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Gli effetti dell’inattività fisica sulla diffusione delle malattie non trasmissibili in tutto il mondo: un’analisi del Lancet Physical Activity Working Group

adultoThe Lancet ha recentemente pubblicato una nuova analisi sugli studi internazionali presenti in letteratura (pubblicati su Medline ed Embase) per quantificare l’impatto globale dell’inattività fisica sulle principali patologie non trasmissibili come la malattia coronarica, il diabete di tipo 2, i tumori della mammella e del colon. Gran parte della popolazione mondiale è inattiva e questo rappresenta un importante problema di salute pubblica: ma è possibile quantificare l’effetto che l’inattività fisica ha su queste importanti malattie? È possibile stimare quanto potrebbero essere evitate se le persone inattive dovessero diventare attive? E stimare l’aumento di aspettativa di vita nella popolazione? Gli studiosi del Lancet ci hanno provato, incrociando dati ufficiali e utilizzando raffinati metodi di analisi di studi provenienti da tutta la letteratura scientifica internazionale.

ATTIVITÀ FISICA E SALUTE
Nell’antichità i medici (già in Cina nel 2600 aC e poi con Ippocrate intorno al 400 aC), credevano nel valore dell’attività fisica per la salute. A partire dal XX secolo, tuttavia, si è sviluppata, nella classe medica, anche una tendenza diametralmente opposta, in cui l’esercizio era visto soprattutto con un’accezione negativa, come un pericolo potenziale a cui preferire il riposo: in quel periodo, per esempio, ai pazienti con infarto miocardico acuto veniva prescritto il completo riposo a letto. L’epidemiologo Jerry Morris è stato sicuramente uno dei pionieri, il cui lavoro ha contribuito a cambiare l’opinione popolare riguardo l’esercizio fisico, conducendo i primi rigorosi studi epidemiologici per indagare l’inattività fisica e il rischio di malattia cronica (pubblicati nel 1953). Da allora, molti altri studi hanno chiaramente documentato i numerosi benefit dell’attività fisica sulla salute ma, nonostante questa conoscenza, gran parte della popolazione mondiale rimane fisicamente inattiva. Per quantificare l’effetto dell’inattività fisica sulle malattie non trasmissibili più importanti, gli studiosi del Lancet hanno stimato quale percentuale di queste malattie potrebbe essere evitata se le persone inattive dovessero diventare attive, nonché quanto potrebbe aumentare la speranza di vita della popolazione. Sono state considerate le malattie non trasmissibili indicate dalle Nazioni Unite come una minaccia alla globale alla salute: malattie coronariche, il cancro, specificamente tumori della mammella e del colon, e diabete di tipo 2.

INATTIVITÀ FISICA: DEFINIZIONE
Si definisce “inattività fisica” un livello di attività insufficiente a soddisfare le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità pubblicate nel 2010. Lì si legge che l’attività fisica comprende tutte le forme ricreative o di svago, le modalità di spostamento (per esempio a piedi o in bicicletta), le attività professionali, le faccende domestiche e tutte le forme di esercizio fisico inserite nel contesto delle attività quotidiane, familiari e di comunità. Al fine di migliorare l’efficienza cardiorespiratoria e muscolare, la salute ossea e ridurre il rischio di malattie non trasmissibili e la depressione, l’OMS raccomanda che gli adulti dai 18 anni in su:
1) svolgano almeno 150 minuti di attività fisica aerobica a moderata intensità durante la settimana, o almeno 75 minuti di attività fisica aerobica intensa, o una combinazione equivalente delle due;
2) effettuino l’attività aerobica per almeno 10 minuti consecutivi;
3) per ottenere ulteriori benefici per la salute, gli adulti dovrebbero aumentare la loro attività fisica aerobica di moderata intensità a 300 minuti a settimana, o 150 minuti di attività fisica aerobica intensa, o una combinazione equivalente delle due;
4) due o più giorni a settimana dovrebbero svolgere un’attività di potenziamento muscolare, coinvolgendo i principali gruppi muscolari;
5) a partire dai 65 anni, gli adulti con scarsa mobilità dovrebbero svolgere attività fisica per migliorare l’equilibrio e prevenire le cadute 3 o più giorni a settimana.
Nelle raccomandazioni dell’OMS si legge anche che, in generale, per tutti i gruppi di età, seguire queste raccomandazioni e essere fisicamente attivi comporta maggiori benefici che danni.

RISULTATI DELL’ANALISI
È stata stimata la prevalenza di inattività fisica nei casi studiati, per malattia coronarica, diabete di tipo 2, cancro al seno e cancro al colon. La prevalenza più elevata è stata osservata in persone che hanno sviluppato il diabete di tipo 2, seguiti da quelli che hanno sviluppato il cancro al colon, la malattia coronarica e il tumore alla mammella. Questi risultati suggeriscono che l’inattività fisica provoca il 6% di morti per malattia cardiaca coronarica, il 7% per il diabete di tipo 2, il 10% per cancro al seno e il 10% per cancro al colon. Anche se la rimozione del fattore di rischio “inattività fisica” ha avuto, in termini di percentuale di riduzione, l’effetto maggiore per il cancro al colon e il minore per la malattia coronarica, vista la maggior incidenza di quest’ultima, avrebbe un effetto molto più grande riguardo al numero di casi che possono essere potenzialmente evitati. Nel 2008 7,25 milioni di persone nel mondo sono morti per malattia coronarica, contro 647.000 per il cancro al colon-retto. Applicando le percentuali rilevate nell’analisi ai 57 milioni di morti in tutto il mondo nel 2008, gli studiosi hanno stimato che più di 5,3 milioni di morti avrebbero potuto essere evitati se tutte le persone inattive fossero state attive. A livello mondiale è stato inoltre stimato che l’inattività fisica provoca il 6-10% delle principali patologie non trasmissibili, quivi includendo la malattia coronarica, il diabete di secondo tipo e i tumori al seno e al colon. Tali scoperte consentono di considerare l’inattività fisica come un vero e proprio fattore di rischio, alla stessa stregua del fumo e dell’obesità. Anche se i fattori di rischio sono classificati in base a scale differenti rispetto alla “quota di rischio”, è comunque interessante paragonare l’inattività fisica agli altri due fattori, contro cui i governi di tutto il mondo stanno attuando delle strategie d’azione: fumo e obesità. Per esempio, si stima che il fumo causi circa 5 milioni di morti in tutto il mondo (dati riferiti al 2000); così, l’inattività fisica sembra avere un effetto del tutto simile. Per questo è necessario esplorare tutte le vie e supportare tutti gli sforzi per ridurre l’inattività fisica in tutti i Paesi e migliorare la salute della popolazione mondiale in modo sostanziale.

Di Mia Dell’Agnello
Pubblicato su Fitmed online 9/2012

L’Onu e le malattie non trasmissibili

WHO_flag copia1pAlla fine del 2011 si è svolta a New York una riunione dei vertici ONU per definire l’agenda internazionale in merito alla prevenzione delle malattie non trasmissibili e il loro controllo. Le malattie non trasmissibili – come infarto, ictus, cancro, diabete e malattie respiratorie croniche -sono attualmente responsabili di oltre il 63% dei decessi nel mondo. Ogni anno, uccidono 9 milioni di persone sotto i 60 anni, con un impatto socio-economico sconcertante. Questa è la seconda volta nella storia delle Nazioni Unite che l’Assemblea Generale si riunisce per un problema di salute; il primo e unico precedente era stato per l’AIDS. Nel suo intervento Margaret Chan, Direttore Generale dell’OMS, è stata molto chiara rispetto alla necessità di un totale coinvolgimento politico e sociale di ogni nazione: i ministeri della salute, da soli, non possono “riprogettare” le società in modo da proteggere intere popolazioni dai fattori di rischio che portano a queste malattie. Perché è di questo che si tratta: il problema è troppo grande e troppo di ampio respiro, dal momento che l’aumento di queste malattie è strettamente connesso con fenomeni universali, come la rapida urbanizzazione e la globalizzazione. La risposta a cambiamenti ambientali così epocali e dirompenti deve essere di uguale portata, anche perché lo stile di vita malsano che alimenta queste malattie si sta diffondendo a una velocità sorprendente. La disponibilità di farmaci per ridurre la pressione del sangue, abbassare il colesterolo e migliorare il metabolismo del glucosio, se da un certo punto di vista aiuta a tenere la situazione sotto controllo, dall’altro inganna la realtà e ottunde la richiesta urgente di cambiamento della politica. Le cause di queste malattie devono essere affrontate alla radice, e l’obesità crescente rappresenta un segnale di spia: è l’evidenza che c’è qualcosa di terribilmente sbagliato nella politica ambientale. L’obesità diffusa in una popolazione non è un indicatore del fallimento della volontà individuale, ma di un fallimento nelle politiche governative. Alimenti industriali, alto contenuto di sale, grassi trans e zucchero, sono diventati il nuovo cibo di base in quasi ogni angolo del mondo: per un numero crescente di persone, rappresentano il modo più economico per riempire uno stomaco affamato. Così come non si può nascondere l’obesità, non è possibile nascondere gli enormi costi con cui queste malattie gravano sulle economie nazionali. Queste sono malattie che, lasciate senza controllo, portano alla bancarotta: in alcuni paesi, per esempio, la cura per il diabete da sola consuma ben il 15% del budget sanitario nazionale. Uno studio dell’Università di Harvard presentato in un recente World Economic Forum stima che, nel corso dei prossimi 20 anni, le malattie non trasmissibili costeranno all’economia globale più di 30 miliardi di dollari, ovvero il 48 per cento del PIL mondiale del 2010. Si tratta di patologie croniche, che normalmente sono rilevate in ritardo, quando i pazienti hanno già bisogno di cure ospedaliere e farmacologiche; eppure sono ampiamente prevenibili, intervenendo sui fattori di rischio:
- uso di tabacco
- dieta malsana
- consumo eccessivo di alcol
- inattività fisica.
In particolare, l’inattività fisica è stata identificata come il quarto fattore di rischio per mortalità globale (6% dei decessi a livello globale) e si stima che sia la causa principale per circa il 21-25% dei tumori al seno e del colon, il 27% di diabete e circa il 30% delle malattie del sistema cardiocircolatorio. È scientificamente provato che livelli regolari e sufficienti di attività fisica negli adulti riducono il rischio di ipertensione, malattie coronariche, ictus, diabete, cancro al seno e del colon, depressione e il rischio di cadute; migliorano inoltre la salute delle ossa e rappresentano un elemento determinante della spesa energetica, fondamentale quindi per il controllo del peso. Il termine “attività fisica” non deve essere confusa con “esercizio”. L’esercizio fisico è una sottocategoria di attività fisica ed è pianificato, strutturato, ripetitivo e mirato al miglioramento o al mantenimento di uno o più componenti della forma fisica. L’attività fisica comprende tutte le attività che coinvolgono il movimento del corpo e sono effettuate come parte del gioco, di lavoro, trasporto attivo, faccende domestiche e ricreative. Gli attuali livelli di inattività fisica sono dovuti sia a un’insufficiente partecipazione ad attività fisiche organizzate nel tempo libero, sia a un aumento di comportamenti sedentari durante le attività professionali e domestiche e a un aumento nell’uso di “passivo” dei mezzi di trasporto. Un’urbanizzazione rapida e scellerata ha portato allo sviluppo di fattori ambientali che scoraggiano la partecipazione all’attività fisica, come l’insicurezza delle strade, l’alta densità di traffico, l’inquinamento, la mancanza di spazi verdi, marciapiedi e impianti sportivi/ricreativi. Per questo l’aumento di attività fisica è una questione sociale, non solo un problema individuale, e pertanto richiede un approccio multi-settoriale e multi-disciplinare, culturalmente rilevante. La World Health Organization ha sviluppato il documento “Raccomandazioni globale sulla attività fisica per la salute”, in cui sono fornite indicazioni sui “dosaggi” di attività fisica necessaria per la prevenzione di malattie non trasmissibili in base a frequenza, durata, intensità, tipo e quantità totale. Le raccomandazioni sono indirizzate a tre fasce di età, selezionate tenendo in considerazione la natura e la disponibilità dei dati scientifici relativi:
5-17 anni
18-64 anni
dai 65 anni in su.

MALATTIE NON TRASMISSIBILI
Sono malattie di lunga durata e generalmente di lenta progressione. I quattro tipi principali di malattie non trasmissibili sono: le malattie cardiovascolari (come infarto e ictus), il cancro, le malattie respiratorie croniche (come l’asma), il diabete. Le malattie non trasmissibili (NCD) uccidono più di 36 milioni di persone ogni anno: circa l’80% di tutte le morti malattie croniche si verificano nei paesi a basso e medio reddito.
di Mia Dell’Agnello 
Pubblicato su Fitmed online 10/2011