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Predisporre all’ascolto: nuovi paradigmi della comunicazione

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C’è una premessa fondamentale e necessaria, senza la quale la comunicazione non può avvenire e riguarda il ruolo dell’ascoltatore, molto spesso dato per scontato da parte di chi, avendo qualcosa da comunicare, presuppone la predisposizione dell’altro a recepire il messaggio. La predisposizione all’ascolto è la condicio sine qua non della comunicazione, intesa come atteggiamento culturale volto a mettere in comune, condividere, partecipare.

LA CAPACITà DI ASCOLTO
Il professor Alfred Tomatis, otorinolaringoiatra italo-francese (1920-2000), ha sviluppato una complessa teoria dell’ascolto basata sulle funzioni neurofisiologiche dell’apparato uditivo, in cui riconosce all’orecchio il ruolo primario non tanto dell’udito (identificato come processo passivo), quanto proprio dell’ascolto, ovvero il processo attivo tramite cui i suoni uditi sono selezionati in base al nostro interesse e viene loro attribuito un significato, evidenziando la relazione esistente fra orecchio, linguaggio e psiche. L’incapacità di ascolto è spesso causata da fattori di natura non organica, ma emotiva e psicologica e si traduce nell’incapacità di selezionare il segnale che ci interessa (escludendo i non pertinenti) e concentrarsi su di esso per elaborarlo e riorganizzare l’informazione. Il cattivo utilizzo di questa funzione, se non correttamente rieducato, può essere causa di diverse patologie: ritardi dell’apprendimento, dislessia, balbuzie, generali difficoltà di interagire con l’ambiente esterno che possono arrivare all’autismo. Spesso, queste disfunzioni sono di tipo difensivo e hanno lo scopo, più o meno conscio, di interrompere la comunicazione con l’esterno.
Il ruolo dell’ascoltatore è tanto più difficile, quanto più la vita sociale è invasa da rumori. La nostra società è caratterizzata da un eccesso di comunicazione: la somma di tanti messaggi diventa un unico rumore di fondo, nel quale si fa fatica a recuperare comunicazioni di significato. Le persone sono considerate come bersagli da colpire con azioni di marketing sempre più esasperate, la cui unica strategia parrebbe quella di gridare sempre più spesso e sempre più forte. Per di più, le nuove tecnologie hanno consentito, nel tempo, l’utilizzo di strumenti sempre più penetranti, che spesso invadono il territorio privato costringendo le persone a difendersi, sia utilizzando barriere tecnologiche (dalla segreteria telefonica ai filtri per la posta elettronica), che, più o meno consciamente, adottando barriere psicologiche di non ascolto.

IL NUOVO CONSUMATORE
Chi ha qualcosa da comunicare deve prima di tutto recuperare l’ascoltatore, utilizzando una forma di comunicazione diversa, volta a restituire valore all’ascoltatore e a riconoscerne la dignità. Tanto più che, di fatto, l’ascoltatore/consumatore la sua dignità se la sta già riprendendo, nel mondo del web, dove nell’arco di pochi anni sono saltati tutti i paradigmi base dei processi comunicativi. La comunicazione tradizionale, strettamente correlata al ruolo che l’azienda si è ritagliata nel tempo, è sempre stata una comunicazione unidirezionale, in cui l’azienda comunicava e il cliente fungeva da ascoltatore passivo. Su questa gerarchia si è strutturato tutto il rapporto azienda-cliente, dalle politiche di marketing alle strategie manageriali. Nella maggior parte dei casi anche le tecniche di comunicazione più evolute si sono concentrate nel costruire un brand aziendale forte e monolitico, volto a rappresentare una realtà irrealmente perfetta, che il consumatore doveva solo assorbire passivamente. Da qualche anno a questa parte, lo scenario si sta modificando e il consumatore, più consapevole, acquisisce una rinnovata dignità, sostenuta dall’utilizzo di nuovi mezzi di conoscenza. Strumenti non convenzionali, svincolati dall’autorità aziendale e non governabili, che hanno consentito il proliferare in rete di social network, blog e community, tramite cui gli internauti si trasmettono informazioni, comunicano, si scambiano opinioni, diventando improvvisamente interlocutori, a volte scomodi, a volte preziosissimi. Sono in numero sempre maggiore le persone che, dovendo acquistare un prodotto o un servizio, utilizzano la rete per avere informazioni, che ricavano non tanto dai siti ufficiali delle aziende, quanto piuttosto utilizzando i social network, per avere il parere di altri consumatori. Il valore attribuito ai messaggi che passano attraverso queste voci è elevatissimo, ed è sicuramente molto più credibile e seguito rispetto ai messaggi confezionati e distribuiti direttamente dalle aziende. La conseguenza di ciò è che anche i paradigmi del buon vecchio marketing si stanno ribaltando: quello che prima suonava come “suscita i bisogni e poi soddisfali”, ovvero spingi il mercato, Push marketing, ora si sta trasformando in Pull marketing, perché sono le persone che valutano, confrontano e scelgono in un contesto libero da contaminazioni aziendali. Utopia? Sicuramente eccessiva lungimiranza, vista la lentezza con cui il mondo imprenditoriale sta reagendo ai nuovi input del mercato, incapace di cogliere una grande, grandissima opportunità.

RECUPERARE IL MERCATO
A noi è capitato un episodio interessante. Volendo scrivere un articolo su di una multinazionale straniera da poco trapiantata in Italia, abbiamo pensato di realizzare un’intervista con il responsabile per il nostro paese che, ben contento, ci ha dato la sua disponibilità. Per raccogliere in massimo delle informazioni possibile, come spesso succede, abbiamo utilizzato la rete, andando a visitare anche diversi blog per capire quale fosse la percezione da parte degli utenti. Non abbiamo trovato sorprese ma, come immaginavamo, pareri positivi e negativi sul servizio offerto, pareri che spesso, trovando corrispondenza fra loro, creavano un’assonanza tale da fortificare i singoli, dando validità e spessore a tutti gli interventi. Formulando la nostra scaletta per l’intervista, abbiamo inserito anche una parte che riguardava le critiche lette, una piccolissima parte, sicuri del fatto che l’azienda avrebbe colto questa opportunità per giustificare, spiegare, confutare ciò che le veniva contestato. Pensavamo che ne sarebbe uscito un articolo interessante, in cui l’azienda avrebbe fatto la sua solita bella figura, ma utilizzando uno strumento nuovo, tanto più che, avendo una struttura molto organizzata, aveva a propria disposizione responsabili marketing, uffici di comunicazione, addetti alle pubbliche relazioni. Una volta ricevuta la scaletta, l’intervista ci è stata negata. Scusate se abbiamo parlato di noi, ma l’esempio ci è sembrato emblematico: l’atteggiamento della maggior parte delle aziende è ancora legato a vecchi moduli di comunicazione, che vivono con l’unico scopo di lustrare un’immagine patinata che non corrisponde mai alla realtà aziendale né, tanto meno, al percepito del mercato. Così il consumatore gioca d’anticipo, scrive il suo parere, confronta e valuta, in un territorio libero dove, volendo, le aziende avrebbero modo di inserirsi, se solo avessero il coraggio di abbandonare i vecchi paradigmi. Il mercato si organizza da solo, più rapidamente, e cerca da solo i prodotti e i servizi che corrispondono alle sue esigenze: in futuro la comunicazione aziendale rischia di essere totalmente tagliata fuori. È questa sordità aziendale, per tornare all’inizio, che impedisce alle aziende di trovare una propria banda passante, ovvero una lunghezza d’onda che le consenta di parlare e di essere ascoltata dal pubblico. Un autismo aziendale causato dall’autoreferenzialità per cui “il mondo sono io”, senza confronto, senza discussione. Recuperare la capacità di ascolto vuol dire riprendere la percezione del mercato, nella consapevolezza che questo non è più costituito da rigidi segmenti di target, ma da persone che oggi hanno la possibilità di scegliere.

THE CLUETRAIN MANIFESTO: THE END OF BUSINESS AS USUAL
Nel 1999 fu pubblicato sul web, ad opera di un gruppo di “comunicatori” (Christopher Locke, Rick Levine, Doc Searls, David Weinberger), un manifesto per la comunicazione d’impresa nel mondo on line, che diventò presto un vero e proprio fenomeno, riferimento fondamentale per il grande spirito innovativo in esso contenuto. Articolato in 95 tesi, il Cluetrain (letteralmente: treno carico di indizi, idee, suggerimenti) si pone come obiettivo quello di sollecitare una riforma del linguaggio utilizzato dalle aziende per comunicare on line. Di queste ne presentiamo solo qualcuna, ma suggeriamo di leggerle tutte: potete trovarle riassunte in Wikipedia, oppure nella traduzione italiana del testo a cura di Antonio Tombolino (Fazi editore). 1. I mercati sono conversazioni
2. I mercati sono fatti di esseri umani, non di segmenti demografici.
3. Le conversazioni tra esseri umani suonano umane. E si svolgono con voce umana.
4. Sia che fornisca informazioni, opinioni, scenari, argomenti contro o divertenti digressioni, la voce umana è sostanzialmente aperta, naturale, non artificiosa.
5. Le persone si riconoscono l’un l’altra come tali dal suono di questa voce.
6. Internet permette delle conversazioni tra esseri umani che erano semplicemente impossibili nell’era dei mass media.
7. Gli iperlink sovvertono la gerarchia.
9. Queste conversazioni in rete stanno facendo nascere nuove forme di organizzazione sociale e un nuovo scambio della conoscenza.
10. Il risultato è che i mercati stanno diventando più intelligenti, più informati, più organizzati. Partecipare a un mercato in rete cambia profondamente le persone.
11. Le persone nei mercati in rete sono riuscite a capire che possono ottenere informazioni e sostegno più tra di loro, che da chi vende. Lo stesso vale per la retorica aziendale circa il valore aggiunto ai loro prodotti di base.
12. Non ci sono segreti. Il mercato online conosce i prodotti meglio delle aziende che li fanno. E se una cosa è buona o cattiva, comunque lo dicono a tutti.
16. Le aziende che non capiscono che i loro mercati sono ormai una rete tra singoli individui, sempre più intelligenti e coinvolti, stanno perdendo la loro migliore occasione.
17. Le aziende possono ora comunicare direttamente con i loro mercati. Se non lo capiscono, potrebbe essere la loro ultima occasione.
18. Le aziende devono capire che i loro mercati ridono spesso. Di loro.
19. Le aziende dovrebbero rilassarsi e prendersi meno sul serio. Hanno bisogno di un po’ di senso dell’umorismo.
20. Avere senso dell’umorismo non significa mettere le barzellette nel sito web aziendale. Piuttosto, avere dei valori, un po’ di umiltà, parlar chiaro e un onesto punto di vista.
21. Le aziende che cercano di “posizionarsi” devono prendere posizione. Nel migliore dei casi, su qualcosa che interessi davvero il loro mercato.
26. Le Pubbliche Relazioni non si relazionano con il pubblico. Le aziende hanno una paura tremenda dei loro mercati.
27. Parlando con un linguaggio lontano, poco invitante, arrogante, tengono i mercati alla larga. 32. Per parlare con voce umana, le aziende devono condividere i problemi della loro comunità. 33. Ma prima, devono appartenere a una comunità.
39. Le aziende fanno della sicurezza una religione, ma si tratta in gran parte di una manovra diversiva. Più che dai concorrenti, la maggior parte si difende dal mercato e dai suoi stessi dipendenti.
58. Questo è suicidio. I mercati vogliono parlare con le aziende.
62. Vogliamo accedere alle vostre informazioni, ai vostri progetti, alle vostre strategie, ai vostri migliori cervelli, alle vostre vere conoscenze. Non ci accontentiamo delle vostre brochures a 4 colori, né dei vostri siti Internet sovraccarichi di bella grafica ma senza alcuna sostanza.
66. Il linguaggio tronfio e gonfio con cui parlate in giro – nella stampa, ai congressi – cosa ha a che fare con noi?
69. Le vostre vecchie idee di “mercato” ci fanno alzare gli occhi al cielo. Non ci riconosciamo nelle vostre previsioni – forse perché sappiamo di stare già da un’altra parte.
70. Questo nuovo mercato ci piace molto di più. In effetti, lo stiamo creando noi.
75. Siete troppo occupati nel vostro business per rispondere a un’e-mail? Oh, spiacenti, torneremo. Forse.
76. Volete i nostri soldi? Noi vogliamo la vostra attenzione.
78. Niente paura, potete ancora fare soldi. A patto che non sia l’unica cosa che avete in mente. 87. Il nostro potere è reale e lo sappiamo. Se non riuscite a vedere la luce alla fine del tunnel, arriverà qualcuno più attento, più interessante, più divertente con cui giocare.
89. Siamo leali verso noi stessi, – i nostri amici, i nostri nuovi alleati, i nostri conoscenti, persino verso i nostri compagni di battute. Le aziende che non fanno parte di questo mondo non hanno nemmeno un futuro.
95. Ci stiamo svegliando e ci stamo linkando. Stiamo a guardare, ma non ad aspettare.

Di Mia Dell’Agnello

Pubblicato su Professione Fitness 6/2007

Il futuro non è più quello di una volta*

 *Lawrence Peter Yogi Berra, giocatore e allenatore di baseball statunitense, famoso anche per i suoi aforismi
ingranaggi cervello

Si chiama “singolarità” ed è il periodo storico in cui stiamo entrando, o meglio, in cui siamo già entrati, ma ancora non lo sappiamo. La sua caratteristica principale è determinata dall’innovazione tecnologica che evolverà in maniera così rapida da modificare radicalmente «i concetti base che utilizziamo per dare significato alla nostra vita, dal modo in cui facciamo affari, al ciclo della vita umana, morte compresa». Parola di Raymond Kurzweil, inventore, tecnologo e futurologo, da molti considerato l’erede di Edison, vincitore di riconoscimenti internazionali e autore di diversi libri, fra cui “La singolarità è vicina”, edito da Apogeo. Secondo Kurzweil, la maggior parte delle previsioni a lungo termine è basata su un’interpretazione storica lineare, inadeguata per capire invece il mondo di domani, in cui i cambiamenti determinati dall’applicazione delle tecnologie avranno una velocità di crescita esponenziale. Insomma, l’accelerazione del progresso sarà tale che non è possibile raffigurarsela con i punti di riferimento attualmente a disposizione, se non con un certo sforzo. L’attuale tasso di progresso è stato quantificato, in media, essere cinque volte superiore a quello che ha caratterizzato il ventesimo secolo e raddoppia ogni decade: di conseguenza, nell’arco di venticinque anni avremo l’equivalente di un secolo di progresso. E via, esponenzialmente. I progressi più rivoluzionari hanno a che fare con le nanotecnologie derivate dall’unione tra biologia e informatica, che consentiranno la manipolazione della realtà fisica a livello molecolare. Incredibile? Eppure qualcosa del genere esiste già: si chiama “Respirocyte” ed è un eritrocita nanomedicale, globulo rosso artificiale disegnato in un istituto americano per duplicare tutte le funzioni della cellula. Allo stesso modo saranno realizzati nanorobot molecolari che assolveranno a diverse funzioni all’interno del corpo umano, fino ad arrivare a contrastare l’invecchiamento cellulare… «La singolarità ci permetterà di superare le limitazioni di corpo e cervello biologico. Otterremo il controllo dei nostri destini. La nostra mortalità sarà nelle nostre mani». Altro passo determinante sarà il “reverse engineering”, ovvero la reingegnerizzazione del cervello, partendo dalla sua completa e totale mappatura, per arrivare alla sua riproduzione, incluse le competenze tipicamente “umane” (capacità di risolvere problemi, intelligenza morale ed emotiva…), naturalmente potenziata e migliorata dalle caratteristiche tipiche dell’intelligenza non umana (memoria, potenza, velocità, condivisione di informazioni). «Nei prossimi 25 anni, l’intelligenza non-biologica eguaglierà la ricchezza e la raffinatezza dell’intelligenza umana per poi superarla abbondantemente grazie a due fattori: la continua accelerazione del progresso dell’informatica e la capacità, delle intelligenze non-biologiche, di condividere rapidamente il proprio sapere… Arriveremo al punto in cui il progresso tecnologico sarà talmente rapido da essere incomprensibile per l’intelletto umano non incrementato. Quel momento contrassegnerà la singolarità». Dunque, questi concetti vi paiono incredibili? Anche questo fa parte del quadro: siamo ancora in fase pre-singolarità e i limiti dell’intelligenza umana possono essere superati solo con una grande capacità di astrazione.

INTERNET: NUMERI CHE CRESCONO
La teoria della singolarità è senza dubbio molto affascinante, anche se, come previsto dallo stesso Kurzweil, si fa un po’ fatica a starle dietro. Eppure, riguardo l’evoluzione delle tecnologie, anche noi, anche adesso, avvertiamo un certo disagio nel percepire una velocità di crescita che già esiste e che contamina e modifica tutta la nostra vita; una sensazione di non essere mai abbastanza “sul pezzo”, di essere sempre un pochino più indietro, unita alla desolante consapevolezza che, appena divenuti padroni di una tecnologia, questa sarà già obsoleta. Pensiamo al salto quantico avvenuto negli ultimi venti anni. Negli anni ottanta nessuno avrebbe detto che internet, costituito allora da qualche migliaia di server, potesse diventare un fenomeno di massa. Quando nel 1995 Sergey Brin e Larry Page, poco più che ventenni, cominciarono a studiare il modo per districarsi fra i contenuti della Rete per sfruttare al meglio quello che già allora era un immenso contenitore di informazioni, nessuno avrebbe detto che in un solo decennio quell’esperimento sarebbe diventato Google, un’impresa con diecimila dipendenti sparsi in tutto il pianeta che in Borsa vale più di Walt Disney, Ford e General Motors messe insieme. Anche se le statistiche che vorrebbero inquadrare il “fenomeno internet” risultano spesso poco obiettive, quando non contraddittorie, risulta evidente che tutto ciò che riguarda la Rete continua a registrare segni positivi. Crescono i naviganti, anche se con proporzioni ancora molto legate al livello d’istruzione, e cresce il tempo dedicato alla navigazione. I dati Istat relativi al 2008 sostengono che il 40,2% della popolazione (dai 6 anni in su) naviga in Internet e il 17,7% di loro lo fa quotidianamente. Il Rapporto annuale Censis, raffrontando un periodo di tempo maggiore (2003 – 2007), può parlare di “balzo in avanti” nell’uso di Internet, soprattutto da parte dei giovani italiani tra 14 e 29 anni, la cui utenza complessiva (uno o due contatti la settimana) è passata dal 61% del 2003 all’83% del 2007 e l’uso abituale (almeno tre volte la settimana) dal 39,8% al 73,8%. Secondo una ricerca condotta da Nielsen Online (il servizio di The Nielsen Company per l’analisi e la misurazione certificata di audience Internet, advertising online, video, consumer-generated media, passaparola digitale, e-commerce e più in generale del comportamento dell’utente online) sono aumentati tutti gli indicatori relativi ai consumi internet. Per esempio, analizzando il mese di dicembre, ogni navigatore ha passato nel web 26 ore al mese contro le 20 di dicembre 2007, collegandosi 33 volte e visitando 82 siti, contro le 29 volte e i 66 siti visitati un anno fa. Secondo i dati riportati da Sedo (il più grande portale internazionale per comprare e vendere domini e pagine web su Internet) nel 2008 il numero di domini venduti è cresciuto del 35% rispetto all’anno precedente, mentre il volume totale delle transazioni ha raggiunto i 53.135.710 euro (per curiosità: il dominio più caro del 2008, venduto attraverso Sedo a un prezzo di 1,17 milioni di dollari americani, è stato Kredit.de).

YES, WEB CAN
Oltre a una crescita quantitativa, è importante evidenziare anche una crescita qualitativa nell’utilizzo degli strumenti del web. Sempre secondo i dati presentati da Nielsen Online, il 2008 è stato l’anno di community, blog e social network, un fenomeno che consente di fare almeno due considerazioni. La prima è che la navigazione in rete rientra ormai nei comportamenti consolidati degli utenti, tanto che il legame tra offline e online ne risulta sempre più rafforzato. La seconda considerazione ha a che fare con la “maturità” di utilizzo degli strumenti web, con la capacità di cogliere nella sua pienezza quel nuovo modo di comunicare che sta generando una vera e propria rivoluzione culturale anche nel mondo delle imprese, ribaltando i paradigmi del marketing. I consumatori diventano, finalmente, persone, che tramite il web si confrontano direttamente sugli acquisti esprimendo opinioni e cercando soluzioni “su misura”, tagliando fuori la voce istituzionale delle aziende. Gli “user generated content” (ovvero i contenuti generati direttamente dagli utenti tramite blog, commenti, forum di discussione) stanno acquisendo sempre più importanza nell’orientare i comportamenti di acquisto, tanto da costringere le imprese a interessarsene, trovando nuove modalità di interazione. Per capire quanta potenzialità sia racchiusa nella rete è sufficiente ricordare cosa è capitato alle ultime elezioni americane, nelle quali Barack Obama si è trasformato in un “consumer brand” attraente, globale, riconoscibile e condivisibile. Ha creduto nel modello partecipativo della rete, ne ha assimilato le modalità di diffusione, si è fatto affiancare da una squadra di collaboratori d’eccellenza, del calibro di Chris Hughes, uno dei quattro fondatori di Facebook (24 anni!). È penetrato nell’universo del web 2.0 rifornendo la rete di informazioni, materiali, video, utilizzando i canali di diffusione più tradizionali per i navigatori (come Facebook e MySpace), stimolando conversazioni, raccogliendo opinioni, ascoltando. Ha definito un sito per il social-networking (www.my.barackobama.com, meglio conosciuto come MyBo), strutturato in modo tale da riuscire a mantenere attivi i contatti con milioni di potenziali elettori, tramite conversazioni telefoniche, SMS, email. È riuscito a entrare in contatto (reale, non virtuale) con un numero di persone impensabile senza la rete, favorendone la partecipazione spontanea e diffondendo il proprio “brand” in maniera virale. Tramite microversamenti individuali ha raccolto una quantità di fondi per il finanziamento della campagna elettorale mai raggiunta da nessun altro candidato (a luglio 2008 più di un milione di sottoscrittori avevano versato oltre 200 milioni di dollari). Nel giro di alcuni mesi da Mister Nessuno è diventato il concorrente democratico prescelto per la corsa alla Casa Bianca, superando Hillary Clinton; ora è il primo afroamericano a diventare presidente degli Stati Uniti. Certo, non che il merito sia solo del web, ma che la comunicazione online sia stata fondamentale per il successo di Obama, nessuno lo mette in discussione. Peraltro, anche gli altri concorrenti hanno utilizzato gli stessi strumenti, ma il modo in cui l’hanno fatto è stato differente. Per questo ora il “modello Obama” è diventato materia d’insegnamento presso diverse Università nel mondo. Beh, se non è futuro questo…

di Mia Dell’Agnello

pubblicato su Professione Fitness 2-2009