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La supplementazione di vitamina D è più utile alla salute del consumatore o a quella delle case farmaceutiche?

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Euromonitor International, società indipendente leader mondiale nella ricerca strategica per i mercati consumer, ha recentemente pubblicato uno studio interessante relativo al consumo di vitamina D e alle evidenze scientifiche a essa associate.
Il mercato delle vitamine e degli integratori alimentari è quello con il trend maggiormente positivo nel settore dei consumi legati alla salute. Analizzando i diversi prodotti, la vitamina D ha registrato il tasso di crescita più elevato dal 2007, pari a un CAGR (Compounded Annual Growth Rate) del 20%. Il forte aumento di fatturato (US $ 934 milioni/anno) ha permesso di tamponare la riduzione di vendite di supplementi più maturi come i minerali, la vitamina C, gli oli di pesce e acidi grassi omega.

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Consumo globale di vitamine e integratori alimentari al dettaglio: valore delle vendite e crescita , 2007-2012 (Euromonitor International)

L’origine del successo della vitamina D è una reputazione molto positiva, ben radicata negli anni e scaturita da numerosi studi che attribuiscono a questa vitamina (in realtà si tratta di un gruppo di pro-ormoni liposolubili costituito da 5 diverse vitamine), un ruolo fondamentale per il benessere delle ossa, in un delicato meccanismo di equilibrio con il calcio. La vitamina D favorisce il riassorbimento di calcio a livello renale, l’assorbimento intestinale di fosforo e calcio e i processi di mineralizzazione dell’osso. Si ottiene grazie all’esposizione solare e attraverso la dieta: olio di fegato di merluzzo, salmone, aringhe, il latte e i suoi derivati, uova, fegato e le verdure verdi.
La vitamina D è una sostanza nutriente importante per la salute delle ossa e fondamentale nella lotta contro l’osteoporosi, ma recenti ricerche ne indicano la validità anche per altre malattie come il cancro, la sclerosi multipla, il morbo di Parkinson, l’obesità.
Così tanti studi indicano l’importanza di mantenere adeguati livelli di vitamina D nella prevenzione primaria e secondaria, che questo micronutriente è diventato una celebrità: medici ed esperti lo elogiano come un elisir meraviglioso e ne propagandano l’assunzione, come essenziale per la nostra salute.

IL CONTRADDITORIO
Recentemente è stato pubblicato su The Lancet Diabetes & Endocrinology uno studio che mette in discussione le conclusioni suggerite dalle precedenti pubblicazioni sulla vitamina D. Nello studio “Vitamin D status and ill health: a systematic review”, i ricercatori hanno esaminato i dati di 462 studi condotti in precedenza sugli effetti della vitamina D rispetto ai diversi indicatori di salute (a esclusione del sistema scheletrico). Il 63% degli studi esaminati erano di osservazione, mentre gli altri erano d’intervento. I primi hanno evidenziato che esiste una forte associazione tra stato di salute e concentrazione di vitamina D nel sangue: meno vitamina corrisponde a meno salute. Tuttavia, l’altro 37% degli studi analizzati, che erano d’intervento e quindi più affidabili per stabilire una relazione causale, non ha provato nessuna connessione fra aumento di vitamina D e diminuzione della malattia. Il team di ricercatori concorda nell’affermare che la carenza di vitamina D è un indicatore di cattiva salute, conseguenza e non causa, di una vasta gamma di malattie.
Un altro studio pubblicato recentemente su Lancet, “Effects of vitamin D supplements on bone mineral density: a systematic review and meta-analysis”, ha messo in discussione anche la raccomandazione medica di lunga data che le popolazioni più anziane dovrebbero assumere vitamina D per mantenere l’osso e la salute dello scheletro. I ricercatori hanno analizzato 23 studi precedenti e hanno trovato pochissime evidenze sul beneficio complessivo della supplementazione di vitamina D sulla densità ossea. Pertanto la supplementazione di vitamina D non è necessaria in adulti anziani che non presentano rischi specifici correlati alle ossa, che si espongono normalmente alla luce solare e hanno una dieta equilibrata. Il costo associato all’assunzione di questo supplemento, concludono gli studiosi, non è giustificato.

IN ITALIA
L’Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco) tramite l’Osservatorio Nazionale sull’Impiego dei Medicinali (Osmed) presenta a cadenze semestrali i dati sull’utilizzo dei farmaci in Italia in termini di spesa, volumi e tipologia. I numeri sono anche analizzati e interpretati per correlare la prevalenza delle patologie nel territorio con la corrispondente prescrizione e valutare eventuali modifiche d’indirizzo, anche in un’ottica di spending review.
Presentando l’ultimo rapporto nazionale OsMed il direttore generale dell’Aifa Luca Pani, ha sottolineato la necessità di vigilare sul possibile utilizzo inappropriato della vitamina D, il cui mercato in Italia ammonta a 187 milioni di euro su base annua. «L’AIFA ha guardato con attenzione i dati e ciò che emerge è che ad essere in aumento è il consumo di vitamina D da sola (+17,6% rispetto al 2012), mentre è in riduzione il consumo di farmaci a base di calcio in combinazione con Vitamina D (-3,6% rispetto al 2012) e quello del calcio da solo è costante. In poche parole ci troviamo di fronte a prescrizioni di Vitamina D non appropriate, ad esempio per le diete dimagranti, non sostenuto dalle evidenze scientifiche».

IL FUTURO DELLA VITAMINA D
La spinta per la prevenzione sanitaria e l’attenzione alla salute sono dei volani importanti per il mercato dei supplementi e degli integratori alimentari. Tuttavia la popolarità di questo o di quel prodotto è assai labile e può cambiare in base a nuovi risultati della ricerca, spinta anche e soprattutto da logiche di mercato che nulla hanno a che fare con la salute dei consumatori. Attualmente sono in corso cinque studi clinici controllati randomizzati che stanno testando l’efficacia della vitamina D. I primi risultati non saranno disponibili fino al 2017: nel frattempo il consumo di supplementi di vitamina D crescerà ancora raggiungendo 1,3 miliardi di dollari di vendite globali al dettaglio dentro il 2017 (nel 2007 erano $ 315 milioni).

 

Supplementazione nutrizionale: necessità, illusione o danno?

24FY03BMNel 1999 il Ministero della Sanità ha emanato specifiche linee guida per disciplinare l’uso degli integratori alimentari, definiti “alimenti adattati a un intenso sforzo muscolare soprattutto per gli sportivi”, nel tentativo di proteggere il consumatore rispetto alle spinte promozionali di questi prodotti che, non essendo farmaci, non necessitano di prescrizione medica e sono spesso assunti senza un controllo adeguato. Mentre gli integratori energetici (a base di carboidrati, con l’aggiunta di qualche vitamina e a volte antiossidanti) e gli integratori idro-salinici (contenenti elettroliti eventualmente associati a zuccheri e vitamine) hanno un razionale d’uso, ovvero il loro utilizzo può essere giustificato in alcune situazioni, per le altre categorie di prodotti, salvo rare eccezioni, non è ancora stata scientificamente dimostrata una reale efficacia. Integratori che contengono proteine, aminoacidi, creatina e combinazioni variabili, sono acquistati da alte percentuali di sportivi, a tutti i livelli, non per sopperire a una mancanza nutrizionale, quanto piuttosto perché è diffusa l’opinione che questi integratori, assunti in dosi elevate, possano portare dei miglioramenti alle loro prestazioni. Si definiscono “ergogeni” e, in base ai poteri loro attribuiti dalla pubblicità sono:
- anabolizzanti, che hanno un effetto diretto sul metabolismo proteico e favoriscono il rilascio dell’ormone della crescita e/o del testosterone endogeno;
- aerobici, per aumentare la prestazione aerobica, intervengono sui meccanismi di utilizzo dei substrati energetici e sullo smaltimento dell’acido lattico;
- antiossidanti, con azione protettiva rispetto ai radicali liberi; – anoresizzanti e stimolanti, che agiscono sul sistema nervoso;
- ricostituenti, con azione generalizzata sull’organismo.
Il fatto che spesso gli ingredienti siano prodotti naturali (guaranà, ginseng, caffeina ecc.) non ne esclude la tossicità, soprattutto in merito ai dosaggi utilizzati. Per esempio, la dose di creatina normalmente assunta dai body builders e da molti di coloro che vogliono “metter su massa”, è di 20-25 grammi al giorno, corrispondente a oltre 12 Kg di carne, per lunghi periodi di tempo. Non esiste alcun tipo di certezza riguardo l’innocuità di questo comportamento, soprattutto a lungo termine. Eppure, l’assunzione di prodotti non vietati per doping (farmaci, vitamine, integratori alimentari) è una prassi ormai generalizzata, sia nell’amatore che nel professionista. In realtà, già nella definizione attribuita dal Ministero della Sanità sorge il primo dubbio: come quantificare un “intenso sforzo muscolare” che giustifichi l’assunzione di supplementi? È possibile che un corretto piano nutrizionale e una coerente pianificazione degli allenamenti e degli impegni sportivi soddisfino totalmente le esigenze di chi fa sport, anche ad alto livello? Il professor Fabrizio Angelini, medico endocrinologo, consulente nutrizionista della Juventus e consigliere nazionale SIAS (Società Italiana di Alimentazione e Sport), ci è venuto in soccorso e ha messo a disposizione tutta la sua esperienza e la sua competenza per rispondere a queste e altre domande.

Tendenzialmente, un programma alimentare studiato sull’atleta riesce a garantire il completo soddisfacimento dei suoi bisogni?
Innanzitutto, un piano nutrizionale deve essere frutto di un’accurata fase diagnostica, volta a investigare diversi fattori. A livello ematochimico generale, per verificare che non ci siano carenze (anemia), che l’apparato metabolico funzioni bene (funzionalità epatica e renale), che non siano presenti marker di infiammazione (es. proteina C-reattiva). Sono poi da valutare eventuali intolleranze alimentari, sebbene ancora non esistano metodiche certe per identificarle, ma alcuni test (es. il Test Alcat) se eseguiti dopo un’accurata anamnesi possono dare indicazioni interessanti. Poi, ancora, i parametri ormonali, soprattutto per quel che riguarda la funzione tiroidea, gonadica e surrenalica. Non trascurerei soprattutto negli atleti di endurance o top level la valutazione dello Stress Ossidativo, che può essere eseguita sia sul plasma (d-roms test e BAP) che sulle urine (dosaggio della malaldeide urinaria). Per quanto riguarda la composizione corporea, ritengo importante sottolineare un corretto utilizzo dell’impedenziometria, che non dà informazioni sulle masse, bensì sui liquidi corporei. Massa magra e massa grassa sono misure che si ricavano tramite equazioni indirette, che non sono così precise. L’impedenziometria, invece, fornice informazioni importanti sullo stato di idratazione e sulla quantità di cellule metabolicamente attive. La metodica standard per la valutazione delle masse corporee è la Dexa, che consente di avere anche informazioni segmentarie, per la valutazione della distribuzione del grasso corporeo o eventuali sviluppi asimmetrici della muscolatura. Va inoltre eseguita la valutazione del dispendio energetico, tramite calorimetria indiretta o holter metabolico o l’associazione dei due. Importante è, infine, l’anamnesi nutrizionale: come il soggetto mangia, orari di pasti e allenamenti, orari di sonno e veglia. La valutazione della sfera personale è tanto più importante nell’atleta amatoriale, la cui vita sportiva non è così rigorosa e deve essere fatta conciliare con la giornata lavorativa. Secondo gli ultimi dati della letteratura, un soggetto che svolge attività fisica due volte la settimana è considerato un sedentario. Quindi, già chi sostiene 4-5 allenamenti settimanali di buona intensità è da considerarsi un atleta con delle necessità che vanno oltre il maggiore fabbisogno calorico: il piano nutrizionale deve considerare la regolazione dei macro nutrienti, degli orari di assunzione, valutare la necessità di eventuali supplementi e considerare infine il valore antinfiammatorio, per evitare che l’atleta si infortuni troppo spesso o che recuperi bene quando gli impegni sono ravvicinati.

A suo parere è ragionevole che un atleta amatoriale, così come un frequentatore di centri fitness, assuma integratori alimentari? Come gestire in assenza di uno specialista posologie, scelte, dosaggi?
Intendiamoci sul concetto di integrazione alimentare. Se una persona svolge attività fisica con intensità media e si alimenta in maniera adeguata con un piano nutrizionale stabilito da un nutrizionista, il più delle volte non necessita di una supplementazione per l’attività sportiva; magari daremo delle indicazioni sul timing di assunzione dei nutrienti. Ma se il riferimento è il livello standard di alimentazione, quindi non calibrata nella quantità e nella qualità, allora la risposta è molto probabilmente affermativa, soprattutto per il discorso legato all’infiammazione. Quello che assolutamente non deve essere praticato è il faidate: creatina, aminoacidi ramificati, proteine, omega 3 tutte le integrazioni devono essere valutate all’interno di un piano nutrizionale gestito da un professionista, perché la loro assunzione sia giustificata da un razionale.

Eppure il faidate è molto diffuso… Prendiamo ad esempio la creatina, assunta, secondo gli studi effettuati dall’Istituto Superiore di Sanità, dal 50% degli atleti, e molto diffusa anche fra gli amatori: non esiste dimostrazione scientifica di un suo possibile effetto anabolizzante, e rispetto all’effetto energetico come riserva fisiologica per la contrazione per l’ATP, dura solo pochi secondi, quindi può essere utile solo negli sport che durano pochi minuti e che necessitano di uno sforzo immediato. Perché, a suo parere, questo prodotto è così utilizzato? La creatina è un integratore ottimo, ma deve avere un razionale: non tutti i tipi di sport ne giustificano l’assunzione, ma ci deve essere una prescrizione, non farmacologica, ma di integrazione. Altrimenti, parliamoci chiaro, è alterare la prestazione. Non si sa se la creatina assunta oltre una certa grammatura possa fare male, ma sicuramente non produce effetti positivi sulla performance. Non esistono dati in letteratura e questo vale per moltissime sostanze. Una supplementazione può essere motivata solo da una carenza, o da un momentaneo stress dell’organismo, che si può verificare, per esempio, dalla perdita di massa magra, per cui utilizzerò sostanze pro-anaboliche o anti-cataboliche. Se, per esempio, l’atleta deve sostenere un impegno fisico importante protratto nel tempo posso utilizzare anche sostanze ergogeniche, Altrimenti, si va contro al primo principio della nutrizione dello sport che dice: preserviamo la salute dei nostri atleti.

Molti considerano l’assunzione di integratori alimentari come l’anticamera del doping: lei è d’accordo con questa opinione?
Quando qualsiasi prodotto viene utilizzato senza uno specifico razionale e a dosi elevate, si entra nel sottile confine fra integrazione, supplementazione e doping. Ma sia chiaro: se cerco un’iper-dose è perché voglio ottenere un ipereffetto. I nostri nonni non avevano bisogno di un nutrizionista dello sport, perché il rapporto con l’alimentazione era molto diverso: il cibo era l’energia immagazzinata necessaria per svolgere la propria giornata. Oggi l’attività fisica viene limitata a una parte della giornata, uno sforzo concentrato in un breve lasso di tempo rispetto al normale stato di sedentarietà, e non è detto che questo produca effetti sempre positivi. L’amatore a volte è a rischio di salute più del professionista, perché non è seguito da nessuno. In questi atleti il ruolo del nutrizionista sarebbe fondamentale. Come Sias (Società Italiana di Alimentazione e Sport) stiamo strutturando un questionario anamnestico per svolgere un’indagine epidemiologica sulle abitudini alimentari dello sportivo, a partire da come si alimenta, si idrata, se usa integratori e chi glieli prescrive. Le faccio un altro esempio con delle sostanze che sono attualmente molto di moda: gli antiossidanti. Ebbene, lo stress ossidativo è molto difficile da individuare e riconoscere, è un processo fisiopatologico che conosciamo ancora poco, eppure sono ormai tantissimi sul mercato i prodotti venduti come in grado di combatterlo: che logica ha? Valutiamo lo stress ossidativo e poi interveniamo con un’antiossidazione mirata. Anche le vitamine… una dose da 500 mg di vitamina C ha sicuramente un’azione antiossidante, ma esistono delle modalità e delle necessità di assunzione. Certo che se un atleta si alimenta in modo scorretto, considerando anche che il valore nutrizionale degli alimenti non è più quello di un tempo, ci può essere una carenza vitaminica: ma la carenza nutrizionale va comunque rilevata.

La ricerca già citata condotta dall’Istituto Superiore di Sanità ha inquadrato questo fenomeno di abuso di sostanze come “medicalizzazione dell’atleta”: infatti, oltre a integratori (assunti dal 70% degli sportivi) e vitamine soprattutto C e D (dal 100%), si è registrato un abuso di farmaci veri e propri (soprattutto FANS, antidolorifici con azione antinfiammatoria, fra i più utilizzati, anche alla ricerca di un’azione preventiva sul DOMS). Uno studio effettuato dalla Fifa su rapporti redatti dai medici delle squadre che hanno partecipato ai mondiali del 2002 e del 2006 riporta cifre elevatissime di consumo di integratori e farmaci, numeri che, nelle parole del responsabile del settore medico della FIFA Jiri Dvorak «sollevano interrogativi sul fatto che i medicinali siano presi solo per ragioni terapeutiche» facendo ipotizzare una eccessiva prescrizione di farmaci per uomini adulti sostanzialmente sani. Qual è la sua opinione in merito?
Io non sono un medico dello sport, ma come medico non sono assolutamente d’accordo. L’atleta è fondamentalmente una persona sana, anche se il professionismo porta spesso con sé dei problemi fisici importanti. Ma una macchina che si usura prima non giustifica, comunque, l’utilizzo indiscriminato di farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) o di altri tipi di trattamento. Sicuramente la possibilità di pianificare preparazioni atletiche sempre più mirate e individualmente differenziate rappresenta una difficoltà negli sport di squadra, ma io credo che l’atteggiamento tendenzialmente prescrittivo sia, purtroppo, anche retaggio della nostra formazione medica italiana. Il farmaco deve essere somministrato in fase acuta, quando c’è dolore, o infiammazione, sicuramente solo in presenza di una diagnosi. Invece, pensi solo che il pacco gara di una recente Stramilano conteneva un libretto di consigli utili*, in cui si indicava espressamente di prendere un’aspirina (che è un FANS) subito dopo la gara… ma si rende conto? Un anticoagulante! Teniamo anche conto che l’aspirina, andando a inibire le prostaglandine, ha un effetto negativo sulla diuresi e sul ricambio idrico… Poi è chiaro che, davanti a un trama acuto o infiammazione acuta, il medico deve fare il medico, anche se ci sarebbero comunque molti approcci diversi. Credo che l’approccio multidisciplinare, che include anche visioni non esclusivamente “mediche” come la fitoterapia, l’omeopatia, l’osteopatia, sia importante anche per capire il motivo che causa gli eventi traumatici o infiammatori. Altrimenti, è come prendere un antinfiammatorio per il mal di testa senza indagare mai sulle origini del mal di testa. Poi gli atleti si rompono lo stesso, ma se tenuti sotto controllo si riducono le incidenze.

* Da “10 consigli per la vostra prima maratona”, firmati da Linus. Con la collaborazione scientifica del Dottor Giuseppe Fischetto, specialista in Medicina dello Sport e Medicina Interna, responsabile Settore Sanitario Nazionale della Fidal, membro della Commissione Medica e antidoping della Federazione Internazionale atletica leggera. “tornano buoni due o tre consigli, questi sì uguali per tutti, dilettanti e professionisti. Subito dopo il traguardo un bicchiere di Coca Cola ha il potere di “ri-av-viare” il vostro stomaco come fate col vostro computer, qualcuno addirittura riesce a scolarsi una meravigliosa birra gelata. Poi un’aspirina per aiutare l’organismo a smaltire tutti i piccoli processi infiammatori, se non qualcosa di più potente con la supervisione di un medico sportivo”.

PROF. FABRIZIO ANGELINI
Medico Chirurgo Specialista in Endocrinologia – Docente di Psiconeuroendocrinologia Università di Parma – Medico Nutrizionista Juventus Fc Torino – Responsabile Sezione Nutrizione e Sport SIAS.

di Mia Dell’Agnello
pubblicato su Professione Fitness 4-2009

Caffeina, bevande energetiche e prestazione sportiva

Coffee beans - Stimulant drug for home and officeBevande energetiche contenenti caffeina sono supplementi popolari che hanno usi variabile sia fra gli atleti che fra i non atleti. Questo studio, condotto da William P. McCormack e Jay R. Hoffman, dimostra che tali bevande sono efficaci nel migliorare le prestazioni di resistenza, ma non lo sono altrettanto nelle prestazioni di forza e potenza. La review, presentata sull’ultimo numero di “Strength & Conditioning Journal”, si concentra sull’efficacia di tali prodotti (caffeina da sola o in combinazione con altri ingredienti) sulla performance nei tempi di reazione, durante un’attività prolungata e il loro ruolo durante le prestazioni di potenza.  La popolarità delle bevande energetiche sembra essere in costante aumento. Recenti evidenze suggeriscono che le bevande energetiche sono disponibili in più di 140 paesi e le vendite nel 2011 hanno superato i 9 miliardi di euro (1). Le strategie di marketing sono rivolte a giovani popolazioni sportive, le aziende produttrici sono spesso sponsor di manifestazioni sportive e utilizzano atleti agonisti come testimonial; la metà delle bevande energetiche è venduta a persone di 25 anni e più giovani. L’ingrediente principale nelle bevande energetiche è la caffeina, addizionata, per migliorarne l’effetto, con vari ingredienti aggiuntivi per fornire un effetto sinergico o additivo. Nella letteratura scientifica l’efficacia della caffeina, da sola e con varie combinazioni di ingredienti, è stata accertata in relazione alle prestazioni di resistenza. Gli studi hanno dimostrato che la caffeina migliora le prestazioni negli sport a lunga distanza come corsa, bicicletta (2, 3, 4, 5, 6, 7), canottaggio (8), e nuoto (9). Tuttavia, la ricerca è stata equivoca quando esamina l’effetto della caffeina sulle prestazioni di forza e potenza. L’obiettivo di questa review è di fornire una migliore comprensione del ruolo ergogenico che le bevande energetiche a base di caffeina hanno sulla forza, la potenza e le prestazioni nell’esercizio anaerobico.

MECCANISMO D’AZIONE
La caffeina è uno stimolante del sistema nervoso centrale (SNC) e i suoi effetti sono simili, ma ovviamente più deboli, a quelli associati alle anfetamine. La caffeina è utilizzata come ausilio ergogenico dagli atleti che svolgono sia attività aerobiche che anaerobiche. Tuttavia, i meccanismi di azione possono essere molto diversi. Nell’attività aerobica si pensa che la caffeina prolunghi l’esercizio di resistenza grazie all’aumento dell’ossidazione dei grassi per la mobilitazione degli acidi grassi liberati dal tessuto adiposo o depositi di grasso intramuscolare (10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17). Il maggior uso di grassi come fonte di energia primaria rallenta la carenza di glicogeno e ritarda l’affaticamento. Tuttavia, alcuni ricercatori hanno messo in discussione questo meccanismo (18, 19, 20, 21). Nell’esercizio di breve durata ad alta intensità, l’effetto ergogenico primario attribuito alla supplementazione di caffeina è di aumentare la produzione di energia. Gli studi analizzati riportano un certo numero di possibili meccanismi per spiegare l’effetto della caffeina sulle prestazioni di forza-potenza; questi meccanismi comprendono azioni sia sul SNC che sui sistemi neuromuscolari. Uno degli effetti più significativi della caffeina sul SNC è la sua azione di antagonista selettivo dei recettori dell’adenosina, essendo le due molecole strutturalmente simili fra loro. L’adenosina è una sostanza chimica, prodotta in modo naturale, che agisce da messaggero nella regolazione dell’attività cerebrale e modulando lo stato di veglia e di sonno. La caffeina quindi agisce come un inibitore competitivo, ritardando la sensazione di stanchezza e riducendo gli effetti inibitori dell’adenosina (22, 23). In una meta-analisi di Warren et al. (24), è stato suggerito che l’effetto della caffeina sul SNC porterebbe a un miglioramento dell’attivazione muscolare (unità motore). Inoltre, è stato provato che la caffeina ha qualche effetto analgesico, abbassando la soglia di dolore e il rating di sforzo percepito (25, 26, 27). Alcuni studi suggeriscono che l’assunzione di caffeina migliori la relazione eccitazione/contrazione muscolare, interessando sia la trasmissione neuromuscolare che la mobilitazione di ioni calcio intracellulari del reticolo sarcoplasmatico (28). Infine, è stato anche ipotizzato cha la caffeina determini un miglioramento della cinetica degli enzimi regolatori della glicolisi, come la fosforilasi (29).

EFFETTO DELLA CAFFEINA SU PRESTAZIONI DI FORZA E POTENZA
Non vi sono evidenze scientifiche sufficienti a sostenere l’effetto della caffeina come ausilio ergogenico nelle attività anaerobiche di forza e potenza. Diversi studi hanno esaminato l’effetto del consumo di energy drink prima dell’esercizio e hanno dimostrato un aumento significativo del volume della performance (numero di ripetizioni effettuate) nelle prestazioni di potenza (30, 31, 32, 33). Queste bevande energetiche spesso hanno una “matrice energetica” che può contenere caffeina, taurina e glucuronolattone, ma contengono anche ingredienti aggiuntivi come aminoacidi, creatina e betaalanina. Questi ingredienti non sono progettati per fornire una carica d’energia, ma per migliorare il recupero e fornire l’apporto giornaliero necessario per aumentare la resistenza e le prestazioni di potenza. Per quanto riguarda l’effetto di questi mix di sostanze energetiche sull’aumento del volume di allenamento, i risultati di molti studi ne hanno confermato l’efficacia, così come sono stati registrati significativi aumenti di picco e potenza media espressa per ripetizione (34). L’uso di bevande energetiche può anche avere efficacia nel mantenere le prestazioni di forza dopo l’esercizio esaustivo, mentre sembra essere ininfluente sull’espressione di potenza anaerobica durante l’esercizio ad alta intensità.

CAFFEINA E SPRINT, AGILITÀ E TEMPI DI REAZIONE
È stato dimostrato che l’ingestione di caffeina fornisce un effetto ergogenico sulle prestazioni di sprint ripetuti. Schneiker et al. (35) nel loro studio hanno simulato le esigenze fisiologiche richieste in uno sport di squadra in un contesto competitivo; dopo l’ingestione di caffeina hanno riportato miglioramenti significativi nelle prestazioni di sprint. L’ingestione in dosi importanti di bevande energetiche contenenti caffeina sembra anche avere alcuni potenziali effetti benefici sulle prestazioni di agilità e velocità di reazione. Diversi studi hanno dimostrato che le bevande energetiche possono avere un effetto significativo sulla capacità reattiva e aumentare la concentrazione, l’attenzione e la memoria (36, 37).

DOSE-RISPOSTA
La dose utilizzata nella maggior parte degli studi che dimostrano un effetto positivo della supplementazione di caffeina è di 5-6 mg/kg di peso corporeo. Ciò significa che la dose media per una persona di 80 kg sarebbe approssimativamente di 400 mg di caffeina. Per confronto, una tazza di caffè filtrato contiene tra 110 e 150 mg di caffeina (per circa 23 cl); la classica lattina di Coca Cola o Pepsi (33 cl) ne contiene tra i 30 e i 40 mg. Le bevande energetiche in genere contengono tra 75 e 80 mg di caffeina per 23 cl, anche se alcune ne contengono fino al 174 mg per dose. Nessun effetto significativo è stato rilevato per l’assunzione di dosi minori di caffeina.

LA CAFFEINA È DOPING?
Prima del 2004 la World Anti- Doping Agency (WADA) aveva stabilito uno specifico livello di soglia per considerare doping l’assunzione di caffeina, ma questa restrizione fu in seguito eliminata. Attualmente la caffeina non è contemplata nella lista delle sostanze proibite, sia perché fa parte della dieta abituale della popolazione (sportiva e non), sia perché ha tempi di metabolizzazione molto diversi da soggetto a soggetto. La WADA l’ha invece inserita nel suo “programma di monitoraggio”, che comprende le sostanze che non sono vietate nello sport, ma che sono controllate al fine di individuare eventuali modelli di abuso nello sport. Quindi i livelli di caffeina sono ancora testati e riportati nel test delle urine, ma non ne è vietato l’uso. Negli anni 2010 e 2011 non sono stati rilevati modelli specifici di abuso di caffeina nello sport, anche se ne è stato osservato un aumento significativo nella popolazione atletica.

APPLICAZIONI PRATICHE
La caffeina e le bevande energetiche sembrano avere un effetto ergogenico sulla resistenza nelle prestazioni di potenza. In particolare, l’integrazione con caffeina o una bevanda energetica che contiene caffeina e altri ingredienti può migliorare la qualità di un allenamento aumentando il numero di ripetizioni eseguite e la potenza espressa per ripetizione: ciò può avere importanti implicazioni per la resistenza a lungo termine e le possibilità di sviluppo muscolare. L’uso di un integratore ad “alta energia” può influire sulle prestazioni atletiche ritardando fatica e migliorando il tempo di reazione. Così, la caffeina da sola e in combinazione con altri ingredienti sinergici, può fornire un vantaggio competitivo per gli atleti, pur rispettando la dose minima di 5-6 mg/kg di peso corporeo. Non vi è prova convincente che suggerisca che la caffeina abbia una qualche influenza sul SNC e sul sistema neuromuscolare: sono necessarie ulteriori ricerche in questo campo per definire chiaramente i meccanismi di lavoro. Come tutti gli integratori, le bevande energetiche e la supplementazione di caffeina devono essere assunte con cautela. Gli effetti avversi riportati dopo il consumo di energy drink includono insonnia, nervosismo, mal di testa, tachicardia (38). Se si è in presenza di un problema cardiovascolare, la supplementazione con bevande energetiche o caffeina deve essere discussa con il medico.

CARTA D’IDENTITÀ
La caffeina è una xantina, un alcaloide che si trova in diverse piante come i chicchi di caffé e i semi di cacao, le foglie di tè, le bacche di guaranà e le noci di cola. Il contenuto medio di caffeina è di circa 85 mg per 150 ml (1 tazza) nel caffé tostato macinato, di 60 mg nel caffé istantaneo, di 3 mg nel caffé decaffeinato, di 30 mg nella foglia o nella busta di tè, di 20 mg nel tè istantaneo e di 4 mg nel cacao o nella cioccolata calda. Un bicchiere (200 ml) di una bevanda analcolica che contiene caffeina, ha un contenuto medio di caffeina di circa 20-60 mg. La presenza di caffeina, in accordo con la Direttiva Europea 2002/67/CE, deve chiaramente figurare sull’etichetta delle bevande che contengono più di 150 mg/L. Questa norma si applica ad alcune bevande analcoliche e alle bevande energetiche che contengono caffeina, ma non al tè, al caffé, e ai prodotti che ne derivano, supponendo che i consumatori ne siano a conoscenza.

di Mia Dell’Agnello

Pubblicato in Fitmed online 10/2012

REFERENCES
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