, ma si può tornare a vivere “come prima”: il ritorno di questi atleti sui campi di gara ne è un magnifico esempio. Sono tantissime le storie di atleti lungoviventi che hanno vinto la loro battaglia contro il cancro e sono riusciti a ritornare a gareggiare nel mondo professionistico. Come Nene Hilario, giocatore di pallacanestro brasiliano militante nei Nuggets di Denver, che è tornato in campo a tre mesi dall’intervento chirurgico per l’asportazione di un tumore maligno ai testicoli. Ha destato grande emozione anche la storia di Eric Shanteau, nuotatore statunitense che, dopo aver saputo di avere un tumore ai testicoli, ha deciso comunque di partecipare ai giochi olimpici di Pechino, rimandando al suo rientro l’intervento chirurgico e le cure chemioterapiche. Anche se non può essere ancora definito un “cancer survivor” (per essere sopravvissuti è necessario che siano passati 5 anni dalla malattia) nel settembre del 2008 è stato definito guarito e da allora collabora attivamente con l’associazione di Lance Armstrong. Il ciclista svedese Niklas Axelsson ha avuto una carriera burrascosa: nel 2001 è trovato positivo all’Epo e sconta due anni e mezzo di squalifica. Poi riprende la carriera, ma nel 2006 gli viene diagnosticato un tumore al testicolo. Viene quindi sottoposto a cinque cicli di chemioterapia, durante i quali riprende gli allenamenti: nel periodo di cura percorre 3 mila km in bici, guarisce e nell’aprile 2007 torna a correre. Altro ciclista svedese è Magnus Bäckstedt, che all’inizio del 2007 subisce un doppio intervento al torace per l’esportazione di un tumore della pelle, ma dopo pochi mesi è già in sella. Il più famoso di tutti è sicuramente Lance Armstrong, il ciclista americano che ha vinto sette Tour de France di seguito (1999 – 2005), dopo esser stato operato di un tumore ai testicoli e che, all’età di 37 anni, correrà il prossimo Tour de France. «Ho deciso di tornare al ciclismo professionistico per aumentare la consapevolezza sul problema globale del cancro», ha dichiarato. Infatti, dopo una guarigione che da molti è stata definita quasi miracolosa, il ciclista nel 1997 fonda la “Lance Armstrong Foundation” con l’obiettivo di aiutare gli ex malati di tumore a recuperare la propria vita, dal punto di vista sociale e lavorativo.

LIVESTRONG (da Wikipedia)
Livestrong è un braccialetto da polso ideato dal ciclista Lance Armstrong nell’estate del 2004. Il braccialetto faceva parte di un programma educativo denominato Wear Yellow Live Strong, con l’intento di sostenere le vittime e i guariti del cancro e consapevolizzare sul problema. Il braccialetto è venduto in pacchi da 10, 100 o 1200 per aumentare di $5,000,000 i fondi della Lance Armstrong Foundation in collaborazione con Nike. Il colore giallo fu scelto per l’importanza che aveva nella vita del ciclista (gialla è la maglia portata dal leader del Tour de France). Il braccialetto è divenuto un fenomeno di massa alla fine dell’estate, dapprima apparendo ai polsi di molti partecipanti al Tour de France, poi a quelli di alcune personalità come: John Kerry, l’attore Matt Damon, e molti atleti alle Olimpiadi. Tale visibilità ha permesso che il braccialetto divenisse alla moda. I braccialetti gialli sono fatti di gomma, con inciso il motto LIVESTRONG.

di Mia Dell’Agnello
Pubblicato su Fitmed online 5/2009