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Olimpiadi di Londra: quale eredità?

olimpiadiLondra ha vinto la possibilità di ospitare le XXX Olimpiadi Moderne grazie a una grande promessa: che l’impegno finanziario profuso non si sarebbe limitato a soddisfare le esigenze organizzative del più grande spettacolo sportivo mondiale (della durata di 17 giorni), ma avrebbe lasciato una grande eredità alla popolazione. I Giochi di Londra 2012 si prefiggono di migliorare le vite di milioni di persone, favorendo l’inclusione sociale e promuovendo la salute attraverso l’adozione di stili di vita più sani. 

La promessa è chiara, scritta nera su bianco: i Giochi saranno utilizzati come “trampolino di lancio per ispirare le persone in tutto il paese a raccogliere e sviluppare lo sport attivo e stili di vita sani e sostenibili”. BOOM! Per la prima volta nella storia delle Olimpiadi è esplicitato un impegno così importante, che lega saldamente la pratica di un’attività sportiva alla salute della popolazione; che utilizza il palcoscenico dello sport agonistico per promuovere lo sport popolare, anzi nemmeno: l’attività motoria in generale.

OLIMPIADI E SPORT DI BASE: QUALE RAPPORTO?
L’eccezionalità del programma è confermata anche dalla totale assenza di studi (relativi alle passate edizioni) che analizzino il rapporto fra Olimpiadi e diffusione della pratica sportiva: in che modo i Giochi Olimpici e Paralimpici coinvolgono la comunità inducendo modifiche comportamentali importanti? Il Lancet lo scorso anno ha pubblicato un articolo dal titolo “Le Olimpiadi 2012: valutazione degli effetti per la salute pubblica”, ovvero l’eredità che l’evento lascerà non solo in termini di strutture sportive, ma anche come stimolo alla partecipazione sportiva della popolazione. Gli organizzatori promettono benefici duraturi non solo a livello di riqualificazione territoriale (il Parco Olimpico sorge su un’area post-industriale fra le più depresse dell’intero Regno Unito), ma anche sociale e sanitario. I Giochi Olimpici saranno – sempre secondo gli organizzatori – un grande catalizzatore di comportamenti virtuosi che vedranno coinvolte tutte le fasce di popolazione. Essendo un obiettivo dichiarato, il Dipartimento britannico per la Cultura, Media e Sport ha istituito una commissione con il compito di valutare i risultati ottenuti in materia di sport e attività fisica, riqualificazione ambientale, cultura, sostenibilità, economia e disabilità. Poiché non ci sono esperienze pregresse, la valutazione sarà caratterizzata da un approccio poliedrico che analizzerà sia gli effetti dei singoli interventi, che l’evento nel suo complesso. In realtà c’è un certo scetticismo riguardo alla possibilità di riuscire a ottenere risultati che abbiano un valore scientifico. Si tratta di valutazioni empiriche, realizzate con metodi sperimentali, con indicatori ancora da definire e comunque difficilmente quantificabili, soprattutto se riguardanti aspetti qualitativi, come il miglioramento dello stato di salute della popolazione; nello specifico, l’eventuale effetto positivo sarebbe rilevabile solo a lungo termine, dopo una generazione. Per alcuni dati più evidenti (come la riqualificazione ambientale) la commissione annuncia che sarà presentata una relazione di sintesi costo-efficacia già nel 2013.

GLI IMPEGNI E LE ATTESE
Nel progetto dei Giochi di Londra presentato nel 2005, l’esplicito riferimento allo sviluppo di eredità socio- economiche è stato supportato dall’identificazione di indicatori di successo, come quello di avere due milioni di persone attive in più entro il 2012. Gli obiettivi sono stati evidenziati, ma senza veri e specifici piani progettuali. Successivamente, il Governo inglese ha pubblicato un programma d’azione che definisce gli interventi da attuare per traguardare i benefici a lungo termine dei Giochi Olimpici. Per esempio, per educare i giovani alla pratica sportiva, il Governo si impegna a offrire, entro il 2012, a tutti i giovani dai 5 ai 16 anni, cinque ore di sport a settimana e tre ore a tutti i giovani dai 16 ai 19 anni. Parimenti, si impegna, tramite tutela e miglioramento di strutture sportive e campi da gioco e finanziamenti e incentivi a enti locali, ad aiutare almeno due milioni di persone a essere più attive entro il 2012. Ora pare che parte dei finanziamenti stanziati sia già stata ritrattata, a causa del cospicuo lievitare dei costi organizzativi e al taglio dei budget budget è corrisposto un taglio di ambizioni: da 2 milioni di persone più attive si è passati a 1 milione entro il 2013, per poi dimenticarsene del tutto. Anche la paura che le nuove strutture sportive finiscano col diventare delle cattedrali nel deserto è quanto mai sentita. Lo stadio olimpico, l’Aquatics Centre, il velodromo, il palazzetto per il basket: tutti i progetti sono stati realizzati con l’intento di un riutilizzo successivo, ma che include la necessità di operare cambiamenti strutturali finanziariamente impegnativi.

CIFRE CHE LIEVITANO, OBIETTIVI CHE SI RIDIMENSIONANO
È abbastanza consueto nella storia delle Olimpiadi che le città ospitanti ne sottovalutino i costi e ne sovrastimino i benefici: Londra non fa eccezione. Il costo, inizialmente previsto di circa 3 miliardi di euro, è schizzato nel 2007 a 10,7 miliardi, cifra che, secondo alcune voci, è stata recentemente corretta a 14 miliardi. Ammettendo confermata la cifra ufficiale di 10,7 miliardi di euro, i Giochi Olimpici e Paralimpici costeranno circa 190 euro per ogni uomo, donna e bambino nel Regno Unito. A fronte di questo investimento, sono state fatte delle promesse riguardo lo sport e l’attività fisica per tutti, la riqualificazione urbana, la cultura, la sostenibilità, l’economia e la disabilità: miglioramenti socio-economici determinanti anche sulla salute. Margaret Hodge, che presiede il Public Accounts Committee, ha recentemente dichiarato che «…esiste un grande punto interrogativo sul fatto che queste Olimpiadi siano un buon affare per il contribuente…Ci avevano promesso una forte eredità olimpica, ma il governo ha scelto di non adottare l’obiettivo di un milione di persone che partecipano di più nello sport entro il 2013 e i piani per lo stadio hanno subito un arresto… Il governo sta disperdendo la responsabilità rispetto all’eredità olimpica e abbiamo bisogno di chiarezza».

SPONSOR IMBARAZZANTI
Le Olimpiadi possono essere anche un’occasione per il miglioramento socio-economico della popolazione? Oppure questa di Londra è stata solo una buona operazione di marketing per aggiudicarsi la vittoria? Un po’ di “washing” a un evento che odora sempre meno di etica e sani valori? Il dubbio che i famosi punti sulle eredità olimpiche siano stati dichiarati quanto meno con una certa superficialità, non può non venire: è sufficiente guardare l’elenco di Sponsor, con Coca-Cola e McDonald in testa. Come si può pensare di promuovere la salute dei cittadini e un sano stile di vita accettando di legare questi marchi ai valori olimpici e sportivi? Non è solo ipocrisia: l’approccio è pericoloso, fuorviante e irresponsabile! Quale migliore strategia per un marchio come McDonald, che negli ultimi anni ha ricevuto attacchi fortissimi da parte della comunità scientifica per il “junk food” che distribuisce in tutto il mondo? In questo modo non solo sposta la colpa lontano dal consumo dei propri prodotti, ma fornisce una piattaforma di marketing incredibilmente robusta ed eticamente incontestabile, collegandoli con lo sport, il fitness, il benessere. McDonald’s realizzerà a Londra 2012 il suo più grande punto vendita al mondo, articolato in quattro mega ristoranti che proporranno i menù standard a base di hamburger, patate fritte, frullati e dessert ipercalorici. L’impegno di migliorare lo stile di vita della popolazione, visto da questa prospettiva, più che ambizioso sembra decisamente ipocrita, al punto che l’Academy of Medical Royal Colleges (l’organismo che rappresenta tutti i medici del paese) ha ufficialmente chiesto al governo di mettere in atto misure “coraggiose e difficili” per porre fine a questo “marketing irresponsabile”, paragonando questi grandi marchi dell’industria alimentare ai giganti del tabacco del secolo scorso. Queste le richieste:
- il divieto di aziende come McDonald e Coca-Cola da sponsorizzare grandi eventi sportivi come le Olimpiadi;
- una “zona di sicurezza” intorno alle scuole, dove non siano ammessi i fast-food;
- il divieto di utilizzare come testimonial celebrità o personaggi dei cartoni animati per vendere ai bambini prodotti alimentari e bevande non salutari;
- l’obbligo giuridico, per tutti i produttori di alimenti e bevande, di pubblicare sui prodotti linee guida chiare circa la quantità di calorie, zuccheri, grassi e sale;
- valutare la possibilità di applicare una tassazione specifica per sanzionare gli a cquirenti di cibi e bevande ad alto contenuto di sale, zucchero e grassi.
Davanti all’ondata di critiche sulla sua partecipazione come sponsor alle Olimpiadi, McDonald ha risposto proponendo, come gadget all’interno degli “Happy Meal”, un contapassi che dovrebbe incoraggiare i bambini all’attività fisica, piuttosto che l’offerta di buoni per usufruire di sessioni sportive gratuite (!)

CONCLUSIONI
Al momento non esistono prove che le Olimpiadi possano avere come conseguenza diretta un aumento della partecipazione sportiva e un miglioramento generale di fitness e salute della popolazione. Tuttavia, potremmo considerare di per sé positivo il fatto che, per la prima volta nella storia dei Giochi, si mettano sul piatto questi valori, considerati risultati strategici importanti per tutte le nazioni. Dalle contraddizioni emerse, risulta evidente che, comunque, questa non può essere la strada: se ci saranno grandi cambiamenti negli stili di vita della popolazione, questi non potranno che essere il frutto di programmi politici molto più ampi, impegnativi e a lungo termine, che comprendano interventi multidisciplinari complessi su tutti i fattori coinvolti nel possibile cambiamento.

Di Mia Dell’Agnello

Pubblicato su Fitmed online 7/8 2012

Fitness e salute: il cerchio si stringe. Ma chi ci guadagna?

15358okIl medico intercetta e riconosce il soggetto dismetabolico, ma ancora raramente prescrive di svolgere un’attività motoria e ancor più raramente fornisce indicazioni precise riguardo alla modalità di svolgimento. Se poi valutiamo le possibilità di interazione e cooperazione del settore della medicina con quello del fitness, ci accorgiamo che la distanza è ancora enorme, da una parte dovuta ad atteggiamenti pregiudiziali e dall’altra sostenuta da atteggiamenti etici e professionali quantomeno ambigui. Nonostante ciò, qualche tentativo comincia a emergere sul territorio: ma la direzione è quella giusta?

È ormai conclamato che, introducendo nel “sistema uomo” delle quantità di attività motoria e sottraendo eccesso alimentare, l’incidenza di patologie dell’apparato cardiovascolare (ictus, accidenti cardiovascolari, infarti), dell’apparato locomotore (degenerazioni artrosiche) e delle fondamentali funzioni metaboliche (diabete, dislipidemie) si riduce in maniera evidente e significativa. L’efficacia di questa operazione in molti casi è addirittura superiore a quella che si ottiene introducendo nel “sistema uomo” i soli farmaci. Eppure sono ancora poche e poco significative le iniziative messe in atto per aiutare le persone a modificare il proprio stile di vita. O meglio, ancora si fa fatica a trovare una giusta dinamica d’intervento, che evidentemente non può essere di esclusivo appannaggio del settore medico: cambiare uno stile di vita è un atto medico o un atto sociale? In altre parole, se l’interesse della collettività è quello di diminuire la spesa sanitaria, il contesto in cui avviene il cambiamento dello stile di vita è un contesto a basso impatto di medicalizzazione. Il mondo medico può e deve dare le linee guida per la trasformazione dei soggetti da “sedentari” a soggetti “motori”, ma il sistema funziona se la proposta di cambiamento è sufficientemente leggera e demedicalizzata, oltre che sicura per il singolo. Il medico intercetta e riconosce il soggetto dismetabolico, ma ancora raramente prescrive di svolgere un’attività motoria e ancor più raramente fornisce indicazioni precise riguardo alla modalità di svolgimento. Se poi valutiamo le possibilità di interazione e cooperazione del settore della medicina con quello del fitness, ci accorgiamo che la distanza è ancora enorme, da una parte dovuta ad atteggiamenti pregiudiziali e dall’altra sostenuta da atteggiamenti etici e professionali quantomeno ambigui. Nonostante ciò, qualche tentativo comincia a emergere sul territorio, sollecitato anche da programmi ministeriali nazionali (“Guadagnare salute” del 2007) e iniziative della comunità europea. A noi critiche e scetticismo.

IL CENTRO FITNESS È SOLO UN CONTENITORE
L’azienda Sanitaria Locale di Chioggia ha recentemente presentato il progetto “Metti in moto la salute”, realizzato in collaborazione con i medici di famiglia e con sei palestre del territorio. Strutturato dal Dipartimento di prevenzione in accordo con i medici di medicina generale, il progetto prevede che l’attività fisica sia prescritta, proprio come un medicinale, a quelle persone che, pur non assumendo ancora terapie farmacologiche, sono considerate potenzialmente a rischio, per sovrappeso, pressione arteriosa elevata, glicemia alterata. A queste persone i medici prescriveranno attività motoria aerobica indicando la frequenza cardiaca massima; il medico riporterà alcuni dati (pressione arteriosa, indice di massa corporea, glicemia), in una scheda che loro presenteranno al loro ingresso in una delle sei palestre convenzionate. In questo caso si punta sull’effetto psicologico “doveristico-prescrittivo”, presumendo che le persone rispettino la “posologia” di un’attività somministrata come se fosse un farmaco. Il ruolo riservato alla palestra sembra essere solo di logistica: l’intervento degli istruttori fitness pare limitato al controllo e alla registrazione dei dati.

QUALI VANTAGGI CON LA SALUTE?
Decisamente più complesso è il progetto Lifestyle Gym dell’Azienda Sanitaria Locale di Rimini, per il trattamento del diabete mellito di tipo II e delle malattie dismetaboliche, coordinato dal dottor Paolo Mazzuca. Il progetto fa parte del Piano della prevenzione 2010-2012 della regione Emilia Romagna “La prescrizione dell’attività fisica: primi indirizzi per l’attuazione del progetto Palestra sicura. Prevenzione e benessere”. Ma andiamo con ordine. Nel progetto Lifestyle Gym il medico (di famiglia o specialistico) deve individuare pazienti affetti da diabete mellito tipo II e/o obesità e/o ipertensione arteriosa e inviarli al servizio di diabetologia, dove sarà attivato un progetto personalizzato che contempla un programma di educazione alimentare (tramite il colloquio motivazionale individuale e di gruppo) e di attività motoria. Per l’intera durata del progetto (sei mesi) i pazienti, in gruppi di 10, svolgeranno l’attività fisica e il programma di educazione alimentare seguiti da un medico, una dietista e un laureato in scienze motorie o diplomato Isef. In seguito, il paziente sarà invitato a proseguire autonomamente l’attività fisica prescritta e il programma di educazione alimentare. Rispetto al caso della Asl di Chioggia, qui è richiesta una partecipazione attiva della palestra e dei suoi istruttori, ma non senza condizioni. Innanzitutto le palestre che vogliono aderire al progetto devono essere iscritte all’elenco “Palestre Sicure – Prevenzione Benessere”. Il progetto “Palestra Sicura”, coordinato dal Servizio Salute Mentale, Dipendenze Patologiche e Salute nelle carceri, è nato inizialmente (nel 2009) dall’esigenza di prevenire e contrastare l’utilizzo e la diffusione di sostanze dopanti. Successivamente, aggiungendo la dicitura “Prevenzione Benessere”, si è voluto creare “…un circuito di palestre che promuovano il benessere, inteso come garanzia di sicurezza sotto il profilo professionale (presenza di personale qualificato), promozione di una corretta alimentazione e di limitazione dell’uso di integratori alimentari”. Come si fa a far parte di questo elenco di virtuosi che possono lavorare in partnership con le Asl, avendo ottenuto il “riconoscimento” dal Servizio Sanitario Regionale? Prima di tutto è necessario sottoscrivere il Codice Etico da cui emerge: “…l’intendimento di effettuare la somministrazione dell’esercizio fisico per il benessere del cliente e, laddove necessario, sotto il controllo medico; l’impegno a non pubblicizzare al proprio interno prodotti farmaceutici che possano avere effetti dopanti; l’impegno a partecipare a iniziative di formazione dell’A.USL o degli Enti Locali; l’impegno a veicolare campagne, dell’A.USL o della Regione o degli Enti Locali, di promozione della salute e stili di vita salutari; accettano di sottoporsi a controlli senza preavviso dell’A.USL o degli Enti Locali”. Le palestre che aderiscono al “Codice Etico” acquisiscono il riconoscimento di “Palestra Etica”, ma non basta: “…per lo svolgimento dell’attività fisica prescritta dal Servizio Sanitario Regionale è necessaria la presenza di personale specializzato e appositamente formato. A tal fine, a partire dall’autunno 2011, verrà attivato, in collaborazione con la Facoltà di Scienze Motorie dell’Università di Bologna, un primo corso di formazione speciale per laureati in Scienze motorie e diplomati ISEF con l’obiettivo di aggiornare personale qualificato che somministri un’attività fisica personalizzata e tutorata come un vero e proprio farmaco, sia nella popolazione generale che in soggetti con patologia e/o fattori di rischio, indirizzata sia alla prevenzione primaria che a quella secondaria. Esso intende pertanto preparare personale qualificato che possa operare in rete con il Servizio Sanitario Regionale”. Il corso, organizzato dalla Fondazione Carlo Rizzoli, con il patrocinio della Regione Emilia-Romagna e della Facoltà di Scienze Motorie dell’Università degli Studi di Bologna, è articolato su due livelli. Un Corso Base, per i laureati in Scienze Motorie e i diplomati ISEF, è dedicato alla gestione dei soggetti a basso rischio cardiovascolare, dismetabolici, con disordini minori dell’apparato locomotore, all’anziano e ai disabili. Con il titolo conseguito (“Referente per la salute nella prevenzione e nel benessere”) si ha accesso al Corso Avanzato, dedicato alla gestione dei pazienti trapiantati di fegato, cuore e rene, dei soggetti a rischio cardiovascolare alto e/o medio-alto, ai diabetici insulino-dipendenti e ai grandi obesi. Il corso base è strutturato in cinque moduli didattici di 12 ore ciascuno + 3 argomenti trasversali di 4 ore ciascuno: un totale di 72 ore per un costo di 2.000 euro. Al primo corso hanno partecipato 36 studenti, che moltiplicati per 2.000 euro fanno un totale di 72.000 euro: mica male! Siamo sicuri che sia la strada giusta?

Di Mia Dell’Agnello
Pubblicato su Fitmed online 3/2012 

L’Onu e le malattie non trasmissibili

WHO_flag copia1pAlla fine del 2011 si è svolta a New York una riunione dei vertici ONU per definire l’agenda internazionale in merito alla prevenzione delle malattie non trasmissibili e il loro controllo. Le malattie non trasmissibili – come infarto, ictus, cancro, diabete e malattie respiratorie croniche -sono attualmente responsabili di oltre il 63% dei decessi nel mondo. Ogni anno, uccidono 9 milioni di persone sotto i 60 anni, con un impatto socio-economico sconcertante. Questa è la seconda volta nella storia delle Nazioni Unite che l’Assemblea Generale si riunisce per un problema di salute; il primo e unico precedente era stato per l’AIDS. Nel suo intervento Margaret Chan, Direttore Generale dell’OMS, è stata molto chiara rispetto alla necessità di un totale coinvolgimento politico e sociale di ogni nazione: i ministeri della salute, da soli, non possono “riprogettare” le società in modo da proteggere intere popolazioni dai fattori di rischio che portano a queste malattie. Perché è di questo che si tratta: il problema è troppo grande e troppo di ampio respiro, dal momento che l’aumento di queste malattie è strettamente connesso con fenomeni universali, come la rapida urbanizzazione e la globalizzazione. La risposta a cambiamenti ambientali così epocali e dirompenti deve essere di uguale portata, anche perché lo stile di vita malsano che alimenta queste malattie si sta diffondendo a una velocità sorprendente. La disponibilità di farmaci per ridurre la pressione del sangue, abbassare il colesterolo e migliorare il metabolismo del glucosio, se da un certo punto di vista aiuta a tenere la situazione sotto controllo, dall’altro inganna la realtà e ottunde la richiesta urgente di cambiamento della politica. Le cause di queste malattie devono essere affrontate alla radice, e l’obesità crescente rappresenta un segnale di spia: è l’evidenza che c’è qualcosa di terribilmente sbagliato nella politica ambientale. L’obesità diffusa in una popolazione non è un indicatore del fallimento della volontà individuale, ma di un fallimento nelle politiche governative. Alimenti industriali, alto contenuto di sale, grassi trans e zucchero, sono diventati il nuovo cibo di base in quasi ogni angolo del mondo: per un numero crescente di persone, rappresentano il modo più economico per riempire uno stomaco affamato. Così come non si può nascondere l’obesità, non è possibile nascondere gli enormi costi con cui queste malattie gravano sulle economie nazionali. Queste sono malattie che, lasciate senza controllo, portano alla bancarotta: in alcuni paesi, per esempio, la cura per il diabete da sola consuma ben il 15% del budget sanitario nazionale. Uno studio dell’Università di Harvard presentato in un recente World Economic Forum stima che, nel corso dei prossimi 20 anni, le malattie non trasmissibili costeranno all’economia globale più di 30 miliardi di dollari, ovvero il 48 per cento del PIL mondiale del 2010. Si tratta di patologie croniche, che normalmente sono rilevate in ritardo, quando i pazienti hanno già bisogno di cure ospedaliere e farmacologiche; eppure sono ampiamente prevenibili, intervenendo sui fattori di rischio:
- uso di tabacco
- dieta malsana
- consumo eccessivo di alcol
- inattività fisica.
In particolare, l’inattività fisica è stata identificata come il quarto fattore di rischio per mortalità globale (6% dei decessi a livello globale) e si stima che sia la causa principale per circa il 21-25% dei tumori al seno e del colon, il 27% di diabete e circa il 30% delle malattie del sistema cardiocircolatorio. È scientificamente provato che livelli regolari e sufficienti di attività fisica negli adulti riducono il rischio di ipertensione, malattie coronariche, ictus, diabete, cancro al seno e del colon, depressione e il rischio di cadute; migliorano inoltre la salute delle ossa e rappresentano un elemento determinante della spesa energetica, fondamentale quindi per il controllo del peso. Il termine “attività fisica” non deve essere confusa con “esercizio”. L’esercizio fisico è una sottocategoria di attività fisica ed è pianificato, strutturato, ripetitivo e mirato al miglioramento o al mantenimento di uno o più componenti della forma fisica. L’attività fisica comprende tutte le attività che coinvolgono il movimento del corpo e sono effettuate come parte del gioco, di lavoro, trasporto attivo, faccende domestiche e ricreative. Gli attuali livelli di inattività fisica sono dovuti sia a un’insufficiente partecipazione ad attività fisiche organizzate nel tempo libero, sia a un aumento di comportamenti sedentari durante le attività professionali e domestiche e a un aumento nell’uso di “passivo” dei mezzi di trasporto. Un’urbanizzazione rapida e scellerata ha portato allo sviluppo di fattori ambientali che scoraggiano la partecipazione all’attività fisica, come l’insicurezza delle strade, l’alta densità di traffico, l’inquinamento, la mancanza di spazi verdi, marciapiedi e impianti sportivi/ricreativi. Per questo l’aumento di attività fisica è una questione sociale, non solo un problema individuale, e pertanto richiede un approccio multi-settoriale e multi-disciplinare, culturalmente rilevante. La World Health Organization ha sviluppato il documento “Raccomandazioni globale sulla attività fisica per la salute”, in cui sono fornite indicazioni sui “dosaggi” di attività fisica necessaria per la prevenzione di malattie non trasmissibili in base a frequenza, durata, intensità, tipo e quantità totale. Le raccomandazioni sono indirizzate a tre fasce di età, selezionate tenendo in considerazione la natura e la disponibilità dei dati scientifici relativi:
5-17 anni
18-64 anni
dai 65 anni in su.

MALATTIE NON TRASMISSIBILI
Sono malattie di lunga durata e generalmente di lenta progressione. I quattro tipi principali di malattie non trasmissibili sono: le malattie cardiovascolari (come infarto e ictus), il cancro, le malattie respiratorie croniche (come l’asma), il diabete. Le malattie non trasmissibili (NCD) uccidono più di 36 milioni di persone ogni anno: circa l’80% di tutte le morti malattie croniche si verificano nei paesi a basso e medio reddito.
di Mia Dell’Agnello 
Pubblicato su Fitmed online 10/2011

Le zone blu

B0009147TSNegli ultimi decenni le ricerche sulla longevità umana si sono soffermate sullo studio delle cosiddette Zone Blu, particolari zone della terra in cui l’aspettativa di vita della popolazione è particolarmente elevata. Una di queste zone è stata individuata in Italia, nella zona centro orientale della Sardegna (Ogliastra), dove la prevalenza di ultracentenari è superiore sia alla media nazionale, che ai valori riportati dalla maggior parte dei paesi europei, soprattutto per quanto riguarda il sesso maschile. Il fenomeno è studiato con approccio multidisciplinare, nel tentativo di identificare i fattori nutrizionali, genetici e ambientali all’origine della longevità. Gli studi sono ancora in corso, ma già si prospetta un quadro interessante: i fattori modificabili incidono maggiormente rispetto a quelli non modificabili; infatti i fattori genetici possano influire solo per il 20-25%, mentre sono determinanti quelli legati all’ambiente e allo stile di vita. Genericamente, dai primi raffronti realizzati fra le diverse Zone Blu del pianeta, emerge che le popolazioni residenti si nutrono prevalentemente con alimenti autoprodotti e scarsamente processati, e che conducono uno stile di vita che impone attività motoria costante (economie a prevalenza agro-pastorale). In Ogliastra, inoltre, le percentuali di bambini in età scolare obesi o soprappeso sono inferiori alla media nazionale.

di Mia Dell’Agnello
Fitmed online 7/8-2010

L’evidence applicata alla prevenzione

Passi (Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia) è un progetto Passi_Rapporto 2009_OKsperimentale del Ministero della Salute e delle Regioni avviato nel 2007, per effettuare un monitoraggio a 360 gradi sullo stato di salute della popolazione adulta (18-69 anni) italiana, attraverso la rilevazione sistematica e continua (con interviste somministrate nelle Asl), delle abitudini, degli stili di vita e dello stato di attuazione dei programmi di intervento che il Paese sta realizzando per modificare i comportamenti a rischio. Dall’ultimo rapporto nazionale, riferito ai dati raccolti nell’anno 2009, nel capitolo relativo all’attività fisica si legge che “Per essere fisicamente attivi è sufficiente incrementare il Passi_Rapporto 2009_OKcosiddetto trasporto attivo: cercare di abbandonare il più possibile uno stile di vita caratterizzato dallo spostamento passivo da uno spazio chiuso all’altro (abitazione, garage, automobile, ascensore, posto di lavoro, centro commerciale, scale mobili, telecomando ecc) e attivarsi, prendere possesso dell’ambiente, camminare o usare la bicicletta per muoversi… È importante che gli operatori sanitari raccomandino lo svolgimento di un’adeguata attività fisica: i loro consigli, in combinazione con altri interventi, possono essere molto utili nell’incrementare l’attività fisica dei loro assistiti”. Dai dati riportati risulta che il 33% circa della popolazione può considerarsi “attivo”, perché svolge un lavoro pesante, o perché pratica 30 minuti di attività moderata per almeno 5 giorni alla settimana, oppure attività intensa per più di 20 minuti per almeno 3 giorni. Il 30% non svolge alcuna attività fisica, mentre i restanti si collocano nel mezzo (praticano qualche attività fisica nel tempo libero, in modo saltuario). La sedentarietà risulta più diffusa al Sud, tra i 50- 69enni, soprattutto donne, persone con livello di istruzione più basso e coloro che riferiscono di avere molte difficoltà economiche. Rispetto al 2007, i sedentari aumentano, ma aumenta anche la percezione della necessità di inserire delle quote di attività motoria nella propria vita, e questo è forse l’unico segnale positivo evidenziato nel rapporto. Questa nuova sensibilità non pare riguardare il personale sanitario, dal momento che solo il 31% degli intervistati riferisce che il proprio medico si è informato sul suo livello di attività fisica, dato anche questo in calo rispetto al 2007 (33,3%). 3 su 10 hanno ricevuto il consiglio di svolgere regolare attività fisica, (dato stabile).

di Mia Dell’Agnello
Pubblicato in Fitmed online 11-2010