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Attività fisica e massa ossea

pesini coppiaSi ritiene che il picco di massa ossea sia raggiunto entro la fine del terzo decennio di vita; una bassa massa ossea rappresenta un fattore di rischio per lo sviluppo di osteoporosi. La massa ossea è determinata fondamentalmente a livello genetico, ma anche l’esercizio fisico vigoroso, che esprime un carico sull’osso, ha un notevole impatto sul contenuto minerale delle ossa (BMC), sulla densità (BMD) e sulla dimensione della parte corticale. L’American Society for Bone and Mineral Research ha recentemente pubblicato un ampio studio longitudinale svedese effettuato su giovani uomini adulti per determinare se una maggiore quantità di attività fisica in età adulta fosse associata a uno sviluppo favorevole di densità minerale ossea areale (ABMD) e volumetrica (vBMD), e nella geometria dell’osso corticale. Sono stati studiati 1068 giovani, di età media 24 anni, per un periodo di 5 anni. Un questionario standardizzato autosomministrato è stato utilizzato per raccogliere informazioni sui modelli di attività fisica sia all’inizio che durante lo studio. BMC e ABMD sono stati misurati utilizzando dual energy X-ray assorbimetria, mentre vBMD e la geometria delle ossa sono stati misurati mediante tomografia computerizzata quantitativa periferica. Le attività sportive sono state suddivise in base all’impatto: alle attività che prevedono azioni salto (per esempio ginnastica, pallamano, basket) è stato attribuito un punteggio di 3; alle attività che richiedono forza esplosiva (per esempio calcio, tennis, hockey su ghiaccio) è stato attribuito un punteggio di 2; alle altre attività a basso impatto (per esempio jogging), è stata dato un punteggio di 1. Le attività senza impatto (nuoto, ciclismo) hanno avuto un punteggio di 0. L’indice osteogenico è stato costruito moltiplicando il tempo speso per ogni tipo di attività sportiva (h/settimana) con il punteggio relativo a quell’attività sportiva. I soggetti sono stati poi divisi in tre gruppi: ad alta (almeno 4 ore a settimana), bassa e nessuna attività fisica (sedentari). Lo studio ha confermato che più alto era il livello di attività, maggiore era l’aumento della densità minerale ossea a livello del rachide lombare e di tutto il corpo. L’aumento di attività fisica è risultato essere associato a uno sviluppo favorevole della BMC totale e della ABMD della colonna lombare e dell’anca, nonché allo sviluppo maggiore della corteccia ossea. Gli uomini che hanno aumentato la loro quantità di attività fisica hanno anche aumentato la loro ABMD dell’anca, a differenza degli uomini che hanno mantenuto o ridotto il loro livello di attività, nei quali è risultata evidente una riduzione dell’ABMD dell’anca. L’aumento di ABMD era dovuto all’aumento delle dimensioni dell’osso corticale e trabecolare vBMD, entrambi determinanti della resistenza ossea e della resistenza contro le fratture. I benefici sono stati ottenuti anche se l’attività fisica è intervenuta dopo l’ingresso nell’età adulta, con risultati migliori riferibili ad attività con l’indice osteogenico maggiore. Inoltre, dato che la caduta è un fattore di rischio ancora più importante dell’ABMD per le fratture dell’anca, si conferma che l’attività motoria, atta a mantenere la funzionalità fisica, è il metodo più efficace per ridurre il rischio di caduta, soprattutto nelle età in cui iniziano a verificarsi le fratture. Nilsson, Journal of Bone and Mineral Research, 2012

Di Mia Dell’Agnello
Pubblicato su Fitmed online 11/2012

 

 

La prevenzione dell’osteoporosi comincia in gravidanza

È noto che la robustezza delle ossa sia correlata al metabolismo del calcio. I fattori gravidanza cibomodmaggiormente coinvolti sono da una parte la quantità di calcio assunta con l’alimentazione e dall’altra la quantità di vitamina D metabolizzata a livello di vari organi quali il fegato, il rene e la pelle nella quale, grazie all’assorbimento delle radiazioni ultraviolette, la vitamina D viene chimicamente perfezionata. Alle nostre latitudini, l’esposizione alla luce del sole e agli UV non è un problema, invece carenze nell’assunzione di calcio e vitamina D sono spesso sottovalutate ed estremamente frequenti. Nella maggior parte dei casi il problema non si pone fino alla terza età, quando la riduzione della massa ossea, che normalmente si accompagna all’invecchiamento, può configurare un quadro di vera e propria osteoporosi: ciò condiziona una maggiore fragilità dello scheletro, più soggetto a micro e macrofratture spesso gravemente invalidanti. Avere immagazzinato più calcio nelle ossa durante lo sviluppo e fino all’età giovane-adulta costituisce un vantaggio nel momento in cui la massa ossea stessa comincerà a decrescere. Un interessante studio inglese, pubblicato sulla rinomata rivista Lancet, ha seguito poco meno di duecento donne durante la gravidanza: le variabili prese in esame erano la costituzione corporea, la loro alimentazione e i livelli di vitamina D nelle ultime fasi della gravidanza. Da queste osservazioni è nato uno studio longitudinale, cioè i figli di queste donne sono stati seguiti fino all’età di 9 anni. Ebbene nel 31% delle madri in gravidanza risultavano concentrazioni di vitamina D insufficienti e nel 18% deficitarie: il dato più significativo è che tale carenza di vitamina D nelle madri si correla a una minore massa ossea nei figli all’età di 9 anni. Inoltre, in base alla stima dell’esposizione alla luce solare e all’assunzione di vitamina D delle madri, si poteva prevedere la massa ossea dei figli. Altro dato che si correlava alla massa ossea dei figli era la concentrazione di calcio nel sangue venoso raccolto dal cordone ombelicale: meno calcio assunto in gravidanza, minore la massa ossea a 9 anni. Quindi la prevenzione dell’osteoporosi non solo viene spesso trascurata e inizia solo con la terza età, ma potrebbe essere indicata, grazie alla supplementazione con vitamina D e calcio, soprattutto nei mesi in cui scarseggia la luce solare, addirittura a partire dalla gravidanza.

di Mia Dell’Agnello
Titolo: Maternal vitamin D status during pregnancy and childhood bone mass at age 9 years: a longitudinal study. 
Autori: Javaid MK, Crozier SR, Harvey NC, Gale CR, Dennison EM, Boucher BJ, Arden NK, Godfrey KM, Cooper C.
Pubblicato: Lancet, Gennaio 2006

Pubblicato su Fitmed online7-8/2010